Premessa

Los Angeles mi sembra ancora più bella, dopo aver trascorso due giorni piuttosto pesanti e dolorosi a San Francisco, la città dove sono cresciuta da umana.

Accendo il cellulare, ad accogliermi il solito messaggio di benvenuto del dispositivo: Salve Cassandra!

Nient'altro. Mio marito Arum dev'essere ancora impegnato nella sua missione. Lo scoprirò una volta tornata a casa.

Mi trovo nella mia Chevrolet guidata da Spike, oramai il mio personalissimo bodyguard. Anche se in questo momento mi sembra più il mio chauffeur.

Sorrido al pensiero, osservandolo nella sua perenne aria truce.

Un sorriso. Ne avevo bisogno.

Mi volto nuovamente verso il finestrino ad osservare la città flagellata da una fine ed insistente pioggia.

Tra le lacrime del cielo ci disperdo le mie, considerando la tristezza di questi ultimi due giorni. Sto facendo infatti, ritorno dal funerale dei miei genitori.

Arleen mi aveva avvisata tempestivamente, dato che mi aveva promesso di tenerli d'occhio, soprattutto mio fratello minore Alex.

Com'è cresciuto negli ultimi trent'anni. Non lo avevo visto quasi mai piangere, o forse è perché non me lo ricordo. Non lo vedevo da quando era un bambino.

Da quando sono morta e tramutata in vampiro.

Mi sono tenuta a debita distanza, non mi ha fortunatamente riconosciuta.

I nostri genitori erano anziani, ma un incidente aereo ha stroncato le loro vite. Erano di ritorno da una vacanza a Roma.

Mi sento triste non perché li amassi, ma perché una parte di loro, di quella vita, ogni tanto mi manca. Dopotutto, erano le persone che mi hanno cresciuta. Per questo chiesi che fossero protetti e sorvegliati.

Io non ne avevo il tempo. Ed è buffo, detto da una che ha l'eternità nelle mani.

Il fatto è che ora la mia famiglia è Arum ed i nostri gemelli.

Inoltre, non avrei mai voluto rischiare di mettere in pericolo quelle persone con la mia presenza. Sapete com'è, sono prudente! Essere la moglie di un anziano vampiro, ha anche i suoi svantaggi.

Ma non potevo mancare al loro funerale, non potevo dirgli addio per sempre.

E finalmente, eccomi di ritorno alla villa a Benedict Canyon.

Spike mi fa scendere dall'auto e corre verso casa, odia bagnarsi.

Io invece mi prendo tutto il tempo, la pioggia è mia schiava. L'acqua è mia schiava.

Le gocce amorevolmente si scostano da me per non bagnarmi, mentre io mi guardo attorno. Nessun'altra auto parcheggiata nel cortile di casa.

Che strazio, stanotte dovrò dormire da sola. E io che contavo in una seratina selvaggia col mio uomo per riprendermi.

Sento i capezzoli farsi turgidi sotto la camicetta di seta al solo pensiero.

Prima della mia partenza, Arum e nostra figlia si coinvolsero in un'importante missione. Di nuovo.

Nel nostro clan si inoltrò una spia. Un uomo di un casato nemico, il clan di Lustios. Che nome stolto, vero?!

Antico nemico di Arum, Lustios voleva impossessarsi dei tarocchi del Pantheon celtico. Costituiscono 22 arcani che raffigurano rappresentazioni di alcune divinità celtiche, appartenenti alla mitologia irlandese. Si narrano diverse leggende circa i tarocchi, custoditi in origine dai Thuata Dé Danann, la popolazione protetta dalla dea Dana.

Chi sostiene che si possono invocare i numi uno alla volta ed utilizzare i loro poteri per un ciclo lunare. Oppure aprire un portale verso il loro Pantheon. Altri sostengono che si possa prendere il loro posto. La verità è che nessuno conosce le loro reali capacità e ci si limita a fantasticarci.

Di certo sono pericolosi.

Mio marito teneva una sorta di enciclopedia al riguardo, con la storia dei tarocchi e altre preziose informazioni che gli fornirono i Thuata. Conservava i volumi in quella che io definisco "la stanza delle meraviglie", ossia dove ripone tutti gli oggetti e quant'altro più importanti, nel corso delle sue missioni.

Ed ora quelle informazioni sono state rubate dallo scagnozzo di Lustios. Quel che non potevano immaginare è che Arum ha degli agganci in Italia e quindi i suoi informatori, lo misero al corrente della presenza di Lustios e la talpa venne immancabilmente scoperta, sebbene riuscì a fuggire.

Osservo la porta della stanza in fondo al corridoio. Quanti ricordi.

Ed a proposito di Arum, molti mi hanno chiesto lucidazioni sul suo passato. È un uomo talmente discreto che riesce a far parlare di sé, ma allo stesso tempo, conserva un alone di mistero.

Si disse che fu morto durante una rivolta civile nel villaggio in cui viveva 2350 anni fa.

Ma non andò esattamente in questo modo e la storia del nostro clan iniziò proprio con quei tarocchi.

Ebbene, sarò dunque io, a narrarvi la storia di Arum.

La storia del nobile casato dei Kingsdale.

Capitolo 1.

Anno approssimativo, 338 a.C.

 

 

Con una carezza amorevole, lo guardava sonnecchiare mentre il sole morente del tardo pomeriggio gli baciava il viso.

Era così tenero, così innocente, appoggiato con la testa sul grembo di Lily. L'aria era gradevolmente tiepida ed il profumo dei fiori e dell'erba galleggiavano mescolandosi in un aroma speziato che dava un senso di benessere e tranquillità.

Di speranza. Proprio come solo la primavera sa portare con sé. La speranza che coltivava Lily nel cuore assieme ad altri uomini e donne che viaggiavano con loro sul carro.

Nel tragitto della tortuosa strada, la ruota del carro ad un certo punto, incontrò un masso che li fece sobbalzare e svegliò Arum.

«Madre, siamo arrivati?» chiese il piccolo strofinandosi gli occhi per il sole che glieli irradiava.

«Manca poco, resta sdraiata tesoro» rispose con un fil di voce Lily, immersa in opprimenti pensieri.

Arum si chiese per quanto ancora avrebbe dovuto riferirsi a lui al femminile. Era semplicemente umiliante e di umiliazioni, ne avevano subite fin troppe.

Si scostò dal viso alcune ciocche dei lunghi capelli corvini a boccoli, maledicendoli. Sua madre glieli aveva fatti crescere per essere ancora più credibile nella messinscena.

D'altronde il viso delicato di un bimbo di sette anni può essere piuttosto ambiguo se camuffato.

E quella era la sola speranza di salvarsi da un destino crudele. Lily infatti lo fece scambiare per una bambina affinché i soldati non glielo portassero via per addestrarlo.

I figli maschi venivano portati in campi d'addestramento per la guerra già all'età di quattro anni.

Lily sapeva cosa rischiava e sapeva che ciò avrebbe attirato a sé l'odio degli altri schiavi, ma non poteva permettere che suo figlio facesse quella fine. Non poteva permettere che glielo portassero via.

D'altronde mancava poco, ancora un paio d'ore e tutto sarebbe finito. Quando il sole avrebbe raggiunto il picco nel cielo, del giorno seguente sarebbero stati salvi.

Infatti assieme ad una dozzina di schiavi, tenuti prigionieri a Londra, scapparono verso il nord dell'Inghilterra dove avrebbero trovato un accampamento di altri schiavi ribelli.

Ne mancavano solo sei all'appello, tra cui il padre di Arum.

Tutti insieme avrebbero navigato verso un'isola in cui sorgeva un villaggio di schiavi che erano riusciti a scappare e sopravvivere.

Nessuno sapeva dell'esistenza di quel luogo paradisiaco, a parte Albert, il capo della spedizione.

Suo fratello era riuscito a stabilirsi in quel villaggio e successivamente tornò indietro per aiutare Albert che informò alcune famiglie che era riuscito a farsi amiche.

Tra cui appunto, Ermac e Lily.

Si stava facendo buio, non vedevano l'ora di raggiungere l'accampamento.

E la donna era impaziente di rivedere il marito. Perché tardava? Le guardie li avevano forse scoperti dopo la loro fuga?

Quella però non era la sua unica preoccupazione.  Spostò lo sguardo verso il figlio. Come avrebbero reagito sapendo della sua identità? A molti di loro avevano portato via i figli maschi, compreso ad Albert. L'avrebbero odiata certo, ma anche allontanata? Cos'avrebbe fatto da sola con un bimbo così piccolo? Come sarebbero potuti sopravvivere? Pareva impossibile.

E se le guardie dell'impero li avrebbero trovati, sicuramente li avrebbero uccisi.

O peggio, prima li avrebbero torturati per la loro fuga ed il loro tradimento.

Non poteva proprio pensarci ad una sorta del genere, né per sé stessa, né per il piccolo.

A stento tratteneva le lacrime facendosi carico di tutta la sua forza per non lasciarsi andare nel pianto.

«Madre ho fame» piagnucolò Arum, con lo stomaco supplichevole. Lei sorrise, il suo piccolo era la sua forza nonostante tutto. «Quando arriveremo potrai mangiare, purtroppo le provviste le abbiamo finite» si rammaricò la donna.

Ancor di più vedendolo rabbuiarsi in volto.

«Tieni, ho delle bacche qui» una signorotta con lo sguardo dolce allungò al bimbo un sacchetto.

«Grazie, Cloe! su, ringrazia anche tu» lo incalzò Lily.

Cloe era l'unica che conosceva l'identità di Arum e che appoggiava la madre. Avrebbe fatto la stessa cosa. Ma aveva una figlia femmina, Eve, una graziosa fanciulla dell'età di Arum con grandi occhi nocciola e riccioli dorati.

Timidamente si sporse a guardare da dietro la schiena di Cloe. Aveva lo sguardo malinconico e parlava di rado. Le mancava suo padre che era assieme a quello di Arum. Il bimbo alzò lo sguardo nella sua direzione. «Ne vuoi anche tu?» le fece cenno con la mano mentre mandava in bocca una manciata di bacche zuccherine.

Senza dire una parola, la fanciulla annuì e gli si avvicinò, prendendone alcune dal sacchettino che Arum teneva in mano tendendolo verso di lei.

