Prefazione

Vuoto.

Lacrime oscure sgorgano dai miei occhi di tanto in tanto, quando giunge il crepuscolo e mi preparo ad affrontare una nuova notte nell'intricato caos della città.

Mi manca la mia sorellina Harmony, mi manca avere una vita normale, senza dovermi per forza nascondere. Affliggo il mio corpo di tatuaggi come se fossero una maschera che ricopre questa mia blasfema fragilità.

Vi starete chiedendo chi io sia ed il motivo che mi spinge a sentirmi così schifosamente depresso. Solitamente non lo sono, ma la nostalgia di casa e la lontananza dalla mia gemella, mi riducono in questo stato pietoso.

In realtà, non so più nemmeno io chi sono.

Tutto quello che posso dire è che mi chiamo Justin Zachary Kingsdale, ma tutti mi chiamano Zack.

Il mio primo nome di battesimo è vietato pronunciarlo, proprio come a mia sorella Kimberly Harmony, poiché sono nomi noti alle razze degli immortali.

Noi siamo vampiri, per metà demoni con poteri dalla straordinaria forza. Anime disperse, corpi rinnegati ed esiliati, da tutti bramati e allo stesso tempo temuti.

Nostro padre Arum è il più potente e nobile anziano vampiro degli Stati Uniti d’America.

Nostra madre invece è per metà empusa e possiede poteri di strega, caratteristiche di cui ci ha fatto dono, o maledetto.. secondo i propri gusti.

Debbo dire che non è mai stato facile. Per niente. Convivere con questo peso sulle spalle e con la responsabilità di essere figli di una figura importante.

Ho dovuto gestire i miei poteri legati all’elemento dell’acqua.

Gestire ed ammaestrare il mio essere vampiro e quel che ne consegue.

Incanalare la brutalità della mia parte demoniaca.

E’ forse vita questa?

Dovrei sopportare tutto questo per l’eternità?

Me lo chiedevo spesso, ma probabilmente la risposta la troverò nell’esperienza.

La violenza inaudita che mi porto dentro, causa della maledizione, un giorno so che non mi comanderà più. Sarò io a piegarla sotto il mio volere.

Assurdo pensare che ci invidiano o che bramino tale scempio.

Fin da piccoli, noi gemelli siamo stati desiderati da tutti proprio per i nostri poteri.

Tentarono di rapirci lican, drow, ghoul, vampiri di clan nemici. Furono tutti schierati contro mio padre che dichiarò guerra a chiunque avesse cercato di strapparci a loro. Ma gli alleati del nostro clan non riconoscevano in lui quella furia cieca ed odio, mai appartenutegli prima. Cominciarono così a porsi delle domande ed a dubitare del suo ruolo di anziano, chiedendosi se fosse ancora meritato.

Inoltre si faceva strada nelle loro menti un certo timore ed angoscia per noi due, per la nostra parte demoniaca.

Ammetto che crescendo, siamo stati un po’cattivelli, ma ora a vent'anni suonati ci siamo un pochino calmati. I nostri genitori si preoccuparono per la nostra sorte e per il futuro dell'equilibrio del casato e così un giorno, dalla nostra casa a Los Angeles, ci spedirono a New York, sotto la giurisdizione e la protezione di un altro anziano, Vektor.

Potevamo girovagare liberamente per la città, vivere soli, ma con l'obbligo di presentarci al suo cospetto una volta al mese, per verificare che la nostra condotta fosse distinta e fare rapporto in caso di pericoli o attività sospette.

Il solito giorno giungerà a breve, ma lei non è più qui con me, mi ha lasciato e se ne è andata per conto suo, cosa dirò a Vektor? come giustificherò la sua assenza?

In seguito ad una furiosa lite, sentiva il bisogno di starmi lontana per un po’, infrangendo le regole sebbene lei stessa si lamentava di quanto le infrangessi io.

Mi affaccio alla finestra.

Mi manca davvero.

Spero tornerà presto.

Avverto sospette vibrazioni nell'aria, qualcosa di allarmante potrebbe accadere.

Molto presto.

É inevitabile per me ficcarmi nei guai.. è la mia storia.

La nostra storia.

Due ali di sangue di un eterno diavolo, la notte.

 




Capitolo 1

La luna gravida fece capolino tra cupe nubi, per assistere il mare che tremava agitato.