Lily li guardò divertita. Erano tenerissimi. «Grazie ancora per tutto Cloe, io non so.. non so che fare» gli occhi le si velarono nuovamente di preoccupazione.

«Non qui.. tranquilla comunque» la schermì Cloe con un gesto della mano. Avrebbero potuto sentirle e lasciarle lungo il sentiero.

 

Qualche tempo più tardi, all'imbrunire, finalmente raggiunsero tra i boschi l'accampamento provvisorio.

Tutti si scambiarono saluti, felici di rivedersi. Famiglie riunite, amicizie ritrovate. Incredibile il legame che si poteva stringere tra schiavi, per quanto raro.

Anche Lily e Arum furono ben accolti dal resto del gruppo e da Albert, che salendo sopra ad una roccia come fosse un palcoscenico improvvisato, salutò e si congratulò con tutti.

«Sono felice che ce l'avete fatta e che stasera siamo qui riuniti! Finalmente liberi e domani ci aspetta una nuova vita!» urlò alzando le braccia al cielo, seguito dall'entusiasmo di tutti i presenti.

«Raccogliete le vostre cose gente e mangiate, dobbiamo essere in forze per il viaggio che c'attende» saltò giù dalla roccia e si diresse quasi saltellando in direzione dei focolari dove alcune donne stavano cucinando carne di cervo.

«Sia benedetto Cernunos, per averci fatto dono di questo pasto» disse Albert sorridendo con l'approvazione delle cuoche che sorrisero grate a loro volta e ridacchiarono per il modo di fare dell'uomo.

Dopo cena, Lily sistemò il proprio sacco contenente qualche straccio per coprirsi, in modo tale che Arum vi potesse poggiare la testa a mo' di guanciale, e riposare.

Lo osservò sdraiarsi e socchiudere gli occhi.

«Cerca di riposare, vedrai che andrà tutto bene» gli promise la donna accarezzandogli i capelli.

«Mi manca papà» sussurrò tristemente Arum.

«Lo so tesoro, sono certa che si sarà accampato con gli altri da qualche parte dato che ormai è buio. Vedrai che domattina ci raggiungerà» si sforzò di sorridere per dare convinzione a quelle parole, in cuor suo aveva paura. Molta paura.

«Buona notte, madre» Arum chiuse gli occhi e la donna lo coprì con una coperta in pelo d'asino. Lo baciò sulla fronte per ricambiare l'augurio e raggiunse le altre donne.

Mentre si faceva largo tra le siepi del bosco, notò Cloe che metteva a dormire la piccola Eve.

La guardò abbozzando un sorriso, le faceva tenerezza la bambina, avrebbe voluto anche lei averne una e sperò in cuor suo che con la nuova vita che gli attendeva, avrebbe realizzato quel desiderio.

Cloe le si avvicinò e la prese sottobraccio. «Tutto bene Lily?» le chiese strattonandola con fare scherzoso, accortasi dell'aria assente della donna.

«Oh si cara, certamente. Stavo pensando a delle cose che mi piacerebbe fare nel futuro» rispose entusiasta. Il sorriso dell'altra si fece ancora più largo e gli occhi le scintillarono colmi di speranza e di fiducia.

«Ne ho molti anche io! Non vedo l'ora di poter finalmente raggiungere quell'isola! Spero solo che Derek, Ermac e gli altri si sbrighino. Sarebbe bello partire coi nostri mariti» spinta da chissà quale motivo, la donna guardò nel cielo scrutando fra le stelle. Forse stava pregando la dea Guntia e le stelle che tutto andasse per il meglio e che i loro mariti trovassero presto la strada.

Lily la seguì in esempio e stringendo un pugno osservò un gruppetto di stelle. Le più luminose di tutte.

Ci riponeva lì i suoi desideri più reconditi, fin da quando la presero assieme ad Ermac e la portarono a Londra come schiava. Costretta a pulire le stalle. Arum nacque proprio lì, nelle stalle, una notte d'estate.

Tutti i sogni e le speranze di Lily si riponevano pazientemente in quelle stelle, come se in fondo sapeva che un giorno sarebbe stata ripagata.

Una lacrima le rigò il viso facendosi largo tra le macchie di sporco sulla sua pelle. L'abito stacciato e lurido, i ciuffi di paglia tra i capelli bruni legati a coda di cavallo. Da quanto non si faceva un bagno?

Cloe sembrava leggerle nella mente.

«Dai su, andiamo dalle altre a farci quattro chiacchiere e distrarci un po'» propose l'amica. Prima di andare, Lily avrebbe ancora voluto ringraziarla per il silenzio circa l'identità di Arum, ma temette di risultare ripetitiva e lasciò cadere. Dopotutto, sapeva bene quanto le era grata.

Una volta entrambe le famiglie dovevano perfettamente addobbare la stalla, poiché il sovrano in persona, possedeva un nuovo cavallo ed altri schiavi glielo lustrarono e preparato in maniera impeccabile, in occasione di una cerimonia.

Cloe dimenticò accanto alla stalla un secchio con degli stracci ed una pala sporca di sterco. Non ebbe il tempo di recuperarli, la cerimonia era cominciata ed alcuni cavalieri del sovrano si accorsero degli oggetti.

Si fecero da parte assieme ad alcune schiave, tra cui appunto Cloe e Lily, per chiedere chi fosse la colpevole di tale negligenza.

Cloe era impaurita poiché ben sapeva che avrebbe subito una punizione e conoscendo le altre donne, non avrebbero esitato a fare il suo nome pur di non essere toccate.

Tranne Lily.  Si fece avanti prendendosi la colpa, sotto gli occhi allucinati tutte, specialmente di Cloe che rimase basita di fronte tale gesto.

Uno dei cavalieri la prese e le legò i polsi dietro la schiena con una corda, mentre l'altro recuperò la pala sporca di sterco di giumenta.

Le si avvicinò e la colpì in pieno volto, facendola cadere a terra. Tutte le schiave sussultarono inorridite e terrorizzate, ma non potevano dire nulla. Semplicemente erano costrette a guardare.

Ad osservare mentre il cavaliere usava la pala per picchiare con brutale violenza la povera Lily che si limitava a gemere di dolore e piangere silenziosamente.

Dopo un paio di percosse, l'uomo le sputò addosso ed ordinò alle altre di tornare nelle loro celle e che la donna a terra fosse riaccompagnata da una guardia.

Quando poterono rimanere sole in cella, Cloe prese un pezzo di stoffa e lo umettò in un catino d'acqua dove bevevano, per pulirle il viso e le braccia da sangue e sterco.

«Perché?» le chiese con un filo di voce, piangendo per lei.

«Non ero mai stata punita.. a differenza tua. Non volevo ti picchiassero ancora» rispose tranquillamente l'altra, stremata e ancora dolorante per i colpi subiti. Tremava al tocco dell' amica.

L'abbracciò con cautela.

«Vi ringrazio Lily e vi giuro che questo gesto non me lo dimenticherò mai» esclamò per poi tornare a pulire il corpo della donna.

Mantenere il segreto su Arum era una dimostrazione di gratitudine ed affetto da parte sua nei confronti di Lily.

Le due donne raggiunsero le altre che avevano messo a dormire le loro figlie. Quattro in tutto.

In quel momento, si tenevano impegnate a sistemare i sacchi e gli stracci come letti improvvisati, mentre gli uomini smorzavano il fuoco in modo da non fare troppa luce nell'oscurità impenetrabile della notte e rischiare così di essere visti in lontananza. Gli altri conoscevano la strada da percorrere, quindi non c'era di che preoccuparsi.

Dopodiché sistemarono altri sacchi nei carri e diedero da mangiare bacche ai cavalli.

Si sarebbero riposati fino a tarda mattinata, per raggiungere poi il corso del fiume ed arrivare fino al mare dove li avrebbero attesi l'imbarcazione della salvezza.

Arum nel frattempo non aveva chiuso occhio. Osservava distrattamente le stelle, tremando. Aveva paura del buio e da qualche anno faceva fatica a dormire.

Non ci riusciva più da quando gli arrivavano nella sua cella le urla degli schiavi puniti o torturati dai soldati.

Ancora gli sembrava di udire quei suoni strazianti in lontananza, tanto era assordante il silenzio nel bosco e rumorosi i suoi ricordi.

Aveva paura, ma non lo diceva. Stava poco a poco imparando a tenere dentro sé ogni tipo di emozione, sebbene fosse ancora un bambino così piccolo e non capiva molte cose ancora. Cose da grandi.

Si teneva tutto dentro per non far preoccupare i genitori, specie la madre, che di preoccupazioni ne aveva fin troppe.

Non aveva capito tutto, ma molto si. D'altronde, per un bambino vissuto in schiavitù tra una cella ed una stalla, cosa c'era da capire?

Sperava in una vita migliore, influenzato dai genitori e dagli altri adulti, ma che significava avere una vita migliore?

In quel momento stava ponendo la sua domanda alle stelle.

La sua esistenza era fatta di minacce, di insulti, di paura e umiliazioni. Di sterco di cavallo e paglia.

Si rese conto in quel momento che non aveva mai visto un bosco!

Scattò a sedere e si guardò intorno. Fino a quel momento le stelle le aveva viste da un varco sul muro della sua cella, ma mai in quel modo.

Restò a bocca aperta a guardare l'immenso spiazzo di cielo blu scuro sopra la sua testa. E gli alti pini che lo circondavano.

Si alzò in piedi si avvicinò ad uno degli alberi, per toccarne la corteccia. Ci passò le dita esplorandone il legno ed assaporandone l'odore.

Perfino il terreno lo lasciava meravigliato.

Era colmo d'erba e aghi di pino.

C'erano forse degli animali?

Ogni tanto fra le siepi si poteva udire un fruscio.

Quel pensiero lo entusiasmò e si gettò a terra per rotolarsi sulla terra ridendo di gusto, tanto da costringersi a tapparsi la bocca con le mani per non attirare l'attenzione. Non aveva mai riso con tanto gusto.

E non si era mai lasciato andare. Semplicemente perché non si era mai sentito felice come in quel momento. I profumi del bosco, l'aria, il chiaro di luna, gli alberi. Era tutto meraviglioso e nuovo. Un'incantevole scoperta da esplorare. Eppure i bambini dovrebbero ridere sempre, essere felici in ogni secondo. Ma non lui. Non Arum e quindi quel momento lo avrebbe conservato dentro di sé per sempre, poiché non avrebbe mai potuto dare per scontata una cosa tanto preziosa.

Si rimise in piedi, decidendo che quella notte, no, non avrebbe dormito.

Lasciò la sua postazione per oltrepassare la siepe che accostava il suo giaciglio improvvisato e si incamminò cercando di non far rumore.

Vide in lontananza sua madre in compagnia di altre donne, nello spiazzo dove avevano acceso il fuoco.

La luce della luna, aiutata dalle ombre complici, donava alla natura un aspetto arcano che affascinò il piccolo Arum e lo stupì sempre più.

Fece marcia indietro e avanzò verso l'antro del bosco. Vi si voleva inoltrare un po' di più per magari scorgere qualche animale o qualche novità che potesse ancora sorprenderlo. Adorava quella sensazione.

Mentre camminava guardandosi attorno, finì per inciampare su qualcosa e cadde a terra sbattendo il mento.

Non si fece male, ormai il suo fisico era forte e resistente, avrebbe potuto prendere un sacco di botte senza nemmeno scalfirsi. Ma non se lo aspettava e si girò innervosito per vedere cos'era, pronto a calciarlo per vendicarsi.

«Sei ferita Ary?» lo raggiunse la delicata voce di Eve.

«Io.. no, sto bene grazie. Scusami tanto» rispose Arum avvilito.

Era finito con inciampare su Eve che si era avvolta da una coperta di un verde molto scuro che poteva ricordare il muschio. Facile quindi confonderla.

Sistemò con devota cura i riccioli biondi e sorrise curiosa. «Dove stai andando?» chiese con gli occhi che brillavano. Nemmeno lei avrebbe potuto dormire e probabilmente, pensò Arum, stava provando le sue stesse emozioni.

«A fare una passeggiata.. magari trovo una volpe o uno scoiattolo! voglio vedere la natura!» rispose entusiasta il bambino, massaggiandosi il mento e ripulendosi l'abito.

«Posso venire con te?»

«Perché dovresti?» inspiegabilmente, Arum teneva sempre le distanze.

«Anche io voglio vedere la natura.. e non ho voglia di rimanere sola» gli occhi le divennero lucidi. Quel che desiderava non era altro che fare amicizia. Le altre bambine, tutte più grandi, non si sarebbero interessate a lei.

«Va bene allora.. ma non fare rumore» rispose finalmente Arum. Felice di quella risposta, Eve si alzò in piedi e lo seguì.

Si inoltrarono insieme nel cuore del bosco,  un po’ intimoriti dall'ignoto e dal canto spettrale di una civetta che li colse di sorpresa.

Urlarono entrambi e presero a correre.

Ad un certo punto però, Arum si rese conto di quanto fossero stati sciocchi.

«Era solo una civetta» scoppiò a ridere.

«Non ne avevo mai sentita una così da vicino! mi ha spaventata!» rispose Eve accigliata. Le scappò però un sorrisino.

«Guarda là» il bambino indicò una direzione nel cielo.

«Pipistrelli! oh che schifo!» esclamò con una smorfia Eve.

«Ma no, i pipistrelli sono adorabili» sentenziò lui con un'espressione di disappunto.

«Io però non li voglio vedere, allontaniamoci da qui» la bambina si diresse verso un alto muro di siepi e lo attraversò.

Arum la raggiunse, preoccupato di non lasciarla sola.

Lo spettacolo inatteso li lasciò a bocca aperta. Erano giunti a quello che sembrava un surreale mare candido. Un mare di mughetti.

Sembrava quasi un'oasi che aspettava soltanto che qualcuno vi si tuffasse e se ne deliziasse. Ed è quel che fecero i due bambini dopo essersi scambiati un'occhiata complice e furbetta.

Presi dall'entusiasmo si gettarono sui mughetti e rotolarono divertiti, assaporandone il profumo.

«Non avevo mai sentito un odore così buono!» inspirò estasiata Eve.

«Molto diverso dalla puzza di cacca delle stelle o del vomito nelle celle» rispose Arum disgustato, ripensando ai fetori che erano costretti a sentire.

«Lo sai.. io so di te» riprese la bambina dopo qualche attimo di silenzio.

«Che cosa sai di me?»

«Che non sei una bambina.. insomma.. che sei un maschio.»

«No, non è vero» rispose Arum a denti stretti, ripensando alle raccomandazioni della madre.

«Inutile che dici di no, si scoprirà» ma lo sapeva bene quanto era inutile negarlo.

«Mamma ha detto di tenere il segreto fino a quando non arriviamo all'isola» confessò il bambino infine.

«Ma io non lo dirò a nessuno!»

«Ma come lo sai?»

«Ti ho visto fare pipì in piedi una volta» ridacchiò Eve a quel ricordo.

Arum si sentì sollevato e il senso di disagio che lo accompagnava costantemente, svanì all'istante.

«Dev'essere stato bruttissimo» continuò Eve con aria assorta.

«Cosa?»

«Dover fare la femmina fino ad ora.»

«Non avevo altra scelta.»

Quasi poteva sentire le lacrime che salivano per bruciargli gli occhi. Una vita fino a quel momento gettata. Una prima infanzia sprecata.

Anni portati via dalla reclusione, schiavitù e dal fatto di aver dovuto fingere di essere quel che in realtà non era. Umiliazione dopo umiliazione.

Non si sentivano bambini di sette anni. Stavano crescendo in fretta, eccome.

«Secondo me però non è tutto perduto. Vivremo felici e recupereremo il nostro tempo» sorrise fiduciosa Eve.

«Tu dici? lo spero tanto! Voglio solo vivere come tutti gli altri bambini!»

«Lo desidero anche io» improvvisamente Eve si sentì malinconica. Si alzò da terra e si ricompose, togliendosi foglie dai capelli.

Arum rimase a terra a guardarla. Era così bella e dolce.

Non aveva mai fatto amicizia con nessuna bambina, ma in quel momento era felice di essere lì con lei.

«Andiamo ad esplorare ancora il bosco? Dai! Dai! Dai!» cantilenò insistentemente Eve.

«Ma certo! La notte è nostra!» esclamò entusiasta Arum, seguendo la bambina.

Oltrepassarono il piccolo giardino di mughetti e continuarono a camminare per il bosco ascoltandone i tranquilli suoni.

Riuscirono a vedere una lepre che saltellava fino ad un buco che era la sua tana.

I bambini si fermarono ad osservare il giaciglio dell'animale sperando che tornasse fuori, ma capirono che non lo avrebbe mai fatto in quanto oramai si era spaventato.

Dopo qualche passo, si ripresentò il canto della civetta.

«Questa volta sembra anche più vicina!» affermò Arum guardando tra i rami degli alberi.

«Secondo me arriva da quella parte, Ary» la piccola indicò verso destra, ma la civetta si zittì.

«Arum.. mi chiamo Arum» rispose lui dirigendosi in quella direzione.

Eve si limitò a sorridere ed a ripetere sottovoce il suo nome, seguendolo.

Quando la civetta riprese lo stridio, riuscirono a vederla appollaiata sul ramo di un albero molto alto.

«Guarda eccola!» la indicò Eve.

«È bellissima!» il bambino sgranò gli occhi.

Non ne avevano mai vista una da così vicino.

L'uccello li guardò con la stessa aria curiosa ed un attimo dopo, spiccò il volo allontanandosi.

«Seguiamola!» propose Arum correndole incontro.

Il volatile si rivelò piuttosto veloce e risultò difficile tenere il passo. Ad un certo punto, Arum inciampò sulla radice di un albero, cadendo a terra.

«Dai Arum sbrigati o la perdiamo!» ridacchiò la bambina continuando a correre.

Ma quelle parole furono seguite da un urlo che chiamava aiuto.

Arum si rialzò in piedi di fretta e non badò alla sbucciatura sul ginocchio ed alla ferita ad un braccio. Pensò solo di rimettersi a correre in direzione della voce di Eve che lo chiamava disperata.

Il bambino dovette sforzarsi per non finire nei guai pure lui.

Difatti si ritrovò sull'orlo di uno spaventoso burrone e barcollò per rimettersi in equilibrio, dopo che aveva messo il piede praticamente nel vuoto.

A differenza di Eve che era caduta e si teneva aggrappata alle rocce sporgenti. «Ti prego aiutami» implorò con le lacrime agli occhi.

«Afferra la mia mano» Arum si distese ed allungò il braccio.

«Non ci riesco.. e sto per mollare» esclamò esasperata lei piangendo.

Mantenere la presa era davvero difficile. «Provaci! Non guardare giù e allunga la mano» le disse Arum scorgendosi un poco.

Eve obbedì e le loro dita si toccarono, fino a quando riuscirono a stringersi.

Quando la stretta fu ben salda, Arum tirò la bambina con un enorme sforzo, mentre lei si aiutava con la gambe e coi piedi per usare le rocce a mo' di scalini.

Quando fu in salvo non smetteva di piangere, ma poté sospirare di sollievo.

Arum si assicurò che stesse bene.

«È bello profondo eh?!» cercò di distrarsi lei, voltandosi verso il precipizio.

«Infatti.. c'è mancato poco.»

«Meno male che c'eri tu» singhiozzò abbracciandolo. «Voglio la mamma.»

«Andiamo dai, torniamo indietro, se non ci trovano si preoccupano» Arum fece per svoltarsi, ma lei lo bloccò afferrandogli un braccio.

«Ti sei fatto male.. sanguini» indicò il ginocchio sbucciato del bambino.

«Ma non è niente, non preoccuparti» effettivamente nemmeno gli faceva male. Bruciava solo un pochino.

«Mamma ha dell'acqua nella bisaccia.. so dove la tiene.. ti pulirò la ferita» Eve sembrava entusiasta di poterlo aiutare curandogli quella ferita.

Un gesto semplice, innocente, che fece un enorme piacere ad Arum, per quanto inaspettato.

A parte i suoi genitori, pensava di essere invisibile per le altre persone. Lo avevano da sempre ignorato. Ed ora finalmente aveva potuto conoscere meglio Eve e perché no, poteva considerarla amica.

La sua prima, vera, amica.

Capitolo 2.

Il giorno seguente, Lily rimproverò il bambino per essersi allontanato da solo ed essersi inevitabilmente ferito, ignaro dei pericoli che il mondo poteva riservargli. Ma infondo, cercò di essere comprensiva nei suoi confronti e non denigrarlo per la sua curiosità ed il suo entusiasmo nell'essere libero.