L'acqua sembrava quasi vibrare febbrilmente sotto incantesimo, sotto la frenesia di qualcuno percependone la sua sofferenza. Infatti l'acqua era attratta dal combattimento che avveniva in quel momento dentro ad Harmony, la vampira per metà empusa e con poteri di strega, legati al medesimo elemento. Infatti ella era in grado di plasmarlo, controllarne la temperatura, la consistenza.

L'acqua le obbediva come una serva devota e soffriva con lei, quando ad ogni luna piena di un intervallo di due mesi, il suo lato demoniaco si presentava puntuale e più famelico che mai.

Le empuse infatti sono demoni femminili che adescano uomini col loro fascino e dopo averci avuto un rapporto sessuale, li divorano senza pietà. Per anni, Harmony aveva lottato contro la fame di sangue per il suo lato di vampira e ne uscì vincitrice, nutrendosi solo di animali e di sangue preso ad esempio dagli ospedali, proprio come facevano i suoi genitori ed il suo clan.

Ma la parte demoniaca la sconfiggeva quasi ogni volta, si faceva sempre più prepotente e vogliosa.

Invidiava il fratello, da maschio non subiva gli stessi effetti, sebbene fosse difficile anche per lui. Purtroppo lasciò alle sue spalle una fila di cadaveri che la fecero vergognare di sé stessa.

Pulsava.

Tutto di lei pulsava in quel momento, nascosta in un container del porto di San Francisco.

Avrebbe resistito questa volta?

Troppo difficile e forse troppo tardi, stava cedendo.

Sembrava che una sferzata di aghi le trafiggessero la pelle. Si mise a carponi, mentre la spina dorsale ondeggiava come se fosse di stoffa anziché di ossa, diventando sempre più calda e quel bollore le scese fino alla vagina che si infiammò di brutale astinenza sessuale. La bocca impastata, bramava il gusto del sangue e le percorse l'esofago fino allo stomaco in una morsa straziante di fame e bisogno di carne umana.

Sentiva di non farcela più, la sua mente soggiogata oramai, troppo debole in quel periodo, per poter lottare contro la sua opprimente natura. Gli occhi grigi le divennero completamente gialli, mentre affilati artigli ornavano le dita affusolate. Emise un urlo angosciante con tutta la potenza del suo diaframma, spalancando le fauci. Lo stridio rimbombò e la sua potenza fu tale, che catturò l'attenzione del guardiano che stava compiendo la ronda e proprio in quel momento si trovava nelle vicinanze del container che illuminò con la torcia, chiedendosi quale assurdo animale avesse potuto emettere un tale urlo terrificante.

Non ebbe il tempo di avvicinarsi ulteriormente che con un calcio, Harmony ne sfondò l'apertura ed avanzò sotto i pallidi raggi lunari.

La guardia si mise sull'attenti.

«Chi va là? fermo!» urlò in direzione della vampira puntandole la pistola d'ordinanza contro.

Lei si voltò nella sua direzione, fremendo e spalancando le orbite.

Lui rimase impietrito dal fascino del suo corpo completamente nudo, tanto che gli cadde a terra l'arma. La vampira si avvicinò a passo felpato, ondeggiando sui fianchi sensualmente con l'odore di umano che le stuzzicava le narici.

La guardia stava per proferire parola, ma la mente gli si annebbiò di colpo quando il suo sguardo venne rapito da quello di Harmony che lo ammaliò all'istante e prontamente lo sbatté contro un altro container, afferrandolo con una mano alla gola e baciandolo sulle labbra.

Meccanicamente, senza nemmeno accorgersene, egli ricambiò il bacio e quando le loro lingue si toccarono, la ragazza fece scorrere la saliva nella gola di lui.

Il calore del suo corpo ed il dolce pulsare delle sue vene erano invitanti, tanto ch'ella non resistette e gli strappò i pantaloni ed i boxer di dosso ed afferrando il suo membro inevitabilmente rigido, si penetrò con foga sotto i gemiti soffocati dell’uomo.

Harmony diede sfogo a tutta la sua pulsante lussuria ad ogni colpo che si dava ondeggiando il bacino sulla povera vittima che restava inerme, inebetito dall'influenza di lei e dall'eccitazione, senza rendendosene conto di quel che stava accadendo. Harmony sentiva violente scosse di frenesia e godimento, percependo l'odore dell’uomo che traspirava dalla sua pelle, un manto commestibile che senza più trattenersi, trafisse coi suoi artigli.