Gli promise che strada facendo, gli avrebbe medicato la ferita con foglie di iperico, in modo tale da prevenire un'infezione.

A tarda mattinata, tutti erano pronti coi carri ed i cavalli scattanti, ma Ermac e gli altri uomini ancora non si vedevano.

Le mogli si strinsero l'una con l'altra guardando il sentiero da dove erano giunti fin lì, il giorno precedente.

«Ma perché ancora non arrivano? Che cosa può essere successo?» prese a chiedere Margaret, una donna alta e magrissima, alla quale probabilmente soltanto un sottile strato di pelle ricopriva l'esile scheletro. Il viso consumato dagli anni e dal duro lavoro di schiavitù.

«Di tutto.. potrebbe essere accaduto di tutto» rispose con rammarico un'altra donna, altrettanto magra e con una cicatrice sotto ad un occhio.

Donne maltrattate, donne derise, donne e mamme che non aspettavano altro di abbracciare i loro focolari che erano i mariti.

Lily e Cloe si scambiarono un'occhiata d'intesa.

La seconda si staccò quindi dal gruppo e raggiunse Albert che stava sistemando gli ultimi pacchi.

«Allora, pronte a partire?» chiese l'uomo vedendola avvicinarsi nella sua direzione.

«Pronte?! è proprio di questo che volevo parlarvi! non possiamo partire! i nostri mariti ancora non si sono visti» obiettò Cloe con le lacrime che affioravano negli occhi di un viso sporco e stanco.

«E allora? non è un mio problema! i patti sono i patti e si era detto che quando il sole era a picco, in alto nel cielo, ci si incontrava alla riva. Ci aspetta l'imbarcazione e siamo già in ritardo» sentenziò l'uomo con un tono che chiaramente non avrebbe ammesso ulteriori obiezioni.

«Ma come potete fare questo a quelli che consideravate amici? a noi? e le nostre figlie allora?» la frustrazione lasciò spazio alla rabbia in Cloe.

Le altre donne si avvicinarono silenziosamente per ascoltare, seguite da Arum e le altre bambine.

«Sentite tutte, quando eravamo in schiavitù, restavamo uniti perché le condizioni lo richiedevano. Ora è diverso, c'è una nave che ci aspetta per una nuova vita, una nave che non sappiamo quando potrà ripassare a causa del mare mosso, dei soldati e dei numi o chissà che altro. Quindi dobbiamo cogliere questa opportunità al volo ed i vostri mariti dovranno trovare un altro modo per raggiungerci. Noi non possiamo permetterci di attendere oltre e non crediate che non mi dispiaccia! Dannazione!» sbraitò Albert, adirato tanto quanto le donne che lo aggredirono verbalmente per la sua insensibilità e arroganza.

Eve si avvicinò ad Arum cingendogli un braccio. «Pensi che rivedremo i nostri papà?» la sua voce non aveva tono né sfumature, come se tutta la speranza e l'entusiasmo che sfoggiava la notte prima, fossero scivolate via.

La stessa cosa la sentiva Arum.

«Lo spero tanto» disse a bassa voce. Avrebbe voluto riabbracciare suo padre in quel momento. Anche se ricominciavano una nuova vita, senza di lui non sarebbe stata la stessa cosa. E sua madre avrebbe sofferto.

La vedeva discutere animatamente con Albert, sostenuta dalle altre.

A differenza di Cloe che era bassina e coi capelli ricci e biondi, legati con una fascia, sua madre era di un'altezza regolare e aveva un fisico longilineo e tonico. I capelli lisci, sciolti sulle spalle.

Era la più bella fra tutte. E per questo, anche invidiata.

Che vita avrebbe avuto senza Ermac? Si sarebbe lasciata andare, sarebbe precipitata inesorabilmente nel vuoto. Uno spaventoso punto di non ritorno.

Pensare che si erano conosciuti molto prima di diventare schiavi.

Lily lavorava in una locanda di una modesta cittadina, per servire ai tavoli, ed Ermac era il bracciante di un fabbro.

Ogni sera si fermava alla locanda solo per osservare Lily e poterle parlare. Arrivò in città da poco per cominciare da capo la sua vita. E vi trovò un tesoro inestimabile ed un motivo per restare.

Lily non avrebbe mai permesso che Ermac facesse una brutta fine a causa dell'egoismo di Albert.

Ma l'uomo era irremovibile. Tuttavia assieme alle mogli, trovarono un accordo.

«Ad ogni tre lune, provvederò a mandare una nave con degli uomini che li cerchino. Condizioni di mare permettendo. Vi sta bene?» quella poteva oramai essere l'unica soluzione. Albert non avrebbe atteso oltre, sarebbe partito anche senza di loro, lasciandole sole coi bambini in balia della sorte.

Le donne si guardarono cercando l'approvazione nei loro occhi ed alla fine, quella alta e magra, acconsentì all'accordo, seguita dalle altre che annuirono.

Preso questo provvedimento, salirono tutti sui carri e partirono a volta del mare.

Comunque nessuna di loro, compreso Arum, smetteva di restare in ascolto in attesa di rumori di zoccoli di cavallo. Speravano di vedere i loro mariti fare capolino tra gli alberi da un momento all'altro.

Speranza. Ancora una volta lei, ma quanto era forte nei loro cuori?

A questo punto, nemmeno loro lo sapevano più ormai. Avevano bisogno delle loro famiglie. Ne avevano eccome. Anni di reclusione, privazioni e sacrifici, ed ora pure di solitudine?

Nessuna di loro lo avrebbe mai accettato.

Un certosino sollievo si presentò quando arrivarono all'imbarcazione. Dopotutto, sarebbero tornati a cercarli e questo rincuorava le donne.

Alcuni uomini, di tutte le età, erano giunti per aiutarli a trasportare i sacchi e le altre cose.

Nell'imbarcazione c'era addirittura lo spazio per i cavalli. Avevano pensato proprio a tutto, sembrano ben organizzati e per niente sofferenti.

Tutti atletici e attivi, soprattutto il loro capo, Tadeo, un uomo alto e possente, con una barba folta nera ed occhietti vispi.

Scambiò un saluto amichevole con Albert, facendosi presentare da tutti gli altri come il capo della cittadina che stavano per raggiungere.

E il fondatore del villaggio e fece costruire case e fattorie apposta per loro. Ognuno avrebbe avuto la sua abitazione, sua mansione, la sua razione di cibo. Tutto era assolutamente ben studiato ed organizzato per garantire loro il benessere. A Tadeo non importava altro che aiutare il prossimo, a far del bene, poiché lui stesso aveva sempre patito la fame e si ripromise di lavorare affinché le cose potessero cambiare. Amava trasmettere emozioni, sentimenti, storia. Fu così che diede vita al suo piccolo angolo di paradiso, dove nessuno li avrebbe mai trovati.

A mezza giornata di viaggio, potevano scorgere l'isola della salvezza. Aveva una forma pressoché ovale, con una terra vasta e verdeggiante. Terreno coltivabile, alberi da frutta, cespugli di bacche. Il luogo ideale.

Dal mare si poteva scorgere la fitta vegetazione composta da diversi tipi di alberi e arbusti. Nessuno avrebbe mai potuto sospettare che nel centro dell'isola vi potesse vivere della gente.

Al crepuscolo, finalmente arrivarono alla ridente cittadina, che accolse i nuovi arrivati a braccia aperte.

Gente giovane ed anziana, cordiale. Bambini allegri e sorridenti. Modeste case, ma curate, a dare forma a quella comunità, assieme a piante, fiori e animali che la coloravano.

Ad Albert e gli altri non pareva vero.

«Direi che stasera daremo il via ai festeggiamenti e domani penseremo con calma alla distribuzione delle mansioni!» Tadeo si rivolse agli schiavi. Anzi, a quelli che erano gli schiavi.

«Per stasera pensate a riposarvi, nella radura c'è una sorgente d'acqua dolce dove potete lavare le vostre vesti e voi stessi. I miei uomini vi accompagneranno alla periferia dove potrete scegliere le vostre abitazioni. Benvenuti a voi tutti! Benvenuti in quella che io chiamo, Sonas Town» a quelle parole ne seguirono applausi, urla e schiamazzi allegri degli abitanti della cittadina, imitati poi dai nuovi arrivati.

Al centro vi erano disposte le botteghe e tutt'intorno le abitazioni, tranne qualche fattoria poco più distante, con campi e allevamenti di polli, conigli, mucche, cavalli e via dicendo.

Le abitazioni dei nuovi arrivati le avevano costruite sparse tutte intorno, coi loro rispettivi terreni coltivabili e le loro stalle.

Aveva richiesto un lungo lavoro a Tadeo ed i suoi uomini, ma ne furono ampiamente soddisfatti. Molti di loro non erano solo amici degli schiavi fuggiti, ma anche fratelli ed altri parenti.

Lily e Arum si sistemarono nella loro nuova dimora. Un giaciglio piccolo e confortevole. Lasciarono i loro sacchi in un angolo della stanza e con aria assorta e vuota, Lily si avvicinò all’ infisso guardando fuori il cielo. Stava pensando ad Ermac e non poteva importarle in quel momento della galline o del campo. Aveva lavorato già abbastanza, voleva solo stare con la sua famiglia. Inoltre si sentiva demotivata senza il marito.

Arum parve capirlo e l'abbracciò. Lui era la sua ancora di salvezza, la motivazione che la spingeva ad andare avanti nella vita, a lottare. Senza Arum lì con lei, si sarebbe sentita completamente smarrita.

«Io sono sicuro che papà e gli altri arriveranno, presto» cercò di rassicurarla il bambino con gli occhi lucidi.

«Lo so piccolo mio, non perderò ciò che ci ha portati fin qui, la speranza» sorrise armoniosa accarezzandogli i folti capelli. «Sei sicuro di volerli tagliare questi?»

«Assolutamente si madre!»

«Ma ti stanno così bene.. hai un viso stupendo tesoro.»

«Non voglio più passare da femmina!» Arum sbatté i piedi a terra, non vedeva proprio l'ora di sbarazzarsene.

«Ti prometto che nei prossimi giorni li tagliamo e ti procurerò abiti da maschietto, va bene?» si abbracciarono nuovamente, Lily voleva solo la sua felicità. Arum ringraziò con un bacio affettuoso sulla guancia.

«Forza ora, andiamo a dormire che domani all'alba dobbiamo essere pronti.»

«Pronti per cosa, madre?»

«Per iniziare la nostra nuova vita» finalmente riuscì a sorridere con entusiasmo e felicità. Si, accantonati i pensieri sul passato e le preoccupazioni, una nuova vita li attendeva accogliendoli a braccia aperte.

«Non andiamo alla festa? ormai sarà iniziata» Arum non vedeva l'ora di rivendere Eve ed esplorare la cittadina.

«Me ne ero completamente dimenticata. Forza, andiamo prima alla sorgente a darci una pulita e poi alla festa» in realtà non aveva molta voglia di stare in mezzo agli altri, sentiva il bisogno di riposare, ma vedendo quella luce di felicità negli occhi di Arum, non poté negarglielo.

 

Detto fatto, poco più tardi si recarono al centro della cittadina dove la gente danzava allegramente, beveva vino, mangiava e si lasciava andare a fragorose risate sotto la musica di un gruppo di uomini che suonavo diversi strumenti con evidente trasporto.

Vedendo arrivare Arum, la piccola Eve si precipitò verso di lui salutandolo da lontano con la mano.

«Ciao Arum! Buona sera signora Lily» esordì la bambina con un largo sorriso.

«Ma ciao cara, dov'è la tua mamma?» le chiese la donna, capendo che i due avrebbero voluto giocare insieme in santa pace.

«Laggiù con le altre signore» la bambina le indicò un gruppo di donne che chiacchieravano sedute su delle panche. Stavano facendo conoscenza con la gente del posto.

«Io allora vado, comportatevi bene voi due e non allontanatevi troppo» si rassicurò Lily prima di lasciarli.

Quando furono soli, Eve prese per mano il bambino.

«Vieni, ti faccio conoscere altri bambini, ti va?» sembrava eccitatissima a differenza di Arum, ma non se la sentì di rifiutare. «Certo! Accompagnami» sarebbe stata una buona scusa per sbloccarsi. Per non essere sempre introverso e taciturno.

Poco più distanti da loro, le bambine che appartenevano al loro gruppo, stavano giocando con gli altri bambini, una dozzina in tutto, di varie età.

Due bambini che sembravano essere coetanei di Arum ed Eve, si avvicinarono a loro per presentarsi.

«Ciao! Io sono Tai e lui è Din! Piacere» salutò quello magro ed alto. A differenza di Din che era paffutello, Tai era un bambino atletico e magrolino, con gli occhi scuri ed i capelli di un castano chiaro coi dei riflessi biondi che danzavano al ritmo della luce proveniente dal falò.

«Ciao a voi, io mi chiamo Arum e lei è Eve» si presentò a sua volta il bimbo, con suo stupore. Non era mai stato tanto disinvolto ed era la prima volta che interagiva in quel modo con un altro bambino.

«Scusa ma sei un maschio? Per come ti sei conciato sembri femmina» chiese all'improvviso Din confuso.

«È una storia lunga» l'imbarazzo prese il sopravvento su Arum e accorgendosene, Eve gli legò a cipolla i capelli sopra la testa. «Ora va meglio!» esclamò esaminando l'acconciatura.

Arum sorrise, lo sapeva far sentire a proprio agio.

«Dai venite, vi faccio conoscere gli altri e andiamo a giocare» proposte Tai euforico.

Altri fanciulli dunque si unirono a loro e fecero amicizia fin da subito coi due nuovi arrivati. Era tutto un po' strano per Arum e mai avrebbe pensato di trovarsi così bene con altri bambini.

Si rincorrevano, ridevano, scherzavano e Arum si sentì più felice che mai.

Qualche ora più tardi, il gruppetto si diresse verso le loro mamme, dopo esser stati richiamati da due ragazzini più grandi.

Lily e Cloe parlavano con René, la madre di Tai.

«Guarda mamma, questi sono i miei nuovi amici» il bimbo indicò Arum ed Eve che si avvicinarono alle loro rispettive mamme.

«Che fanciulle deliziose» si complimentò la donna sorridendo ai due.

«Ma no mamma, Arum è un maschio!» esclamò Tai indicandolo, attirando l'attenzione delle altre donne.

René fece un sorrisetto che pareva una smorfia ed espresse il suo dispiacere per l'equivoco.

Lily e Cloe si scambiarono un'occhiata fugace.

«Gli devo sistemare i capelli, lo so» giustificò Lily imbarazzata.

Una delle donne che era schiava assieme a loro, si avvicinò assieme ad altre e Margaret. «Che cosa significa tutto questo?!» chiese la donna paonazza in viso.

«Arum è mio figlio. Un figlio maschio» rispose decisa Lily, ma abbassando lo sguardo.

«Come avete potuto! Come diamine avete potuto tenere nascosto un figlio maschio per tutto questo tempo!» sbraitò la schiava.

«I nostri figli ci sono stati strappati dalle braccia per mandarli in campo e voi vi siete comportata da vigliacca!» continuò un’altra donna, incalzata poi dalle altre che inveirono contro Lily che si fece piccola sotto il peso di quelle accuse e degli insulti.

Arum si sentiva impotente e si strinse a sua madre.

«Basta ora! Ma come vi permettete do giudicarla? Avreste fatto anche voi la stessa cosa che ha fatto lei,  se ne aveste avuta la possibilità!» intervenne Cloe in sua difesa.

«Facile per voi parlare, avete solo una femmina! Ci portiamo addosso un dolore immenso e non è giusto! Non è giusto che questa sgualdrina l'abbia fatta franca» Margaret puntò il dito contro Lily, che nonostante tutto non si vergognava. Perché vergognarsi di aver salvato il proprio figlio da un oscuro destino?

Vedeva nei loro occhi tutta la rabbia, il risentimento, la rassegnazione per quei figli che non avrebbe rivisto mai più e che molti di loro probabilmente erano già morti.

«Non mi pento di quello che ho fatto! Mi spiace aver mentito a tutte voi, ma l'ho fatto a fin di bene! A bene di mio figlio!» Lily si alzò dalla panca e prese Arum per mano, non voleva aggiungere altro, sapeva già che si era guadagnata il loro odio e disprezzo.

Mentre si allontanavano, sentivano gli insulti e le imprecazioni contro di lei arrivarle alle spalle come dardi avvelenati.

Faceva male, ma sarebbe stato peggio restare lì a discutere.

Rincasati, Lily sbarrò la porta della casa. Temeva che arrivasse qualcuno nel cuore della notte ad aggredirli. Che fossero ostili fino a quel punto?

Arum scoppiò a piangere sentendosi in colpa.

«Piccolo mio, non hai colpe. Riposiamo e domani sarà un nuovo giorno e vedrai che andrà meglio!» cercò di confortarlo la madre.

«Ne siete sicura madre?»

«Certo.. capiranno le mie intenzioni, prima o poi» cercò di sembrare il più convinta possibile, ben sapendo che non sarebbe stato facile farsi accettare e perdonare.

Mise Arum a letto ancora singhiozzante e gli baciò delicatamente la fronte augurandogli la buona notte.

Prima di coricarsi a sua volta, guardò verso l'esterno e tutto pareva tranquillo. In lontananza non si vedeva più la forte luce dei falò, ma solo colonne di fumo.

La festa era finita.

 

Giunta l'alba ad illuminare l'isola e la cittadina, Lily ed Arum si prepararono ad affrontare la giornata.

La donna accese il focolare nell'abitazione e preparò gli utensili necessari, ben riposti in un armadietto di legno, per preparare un'omelette con le uova che Arum raccolse nel loro nuovo pollaio.

Dopodiché, lavati e sistemati grazie ad una botte e l'acqua di sorgente, si recarono nella piazza, dove Tadeo distribuiva le varie mansioni.

I bambini se ne stavano in casa invece ad aiutare, oppure raggiunta una certa età, potevano dedicarsi a dei lavoretti manuali, utili alla comunità.

Lily incontrò Cloe strada facendo che si sentiva entusiasta di poter lavorare nella pescheria della cittadina.

«I miei complimenti cara» si congratulò Lily, come se nulla fosse successo nella serata precedente.

«E voi cosa pensate di poter fare? ci avete pensato?»

«Io da giovane lavoravo in una locanda, quindi magari.. chissà» la donna si fece cogliere all'improvviso dai ricordi.

«Be' qui a quanto pare di locande ce ne sono tre, dunque buona fortuna! Io passo da casa per avvertire Eve» fece per voltarsi, ma Lily la interruppe.

«Ieri è successo altro?» doveva sapere.

«No.. ma non abbassate mai la guardia» rispose schiva, prima di andarsene.

I due allora si misero in fila assieme ad altre persone, dinanzi un bancone allestito da Tadeo per l'occasione.

Erano gli ultimi e le persone davanti a loro ogni tanto si giravano per lanciare occhiatacce oppure borbottavano tra di loro, sicuramente per espellere commenti poco gradevoli.

Persino i passanti si voltavano di tanto in tanto in direzione di Lily. Le chiacchiere maligne e gli sguardi erano tutti rivolti a lei che si sentì in disagio oltremisura.

E quando arrivò il suo turno, Tadeo assunse un'espressione più seriosa. La prima volta da quando lo avevano incontrato, dato che manteneva stampato sul viso un perenne ed immortale sorriso.

Tranne in quel momento, in cui un velo oscuro gli scivolò sul volto.

«Buongiorno a voi!» salutò dopo essersi schiarito la gola.

«Buongiorno signore.. è rimasto qualcosa per me?» chiese esitante Lily. L'avvolse sulle spalle una temibile sensazione.

«Che cosa sapete fare cara?»

«Be' prima della schiavitù lavoravo in una locanda.»

«Cuoca?»

«Servivo ai tavoli.»

«Ah capisco» l'uomo aggrottò la fronte guardandosi rapidamente intorno.

«Venite con me un secondo» fece cenno con la mano a Lily, lasciando la sua postazione. «Ti rubo per un secondo tua madre ragazzo,  tu per favore dai un'occhiata qui, resta di guardia» disse ad Arum facendogli l'occhiolino. Perfino il bambino comprese che la situazione si era fatta seriosa per davvero.

Lily e l'uomo si allontanarono, appartandosi tra due case.