Li piantò nelle sue spalle, mentre serrava le grandi labbra con una forza brutale, in quella che si rivelò una morsa fatale nel momento in cui, scostando il suo corpo, gli staccò il membro.

Non ebbe il tempo di urlare, violentemente lei lo sgozzò, squarciandogli la carne con estrema facilità, come un abile cuoco sventra un animale col suo fido coltello.

Il sangue le zampillò addosso come una cascata cremisi, provocandole un appagante orgasmo, facendo così cadere a terra il genitale della guardia.

Spalancando le fauci si avventò sul suo corpo e lo divorò, gli staccò febbrilmente le braccia strappandogli la divisa per finalmente, placare  la fame, lasciandosi andare a quel prelibato banchetto.

Per sua sfortuna, se così si può dire, arrivò qualcuno ad interromperla colpendola alle spalle con un oggetto piuttosto pungente.

Si scostò dalla carcassa di quel che rimaneva dell'uomo e si voltò ad osservare con un grugnito l'aggressore, distinguendo una figura femminile.

«Non ci posso credere.. sei tu» esclamò allarmata la donna.

Harmony d'istinto fece per attaccarla, ma quella si difese con la sua arma, una frusta d'argento che fece scoccare sul suo viso, ferendola e tramortendola.

 

Si risvegliò in una stanza, distesa su un sofà di velluto. Sentiva la testa pesante e l'inconfondibile sapore ferroso in bocca che la fece sussultare, acquistando la consapevolezza che ci era ricascata, che senza volerlo aveva strappato nuovamente una vita innocente a causa dei suoi dannati appetiti.

Si mise a sedere accorgendosi di indossare una camicia da notte, sporca di qualche goccia di sangue sul colletto.

Non le apparteneva, significava che qualcuno l'aveva guarita.

Di sicuro non fatta bere dal momento che dormiva.

A quel punto entrò nella stanza la donna misteriosa.

«Finalmente ti sei svegliata, sono due notti che non apri gli occhi» esordì avanzando, mostrandosi sotto ai raggi della luna che filtravano da un'ampia vetrata.

«Arleen! sei stata tu a salvarmi? che cosa mi è successo? ho forse..» abbassò lo sguardo.

La vampira Arleen era un'amica di famiglia, quasi una zia per la giovane Harmony ed in quanto tale, si sentiva in dovere di proteggerla come una vera nipote.

«Sì.. di lui era rimasto ben poco, se ne sono sbarazzati i miei servi. Ma tu dimmi, che ci fai qui a San Francisco?» le chiese accarezzandole i capelli con fare delicato.

«Non ce la facevo più a stare con Zack a New York! è davvero insopportabile molte volte.. si caccia sempre nei casini, addirittura per fare soldi si è messo con dei criminali a spacciare droga.. insomma dovevo staccarmi da lui e.. volevo vedere la città in cui ha vissuto mia madre da umana.. ho pensato che sarebbe stato bello» gli occhi le si velarono di lacrime.

«Avevo sentito infatti una potente presenza. Ti rendi conto che stavo quasi per ucciderti? So

quanto per voi sia ancor più pericoloso l'argento.. fortuna che ti ho colpita piano. Ho dovuto e di questo, ti chiedo scusa» si rammaricò Arleen sistemandosi il ciuffo biondo.

«Lo capisco, non preoccuparti.. ho sbagliato, la situazione mi ha moralmente debilitata e così ho ceduto.. me ne vergogno» si prese il viso fra le mani scoppiando in un pianto di penitenza.

«Sei ancora troppo giovane ed emotiva.. non se ne può fartene ina colpa. Ciò che è più grave è il fatto che hai lasciato il tuo gemello.. hai infranto un'importante regola» l'ammonì Arleen.

«Me ne rendo perfettamente conto.. ho sbagliato» ammise Harmony.

«Io purtroppo non ti posso accompagnare a New York, perché sto partendo per Sacramento con

una certa urgenza» la vampira si voltò con una smorfia, sperando che l'altra non le chiedesse di accompagnarla.

Ma si sa, chi vive sperando..

«Che cosa ci vai a fare? Il tuo territorio è questo» Harmony pregustava il sapore d'avventura.

«Ho un'importante missione e no, non fare quello sguardo non ti ci porto, scordatelo» la

ragazza infatti aveva una forte influenza sui vampiri comuni col magnetismo del suo sguardo.

«E dai per favore! Ho già avuto modo di visitarla questa noiosa città! portami con te, non ti darò fastidio lo giuro! e poi mi potrai tranquillamente accompagnare a New York, ok? dopotutto, non posso stare sola.. giusto?!» sapeva di colpire Arleen nel punto critico.

«Quando vuoi una cosa la ottieni sempre, sei la degna figlia di tuo padre! e va bene, ti porterò con me» decise infine.

«Ma dovrai obbedirmi e non farti vedere dal capo clan» si morse il labbro inferiore a quelle parole.

«Ah e perché? problemi con mio padre o.. con me forse?» anche se non lo voleva far notare, la

voce di Harmony divenne malinconica.

«Lo sai che negli ultimi anni le cose sono un po’ cambiate piccola.. a molti capo clan non piace la vostra natura di demoni, mi dispiace.. ma hei, ci sono io a proteggerti» le alzò il viso poggiandole due dita sul mento e le diede un bacio sulla fronte.

«Sei gentile Arleen, ti ringrazio.. ma non occorre.. ho capito e non ti sarò d'intralcio» abbassò lo sguardo, pensando come al solito quanto era dura non essere accettati. Sentirsi costantemente, i diversi.

«Allora va bene.. senti, io ora devo controllare se sono pronti per la partenza, i miei uomini. Se ti va, puoi venire con me e te li presento. Ma prima ti faccio rivestire» la prese per mano e l'alzò dal divano, accompagnandola nella stanza successiva, immensa e ben arredata a stanza da letto, ma priva di finestre.

«Scusa la domanda.. ma che posto è mai questo?» Harmony contemplò l'esagerata ampiezza della stanza.

«Tesoro, ci troviamo negli studi televisivi abbandonati della periferia di San Francisco» rispose Arleen facendole cenno di sedersi sul letto. Frugò nell'armadio e le passò un paio di pantaloni neri in pelle, un'ampia camicia rossa a merletti ed un corsetto nero. Infine, stivaletti neri.

L'abbigliamento risaltava il suo corpo perfetto ed il generoso seno che si scopriva dalla camicetta. La lastra di ghiaccio dei suoi occhi si illuminava tra la frangia dei lunghissimi capelli corvini.

«Sei bellissima!» commentò Arleen, scaturendo l'imbarazzo dell' altra che non coltivava molta autostima.

Successivamente, la donna l'accompagnò a presentarle i suoi seguaci. In particolare due di loro,

Malik ed Amos, i suoi due sergenti.

«Piacere di conoscervi.. non avevo mai visto un vampiro del tuo colore» Harmony indicò il primo.

«Non siamo in molti e mi auguro che questo non sia un particolare rilevante» rispose aspramente

Malik, afroamericano.

Tutti si stavano preparando a cenare tra le stanze minori, mentre Amos dava disposizioni ad alcuni servi per ultimare i preparativi di un furgone, il mezzo che avrebbero utilizzato per spostarsi.

«Spazioso e non da troppo nell'occhio come le nostre auto» spiegò ad Harmony che lo fissava, coinvolta dal suo aspetto rude, ma gradevole.

Si sedettero tutti e quattro in cerchio ad un tavolo imbandito di fegati e cuori di vari animali, rigorosamente freschi e crudi.

«Partiremo tra un'ora, l'ho già avvisato su whatsapp del nostro arrivo» informò Malik.

«Perfetto mio diletto. Tu cara ci dovrai attendere nel furgone, come ti ho spiegato non è il caso che Travis o i suoi uomini ti vedano» Arleen assunse un'espressione che non avrebbe tollerato alcuna obiezione.

«Non mi potete nemmeno accennare a cosa si tratta?» chiese Harmony timidamente, succhiando pezzi di fegato di conigli, quasi rimpiangendo il sapore degli umani.

«Di preciso non lo so nemmeno io di cosa ha bisogno, so che è importante e serio, altrimenti non mi avrebbe mai chiamata. Travis è molto ottuso ed orgoglioso» la vampira ripercorse a mente tutte le volte che si era scontrata con lui ed a quanto fosse bizzarro che ora chiedeva proprio il suo aiuto.