Assicuratosi che fossero rimasti soli, Tadeo si massaggiò nervosamente il mento, riflettendo sulle parole da dire alla donna. E come dirle.

«Vedete ieri sono volate pesanti accuse ed insulti, lo sapete bene.. io non voglio tutto questo caos nella mia cittadina» quella premessa agitò la donna.

«Io non ho fatto niente di male, vi prego dovete credermi!»

«Calmatevi signora, mica voglio cacciarvi! Tuttavia non posso offrirvi un lavoro al momento.. i vostri ehm.. compagni di disavventura diciamo, sono stati chiari al riguardo poiché ce l'hanno con voi.. dobbiamo solo aspettare che si calmino le acque.»

«Ma io che cosa faccio nel frattempo? come sfamerò mio figlio?» le preoccupazioni andavano sempre rivolte ad Arum e l'uomo non parve indifferente a tal proposito. Stimava Lily.

«Io avrei agito nel vostro stesso modo signora, avete tutta la mia comprensione ed appoggio. Dunque, fino a quando non potrete ottenere un impiego, potrete rivolgervi a me per qualsiasi cosa. Vi aiuterò in tutto, ogni quattro lune vi farò visita e vi porterò tutto ciò che vi occorre. Voi non dovete fare altro che occuparvi del bestiame, della casa, di vostro figlio e dei campi» quelle parole e la generosità di Tadeo la commossero. Il primo sconosciuto ad essere magnanimo con lei.

«Non potrò mai ringraziarvi abbastanza per tutto quello che state facendo» singhiozzò Lily.

«Suvvia non piangete e non dite così! per me è un piacere e poi ho tre figli anche io! Giusto ieri sera mi sono accorto che il più piccolo giocava con il vostro» ridacchiò Tadeo sperando di averla confortata e messa a proprio agio. L'espressione di Lily glielo confermava. «A tal proposito signora, se vostro figlio vorrà partecipare a delle lezioni assieme agli altri piccoli.. ne sarò felice» continuò l'uomo.

«Lezioni di che cosa?»

«Mah, di tutto. Lezioni di caccia, pesca, filatura e tessitura, combattimento.. autodifesa s'intende» spiegò entusiasta.

«Sono sicura che gli farà un immenso piacere.. non ha mai avuto amici, purtroppo» si rammaricò Lily.

«Allora siamo d'accordo! andate pure, ci rivediamo fra quattro lune e le lezioni inizieranno fra due cicli lunari, gliene parli a suo figlio» si scambiarono i convenevoli, la donna ancora con le lacrime agli occhi non smetteva di ringraziarlo e non avrebbe mai smesso. Era di buon cuore, quel Tadeo, lo aveva capito. Sapeva leggere dentro le persone.

Tornarono da Arum e salutandosi, la donna lo prese per mano e rincasarono, spiegandogli la situazione strada facendo. L'idea delle lezioni lo entusiasmava più di quanto non si aspettasse da sé stesso. Era una buona opportunità. Avrebbe potuto davvero sbloccarsi ed uscire dal guscio che si era costruito negli anni di schiavitù.

Infondo dunque, non tutti i mali vengono per nuocere e c'è sempre un lieto fine a tutto, anche se magari piccolissimo e dall'apparenza insignificante.

Quando arrivarono al limitare della cittadina, diretti in periferia, Lily guardò verso la fitta boscaglia dove dall'altra parte si trovava la spiaggia.

Al prossimo ciclo lunare avrebbero riportato da lei suo marito?

Desiderò vederlo arrivare in quel preciso istante, abbracciarla per infonderle coraggio. Assieme a lui sentiva di poter affrontare qualsiasi cosa, si sentiva forte.

Invece sola e circondata da tutta quella ostilità, non poté che sentirsi debole. Impotente.

 

 

Capitolo 3.

Il primo ciclo lunare della loro nuova vita trascorse più velocemente di quanto Lily ed Arum potessero immaginare.

Lavorare nei campi e col bestiame risultò come sempre faticoso, ma molto diverso rispetto a quando costretti in schiavitù. Tuttavia ad entrambi rimase dentro una sorta di trauma, che li accompagnava ogni notte nei loro incubi. Sognavano le urla della gente frustata e percossa, gli sguardi e gli insulti delle guardie, dei soldati. Il dolore, la rassegnazione dei loro compagni schiavi. Le continue umiliazioni. La fame e la sete accompagnate al freddo ed al caldo. Tutte sensazioni ed esperienze che flagellavano i loro sogni, impressi nella mente come macabre stigmate che a fatica sarebbero svanite.

Arum si svegliò di colpo nel cuore della notte madido di sudore. Aveva sognato di essere strappato via a sua madre e rinchiuso in una cella buia, strettissima e con una puzza tremenda di sterco di cavallo.

Si affacciò all’infisso scostando la tenda in pelle d'asina. All'esterno la brezza era leggera e la luna piena bagnava il viso del bambino coi capelli curati, tagliati e sistemati. Aveva ripreso l'aspetto di un maschietto.

Si strofinò gli occhi assonnati e respirò la brezza come a volersi togliere dalle narici il fetore di quel sogno che lo aveva disturbato.

In lontananza, un potente ululato lo fece sobbalzare.

C'erano dei lupi in quell'isola? Com'era possibile? Oltretutto nessuno li aveva avvisati, tantomeno Tadeo. Eppure se non li avevano avvisati per mettersi in guardia e per proteggere il bestiame, allora probabilmente c'era poco da temere.

Un secondo ululato e Arum tornò a letto di corsa. Lo spaventavano i lupi ed i loro inquietanti versi.

D'istinto sarebbe uscito a vedere se fuori non ce n'era nessuno e se le sue pecore stavano dormendo tranquille, ma la paura lo stava trattenendo. Uscire da solo, col buio, non si sarebbe potuta rilevare una buona idea.

Teneva a quelle pecore, si era affezionato. Cloe le aveva regalate a sua madre come segno di amicizia, per aiutarla considerando che non aveva ancora un impiego. La lana ed il loro latte li avrebbe potuti usare come merce di scambio. Cloe non se ne poteva occupare, troppo impegnata alla pescheria ed Eve aveva già molte faccende da sbrigare.

Ma non era il momento di pensare agli animali, era più saggio dormire. L'indomani sarebbe stato un giorno importante.

Infatti il giorno dopo, l'imbarcazione degli uomini di Tadeo, sarebbero ritornati dopo essere andati alla ricerca degli uomini mancanti come da promessa.

Tadeo e le mogli coi figli, attendevano sulla spiaggia il loro arrivo con l'emozione che stringeva le loro gole ed i loro cuori.

Gli uomini di Tadeo presero a scendere dall'imbarcazione, ma non accompagnavano nessuno e ciondolando verso la loro direzione, scuri in volto, diedero la brutta notizia.

«Signore.. ci dispiace infinitamente, ma non li abbiamo trovati» annunciò il capo della spedizione, un uomo atletico e biondo, vestito con un'armatura di cuoio e bracae a rete.

Le donne si frantumarono dentro ed i loro sguardi si spensero.

«Com'è possibile?! conoscevano la postazione, glielo avevano spiegato!» esclamò con tono incredulo Margaret.

«Avete cercato bene?!» intervenne Lily sputando le parole, liberate da un nodo alla gola. Sarebbe potuta scoppiare a piangere da un momento all'altro. «Be' meritereste che vostro marito fosse morto!» rispose arcigna Margaret, prima che l'uomo potesse parlare.

Cloe entrò in difesa di Lily ammonendo l'altra e scoppiò una lite smossa dalla disperazione.

«Signore calmatevi!» urlò nella loro direzione Tadeo. «Marcus, rispondi alla domanda della gentile signora» incalzò l'uomo dopo che le altre si zittirono.

«Abbiamo circumnavigato tutto il perimetro, alcuni dei miei uomini si sono inoltrati nel bosco, ma nessuna traccia del passaggio di qualcuno» rispose Marcus schiarendosi la gola ed assumendo un tono composto.

Le mogli, scoppiarono tutte a piangere e singhiozzare all'unisono. L'unica cosa che volevano era riabbracciare i mariti e maledissero sé stesse per aver dato retta ad Albert.

«Suvvia, so che per voi è difficile, ma sicuramente saranno nascosti da qualche parte! Al prossimo ciclo lunare, torneremo a cercarli, intanto magari può darsi ci raggiungano loro stessi in qualche modo, non credete?» cercò di rincuorarle Tadeo, ma senza ottenere successo né riscontro. Perché oltre al dolore, si aggiunsero a loro rabbia ed altre emozioni del tutto negative che annebbiavano le loro menti già fragili.

Eve con lo sguardo perso nel vuoto prese da parte Arum stringendogli la mano. Anche quando si allontanarono di poco dalle loro madri, la bambina teneva lo sguardo fisso nel mare.

«Pensi che i nostri padri siano morti?»

«No, non lo penso.»

La voce di Arum era un sussurro, non poteva nemmeno lontanamente pensarlo.

«Ho paura» ammise Eve guardandolo negli occhi.

Ma lui si rifiutava di credere che fosse successo qualcosa di brutto ai loro padri. «Non devi. Ci sono qua io a proteggerti» rispose di getto. E senza dire nient'altro, si abbracciarono.

 

I giorni galopparono e le donne ripresero il loro ritmo quotidiano, con canonica pazienza nell'attendere la fine del secondo ciclo lunare. I lavori, la casa, ed i loro rispettivi figli, assorbivano il loro tempo e quindi le preoccupazioni.

Arum si dava da fare in giardino e col bestiame, mentre sua madre si occupava della casa e dei campi. Tutto il giorno. Ciononostante rimaneva comunque assai più gradevole del loro lavoro in schiavitù. A confronto, non pesava per nulla e anzi, lo facevano piuttosto volentieri.

Arum inoltre si era appassionato ai fiori grazie a sua madre che gli aveva insegnato a prendersene cura.

Avevano piantato davanti casa molte piantine di primule, camelie, aquilegie. Il segreto, gli rivelò Lily, era parlarci.

Il bambino si accovacciò a terra tra le camelie e ne accarezzò i petali con devota delicatezza, esaltando la loro bellezza con fieri complimenti. Un fruscio di vento li fece scuotere e ad Arum parve quasi che danzassero per lui in segno di gratitudine.