 

Poco più tardi erano già immersi nella strada trafficata. Harmony si sentiva smarrita, la luna piena riposava al termine del suo ciclo. Ella detestava dover rimanere fuori dalla missione, non sopportava di sentirsi esclusa e c'era dell'altro.

Un certo turbamento nelle viscere, una sgradevole sensazione che le portò alla mente il fratello. Soffriva senza di lei?

Non era facile nemmeno per lei, ma si sentiva sollevata di aver passato giorni senza litigare o di dover ascoltare i soliti sproloqui di Zack. Cercò di fare mente locale sugli ultimi avvenimenti precedentemente al suo sfogo demoniaco di due giorni prima.

Era sbarcata a San Francisco con una nave mercantile, ma non ebbe il tempo di visitare tutta la città con calma e si ripromise di tornarci prima o poi, magari col fratello.

Aveva lasciato il cellulare a New York ed i vestiti le si erano strappati la fatidica sera. Non aveva niente con sé e questo la fece sentire quasi impotente, ma senza un motivo apparente.

Stava diventando troppo materialista? le mancava qualcos'altro, ma non seppe capire cosa esattamente.

Il tragitto per Sacramento risultò piuttosto breve per la ragazza che notò alcune auto della polizia sfrecciare con le sirene lampeggianti. Percepiva un'energia nella città che non conosceva, apparteneva sicuramente ad una razza di creature che non aveva mai visto e dedusse che avrebbe potuto essere quello il motivo della missione, ma preferì tenere la cosa per sé al momento, per non immischiarsi, proprio come Arleen aveva desiderato.

Eppure più si inoltravano nel centro della città e più la sensazione di quell'aura le scorreva sottopelle come un ago.

Era qualcosa di veramente malvagio.

«Dove si trova la loro base esattamente?» prese a chiedere per distrarsi.

«Loro vivono in un nascondiglio sotto ad un ristorante, siamo quasi arrivati» le rispose Arleen facendo cenno ad Amos di svoltare a destra di un grande incrocio, per prendere una strada in cui il lusso sfoggiava impertinente tra hotel a cinque stelle, boutique di haute couture, gioiellerie ed il Pearls Restaurant, il locale di destinazione.

Parcheggiarono a debita distanza e scesero dal furgone.

«Aspettaci qui e non ti azzardare ad entrare nel ristorante. É una proprietà di Travis, quindi ci lavorano i suoi uomini. Intese?» l'espressione di Arleen si mantenne seria.

«Non preoccuparti, non farò nulla di stupido» rispose Harmony sdraiandosi sul sedile posteriore del furgone. La capo clan accennò un sorriso amorevole e facendo cenno ai suoi sergenti, si diresse dall'altra parte della strada.

Li osservava guardinghi dirigersi a destinazione e non appena furono entrati nel locale, scese dal furgone e li seguì.

Non avrebbe potuto fare altrimenti, peccava di curiosità.

Attese qualche istante prima di entrare, mettendosi alle spalle di un'elegante coppietta.

Lo sfarzo del ristorante era impressionante, Harmony non ne aveva mai visto uno così bello, si era abituata a frequentare i fastfoods e le locande assieme al fratello.

Luci soffuse facevano volteggiare le ombre nel locale, come una delicata danza sotto la melodia di tre uomini che volteggiavano tra i tavoli suonando il violino.

L'arredamento mobiliare era dorato e rosso bordeaux, come ci si può aspettare dai vampiri che elogiano l'emozione di quel colore. Lo stesso rosso delle rose che decoravano verticalmente l’impeccabile carta da parati.

Harmony avanzò specchiandosi nei cristalli dei lampadari, quando il capo sala le si avvicinò vestito di bianco e rosso, a differenza dei camerieri in nero e oro, evitando di stare sotto i cristalli.

Infatti a differenza sua, i vampiri comuni si riflettevano negli specchi solo come un’ombra offuscata. 

«Signorina posso aiutarla?» esclamò l'uomo, senza accorgersi della sua identità, poiché ella inoltre, era in grado di incanalare la sua energia e nasconderla dalle sensazioni primordiali degli altri vampiri.

«Sto aspettando un persona che arriva subito, mi può indicare il bagno per cortesia?» esordì lei impassibile, mantenendosi composta.