Successivamente con perizia li annaffiò con l'aiuto di un vaso bucherellato sul fondo. Quei semplici gesti e l'allegria dei fiori, lo divertivano e lo facevano sentire bene, rilassato. La natura aveva un immenso potere sulle emozioni umane, nonostante la sua delicatezza ed impercettibilità in questo operato.

Quando il bimbo si rialzò in piedi per ammirarli, il vento cessò di colpo e rumori di passi attirarono la sua attenzione.

Che intenso odore di muschio, sicuramente è Tadeo. Pensò Arum, riconoscendolo.

«Ciao piccolo!» salutò l'uomo quando fu abbastanza vicino.

«Ciao! mamma è dietro casa» già sapeva che era lì per il baratto, come aveva promesso. Ogni quattro lune si presentava con qualche sacco di tessuti, utensili, cibo. Una volta portò perfino un agnellino da aggiungere al loro gregge.

«E tu come stai?» chiese Tadeo quasi ignorando l'affermazione del bambino.

«Sempre indaffarato tra i fiori e gli animali. Mi piace molto» si dimostrava entusiasta, ma per la prima volta, Tadeo gli trasmetteva una sensazione non molto gradevole. Indecifrabile, come il suo sguardo negli ultimi giorni.

«Mi fa piacere! ho notato che passi molto tempo col mio Tai e la cosa mi riempie di soddisfazione, mi piaci come amico di Tai» effettivamente suo figlio era uno dei pochi bambini che giocava con Arum assieme ad Eve e Din. Erano diventati inseparabili, ma gli altri bambini solitamente restavano in disparte, specie le figlie delle schiave, alla quale era stato impedito di rivolgere la parola a lui ed a Lily.

«Tai mi è molto simpatico, signore. È un po' difficile fare amicizia» il bimbo si riferiva proprio a quelle situazioni degradanti.

«Lo so, me ne rendo conto. Ma come dico sempre, qui ci vuole solo armonia. Vedrai che le cose cambieranno. Specie se troviamo tuo padre e gli altri uomini. Ora vado da tua madre, fai il bravo ometto» si congedò Tadeo, lasciando ammutolito Arum.

Lo guardava in maniera piuttosto strana, poco convincente. Ed inoltre quel se, lo disse cambiando tono. Perché avere dubbi sul ritrovamento di Ermac e gli altri? Di sicuro erano fuggiti dalla grande città. Si nascondevano da qualche parte là fuori. Dov'era il problema?

Quel dubbio di Tadeo parve insensato ad Arum e senza un vero e proprio motivo, decise che Tadeo non gli piaceva. Istintivamente si sentiva di mettersi in guardia da lui poiché qualcosa in quell'uomo non lo convinceva per niente.

 

In quella stessa settimana, il bambino portò al pascolo il gregge di pecore quasi tutti i giorni, spostandosi sempre un po' più lontano rispetto il limitare dei campi della loro proprietà o dei piedi del monte.

Quel giorno, un delizioso pomeriggio soleggiato e tiepido, Arum intraprese un piccolo sentiero naturale che attraversava il boschetto ai piedi della montagna. Ovviamente non erano le stesse montagne ed i stessi boschi che si trovano sulla terraferma, ma ad Arum parvero molti simili e come tutte le novità che poco a poco scopriva, lo incuriosiva molto.

Dopo tanto camminare cominciò a stancarsi e così decise di sostare sotto un grosso e all'apparenza robusto albero. Dava una strana sensazione, come fosse il padre del boschetto.

Le pecore si sparpagliarono per riposare e brucare l'erba, mentre il bimbo si sdraiò all'ombra e le osservava. Non poteva perderle di vista un secondo, avrebbe dovuto avere un aiuto con lui.

Forse un giorno ci avrebbe dovuto portare Eve.

L'abbiocco prese il sopravvento e senza nemmeno accorgersene, si appisolò, con la brezza che gli accarezzava dolcemente il viso come una mano affettuosa.

Non seppe con precisione per quanto avesse dormito, il sole era ancora alto e bruciante in cielo, ma qualcosa lo svegliò all'improvviso.

Il gregge era parecchio agitato, andavano avanti e indietro belando nervosamente ed alcuni agnellini osservavano incuriositi un cespuglio.

Arum si avvicinò con cautela, cercando di riportare l'ordine e di rimettere in riga le pecore, ma lo raggiunse un nuovo rumore.

L'abbaiare di un cane.

Velocemente scostò gli agnelli che scapparono lontani dal bambino, correndo. Strano che erano rimaste lì a ficcare il naso, pensò Arum.

Scostando il cespuglio, lo attaccò un animaletto piccolo e veloce, che gli saltò addosso continuando ad abbaiare. Arum per lo spavento cadde a terra all'indietro e si accorse che quello che troneggiava sopra al suo torace, era un cagnolino.

Aveva a malapena i dentini e due piccoli canini che mostrava mentre ringhiava.

Il bimbo sorrise e lo prese fra le braccia. «Ma ciao piccolo!» esclamò a voce alta divertito. Di colpo, il cucciolo cessò di abbaiare e strizzò gli occhi disturbato dal sole, guardando il viso del bambino.

Era piccolissimo e gracile, nero e con le grandi orecchie abbassate.

Arum lo strinse a sé teneramente e so guardò attorno restando in ascolto. Un cucciolo così piccolo, non poteva essere arrivato fin lì tutto solo, sicuramente la mamma si trovava da qualche parte lì intorno.

Provò a controllare nelle vicinanze, ma non vide nessuna traccia di altri cani.

E se per caso li avessero presi i lupi? Quel pensiero era troppo tragico da sopportare, il bambino lo scacciò immediatamente dalla mente.

No, la mamma di quel piccolo era sicuramente viva e lo stava cercando.

Ma Arum non poteva abbandonare il gregge. Guardò le pecore calmarsi con rassegnazione e sollievo.

Si stava inoltre facendo tardi e non poteva trattenersi oltre.

Poggiò il cucciolo a terra dopo avergli dato un bacio sulla testolina liscia. -Io adesso devo andare piccolo, tu torna dalla tua mamma!- lo salutò il bimbo, accarezzandolo per un'ultima volta mentre il cucciolo lo guardava scodinzolando.

E’ proprio bello e tenero, pensò.

Il continuo belare delle pecore riportò a loro l'attenzione e si accorse che alcune si stavano dirigendo verso la parte opposta, per inoltrarsi nel bosco.

Arum corse verso di loro per fermarle, in tutto erano sei.

Anche il cagnolino schizzò nella stessa direzione e quando raggiunse le pecore, pur scodinzolando, abbaiò contro gli ovini che si bloccarono di colpo.

Arum ne rimase colpito. Incredibile, pensò.

Si avvicinò velocemente alle fuggitive e le riportò dalle altre, sempre seguito dal cane. Non lo mollava più.

«Complimenti cucciolo! Sei stato bravissimo! Tu si che saresti un valido aiutante» disse il bambino accarezzandolo. Di colpo quell'idea gli balenò alla mente facendolo riflettere.

Se quel cucciolo era solo, sarebbe morto di fame e di sete nel giro di pochi giorni. E questo, Arum non lo avrebbe permesso.

I suoi occhietti imploravano aiuto e coccole. Come resistergli?

Non poteva lasciarlo nel bosco tutto solo ed inoltre sentiva di affezionarsi un poco a lui. Senza contare che poteva essere d'aiuto con le pecore, le galline, i ladri.. i lupi!

Sua madre sicuramente avrebbe accettato. Ci teneva molto che si occupasse degli altri, umani o animali che fossero.

«Allora è deciso, ti porterò a casa con me piccolino» disse Arum continuando ad accarezzarlo. Il cane ricambiò leccandogli il polso in segno di gratitudine. Qualcosa di misterioso pareva legarli all'istante, creando un feeling molto particolare. Sarebbe stata un'amicizia bellissima ed importante, questo Arum lo sentiva nel profondo. Con gli esseri umani era tutto un po' più complicato.

Mentre riprendevano la strada verso casa, le pecore si unirono come di dovere, col cucciolo che saltellava tra loro ed Arum che lo guardava divertito. Doveva trovarli un nome. «Come ti potrei chiamare?» attirò l'attenzione del cagnolino che gli tenne il passo standogli accanto.

Il bambino intanto esaminava una lista di nomignoli accettabili per la personalità e la presenza del cucciolo.

Pensava e ripensava, ma gli veniva di scartare ogni possibilità, pensando che ogni comune nomignolo non era adatto a quel cane.

Finché..

«Corbey! Ti chiamerò Corbey!» un nome di una persona, cara per giunta, era sicuramente l'ideale. Gli sembrava calzare a pennello col cagnolino che pareva annuire con gli occhi e la coda che sventolava giocosamente. «Allora è deciso, ti chiamerò come il nonno!»

Corbey Kingsdale difatti, era il nonno paterno di Arum, morto quando Ermac era poco più che un ragazzo.

Discendeva da una stirpe piuttosto ricca che governava su una terra allora sconosciuta a molti. Corbey si rivelò piuttosto duro con i suoi sudditi e per questo, alcuni di loro si ribellarono in seguito ad altre invasioni sul territorio, così il dominio di Kingsdale cadde drammaticamente in rovina.

Riuscì a salvarsi col figlio Ermac. La moglie invece, rimase uccisa durante la rivolta.

Vissero in miseria ed isolamento del resto del mondo per alcuni anni, finché Corbey non morì in seguito ad una malattia e agli stenti. Durante un rigido inverno, lo colpì una violenta tosse che lo portò alla morte.

Ermac rimasto solo si vide costretto ad andarsene, a provare a tornare in mezzo alla civiltà nascondendo la sua discendenza.

Fu così che con le poche cose che possedeva, si recò nel villaggio in cui in seguito conobbe la graziosa Lily.

Questo fu tutto ciò che il padre di Arum gli raccontò. Non andava fiero di Corbey né del passato della sua stirpe. Tuttavia gli aveva voluto molto bene e la sua dipartita lasciò un segno in Ermac.

Arum entusiasta pensò che suo padre, conoscendo il cagnolino, sarebbe stato felice del nome che gli aveva designato in onore del nonno.

Anche Lily fu entusiasta del pensiero profondo che aveva tenuto il bimbo, poiché da queste piccole cose, non trascurabili, la facevano sentire orgogliosa di lui. Il cucciolo Corbey ottenne l'affetto e le coccole dei due ed una nuova casa.

Nei giorni a seguire, Arum presentò a Tai e gli altri, il suo nuovo compagno. Si ritrovarono spesso a giocare ed il loro legame si rafforzava sempre un po' di più. Ogni tanto Din faceva delle domande ad Arum ed Eve sulla loro vita durante la schiavitù, facendosi così travolgere ed abbandonare a vecchi ricordi, raccontandoli come fossero leggende sentite dai loro cari e non esperienze vissute direttamente sulla loro pelle. Parlarne poteva fare male, turbarli, ma sapevano anche che si trovavano al sicuro.

I mesi volarono e durante un pomeriggio plumbeo, i quattro amichetti e Corbey, si allontanarono verso il limitare della città ed il boschetto che li nascondeva dalla spiaggia. Se non avesse piovuto, sarebbero andati a fare un bagno al mare.

In quel momento mangiucchiavano frutta fresca  stando seduti in cerchio, riparati dalla vegetazione.

Eve si guardò attorno. «Sapete, quest’isola secondo me è molto strana, ci sono ogni tipo di fiori e piante» osservò rivolgendosi a Tai.

«Mio padre dice che è una specie di.. non lo so di preciso.. una specie di centro magico o qualcosa del genere. Quest’isola è magica» rivelò il bambino.

Eve ed Arum lo osservarono stupiti. Il bimbo pensò che anche l’amica ogni tanto avvertiva qualcosa di strano in quel posto.

«Siete qui da molto?» chiese lui a Tai.

«Io sono nato qui. Mio padre e gli altri sono arrivati qualche anno prima, credo» rispose riflettendoci.

«Quanto vorrei che i nostri padri fossero qui» continuò Eve assorta da tristi pensieri.

«Dovremmo andare noi a cercarli!» azzardò Arum.

Eve alzò lo sguardo nella sua direzione. «Come?»

«Ci vorrebbe una zattera o qualche altra imbarcazione che ci spingesse fino alla terra ferma.»

Din scambiò un’occhiata con Tai. «Io so dove tengono una zattera.. ma è proibito usarla» rivelò.

«Mio padre si arrabbierebbe molto» confermò Tai.

«Certo, anche le nostre madri, ma a me non interessa.. portatemi da questa zattera per favore, ci vado da solo se occorre!» Arum si sentiva convinto di quello che stava dicendo e delle sue intenzioni. In qualche modo, lo aveva spinto Eve con le sue parole.

«Tu sei matto! Potremo finire seriamente nei guai» lo ammonì Tai, ben conoscendo la severità del padre, nonostante l’apparenza da uomo docile.

«Non sei costretto a venire con noi se non vuoi, Din mi accompagni?» l’espressione sul volto di Arum era un chiaro segno che non avrebbe accettato un no come risposta.

«Dai che male c’è se li aiutiamo Tai? Vi accompagno anche subito! Anzi, vengo assieme a te Arum. Io ho imparato a navigare ed usare la zattera!» Din parve disponibile senza pretese ad aiutare gli amici, ma Tai si tirò indietro. «Andateci voi allora, io non voglio saperne» si alzò in piedi e se ne andò sbuffando dopo aver raccolto qualche banana.

«Non ci metteremmo molto, solo un paio d’ore.. non se ne accorgerà nessuno!» riprese Arum, col consenso di Din il quale si trovava del suo stesso parere. Non facevano nulla di male, pensarono.

«Posso venire con voi?» chiese Eve intimidita dalla situazione.

«Certo!» risposero gli altri due all’unisono.

 

Arum richiamò Corbey e tutti insieme, si spostarono sulla spiaggia, fino ad un lato seminascosto da alte rocce e scogli, in cui vi si trovava la zattera ormeggiata.

Din sciolse i nodi della spessa corda che la teneva avvinghiata ad un palo di legno e fece segno agli altri di salire a bordo. Il cielo era plumbeo, ma il mare calmo. Sarebbero arrivati velocemente a terra ferma, senza problemi.

Arum ed Eve avevano il cuore in gola, si sentivano tempestati da diverse emozioni. Avevano una sorta di paura, sia di affrontare il viaggio, sia di fallire. Ma anche emozioni positive, magari i loro genitori si trovavano dall’altro lato, sulla spiaggia, ad aspettarli inconsapevolmente.

Col passare delle ore si sentirono tutti stanchi, affamati ed assetati, ma ce la fecero ad arrivare.

«Ragazzi, io vi aspetto qui. Non mi sento granché bene e non voglio lasciare la zattera incustodita» annunciò Din con la benedizione degli altri.

Un poco storditi, si misero in marcia verso l’inoltrarsi del bosco oltre la spiaggia.

Corbey pareva stare sull’attenti, istruito da Arum.

«Secondo te ci possiamo fidare di lui?» esordì Eve dopo un lungo silenzio.

«Parli di Din? Secondo me si. È quel Tai che a volte mi convince poco.»

«Ma è nostro amico.»

«Lo so, eppure.. ad ogni modo, faremo meglio a sbrigarci. Staranno arrivando.»

«Chi sta arrivando?»

«Tadeo e gli altri. Sono sicuro che li ha avvertiti» Arum prese per mano l’amica ed aumentò il passo.

Riconobbero la zona in cui avevano sostato con Albert e tutti gli altri. C’erano ancora segni del passaggio di qualcuno. E impronte. Recenti.

«Guarda qui!» Arum indicò a terra. «Queste orme non sono le stesse che abbiamo lasciato noi! È passato troppo tempo, sarebbe impossibile!» osservò guardandosi poi attorno alla ricerca di altri indizi.

«Pensi quindi abbiano sostato qui?»

«Si Eve. Non più di qualche luna fa» quella rivelazione in qualche modo turbò entrambi. Com’è possibile che erano così vicini e non li avevano mai trovati? Erano arrivati lì da poco? Magari dopo le ricerche da parte di Tadeo e gli atri uomini.

L’abbaiare di Corbey li colse di sorpresa spaventandoli e raggiunsero il cane che annusava qualcosa a terra. Quando si avvicinarono, poterono vedere che erano chiazze di sangue.

«Cosa potrà mai essere accaduto?!» Eve inorridita distolse lo sguardo. Quasi le venne da piangere. Il cagnolino subito dopo alzò la testa e riprese ad abbaiare contro qualcosa.

O qualcuno.

Arum se ne accorse e si precipitò nella direzione osservata da Corbey. Altre chiazze di sangue macchiavano il terriccio. Qualcuno stava scappando ed era ferito. Un cervo?

No, un uomo. Qualcuno zoppicando stava tentando da scappare dai rumori sconosciuti e dall’abbaiare di Corbey.

«Hei tu laggiù! Fermati!» urlò Arum.

Sentendolo parlare, Eve e Corbey lo raggiunsero. L’uomo si bloccò di colpo. Non poteva credere di udire la voce di un bambino.

«Chi sei?» chiese a voce alta, trovandosi ad una certa distanza.

«Mi chiamo Arum! Arum Kingsdale!» rispose Arum alzando la voce, sperando di farsi sentire anche dagli altri che dovevano essere nei paraggi.

L’uomo si bloccò di colpo ed un attimo dopo tornò indietro per raggiungerli.

«Che sia stata una buona idea?» Eve non fu certa che quel tizio potesse essere uno degli schiavi, anzi, avrebbe potuto essere chiunque.

«Che mi venga un colpo! Siete proprio voi! E tu allora è vero che sei un maschietto, Ermac mi ha raccontato tutto» esclamò stupito l’uomo, scoppiando poi a ridere. Incredulo che fossero davvero lì, proprio davanti a lui. Si trattava di Duke, uno schiavo. «Che cosa ci fate voi qui da soli? Dovreste essere sull’isola assieme a tutti gli altri!»

«Siamo venuti qui a cercarvi, non ne possiamo più di restare senza i nostri papà» spiegò Arum abbassando la guardia, felice di essere riuscito a trovarli.

«Che canaglie che siete!» sorrise divertito ed intenerito l’uomo.

«Perché sei ferito? E dove sono i nostri papà?» Eve indicò la gamba sanguinante di Duke.

«Ragazzi miei è una lunga storia, abbiamo avuto delle difficoltà e due di noi sono morti. I vostri padri stanno bene, ci siamo nascosti in una piccola grotta, seguitemi» a fatica,  l’ uomo si voltò e riprese a camminare zoppicando, ma non ci fece caso. Avere lì quei due piccoli eroi gli diede carica. Potevano essere a loro ancora di salvezza.

Arrivati alla grotta, Ermac e Derek, il padre di Eve, accorsero ad abbracciare i loro figli, con immensa sorpresa e felicità. Non potevano sentirsi più felici come in quel momento.

Restarono tutti uniti per qualche minuto, incapaci di staccarsi. «Non immaginate nemmeno quanto vi abbiamo pensato e quanto ci siete mancati!» esclamò commosso Derek.

«Merito di Arum padre, l’idea è stata sua. Ci mancavate molto anche voi» pianse fragorosamente di gioia la piccola Eve. A quelle parole, anche Ermac ammonì i bambini smosso dalla preoccupazione, ma non poté sentirsi fiero del coraggio del figlio. «E lui chi è?» Ermac indicò l’animale che restava sempre accanto ad Arum. «Padre, lui è Corbey!» lo presentò fiero il bambino. «Lo hai chiamato come il nonno! Bravo figliuolo, sono felice che hai un nuovo amichetto tutto tuo» si abbracciarono un’altra volta. Arum sapeva di aver scelto il nome giusto.

Arlo, un altro schiavo, aiutò Derek a sedersi e gli fasciò la gamba. Solo in quel momento, i bambini si accorsero che erano in quattro e non in sei. «Dove sono gli altri?» si incuriosì Arum.

Ermac scambiò un’occhiata d’intesa con l’amico. «Purtroppo figliolo, non ce l’hanno fatta. Sono morti» quelle parole lasciò basiti i due ragazzini. Com’era possibile?

«Li hanno uccisi le guardie dell’imperatore?» azzardò Eve con lo stomaco in subbuglio.

«No, siamo stati attaccati da una creatura spaventosa» Derek abbracciò la figlia come a volerla proteggere.

«Quale creatura?»

«Un lupo che sembrava un uomo» fu Ermac a rispondere per l’amico e ad Arum scattò qualcosa. Una creatura con sembianze di lupo? Non poteva essere certo che si poteva trattare di una semplice coincidenza.