«In fondo la sala a destra, signorina» nel formulare la risposta la squadrò sospetto e si rese conto in quel momento che non era vestita in maniera consona. Non sarebbe passata inosservata, ma col capo sala si limitò a ringraziare con un cenno del capo e attraversò il salone più velocemente che poteva, fino a svoltare a destra verso i bagni.

Oltre a questi c'era un piccolo corridoio che portava ad un ascensore rivestito dello stesso motivo della carta da parati. Sperò che potesse condurla da Arleen e gli altri, quindi non esitò ad entrarci.

C'erano solamente due pulsanti, l'ascensore scendeva verso il basso e così dedusse che fosse quello giusto.

Infatti quando si riaprì, Harmony si ritrovò in un lungo corridoio sotto al salone del ristorante. Lo attraversò, aprendo poi la porta decorata che la ospitò in un ampio salone ottagonale.

La raggiunsero delle voci dalla porta di fronte a lei e cautamente si avvicinò.

Era fin troppo curiosa di sapere, doveva assolutamente conoscere lo scopo di quella visita.

 

Nel Pearls Restaurant c'era fermento.

Al caposala qualcosa non tornava.

L'avvenente brunetta aveva un comportamento che non lo convinceva e chiamò un cameriere per controllare i bagni delle signore o di scendere al piano inferiore.

Intanto la ragazza era ancora intenta ad origliare dietro la porta principale del salone.

Dall'altra le arrivavano dei sussurri.

La voce di Arleen e di un altro tizio, probabilmente Travis.

La vampira chiuse gli occhi e si concentrò sui suoi timpani, affinché l'udito potesse percepire anche il più piccolo rumore, ma senza esagerare altrimenti avrebbe sentito l'intera città per miglia e miglia.

Udì nell'edificio l'acqua che scorreva tra i tubi, l'aria che filtrava dagli spifferi del piano superiore. I rumori nelle cucina, i passi della gente ed i loro sospiri, le loro risate, il battito dei loro cuori. Tutto le era amplificato in testa, finché incanalò le onde sonore esclusivamente nella stanza oltre la porta.

La voce di Arleen le arrivò chiara e distinta.

«Quando siamo arrivati in città io non ho avvertito nulla di malvagio, quindi escluderei anche io a priori che si possa trattare di licantropi» sembrava nervosa. Invece lei aveva perfettamente percepito la presenza. Rimase in ascolto.

«Non credo nemmeno si trattino di demoni o spiriti, insomma nessuna entità astratta» proseguì una voce maschile.

L'attenzione del suo udito si spostò al felpato rumore di passi alle sue spalle. Non fece in tempo a voltarsi che qualcuno l'afferrò alle braccia.

Urlò d'istinto e cercò di strattonarsi, ma un secondo uomo le bloccò le gambe.

Il frastuono attirò l'attenzione di Arleen e gli altri nella stanza che aprirono la porta.

A farlo era un omone grande e grosso.

«E questa chi sarebbe? mostratela al capo» ordinò l'omone ai due camerieri che trascinarono di peso Harmony nella stanza.

«Un'intrusa! come osa» tempestò Travis alzandosi in piedi da dietro la scrivania con un scatto.

«Ma che fate siete impazziti forse?! lasciatela andare! è un membro del nobile casato dei Kingsdale! è la figlia dell’ anziano!» urlò allarmata la capo clan, preoccupata dell'affronto ai danni di una figura così imponente.

Travis ed i suoi si inchinarono in segno di rispetto.

«Scusateci signorina, non vi avevo riconosciuta ed i miei umili servi sono da poco tempo al mio servizio, vi prego di essere clemente» si scusò lui, un vampiro di mezz'età umana, ma con più secoli di Arleen alle spalle.

«Potete stare comodi, non è successo nulla di grave» si ricompose Harmony imbarazzata.

Il vampiro si rimise in piedi fulminando con lo sguardo la collega, per poi rivolgersi nuovamente alle giovane.

«Permettete la domanda, come mai vi trovate da queste parti?» la colse di sorpresa e così intervenne prontamente Arleen.

«E’ di passaggio e non volevo lasciarla sola così.. è colpa mia» le sue parole toccarono la giovane, probabilmente con quell'interruzione aveva messo a repentaglio anzitutto la sua immagine.

Lo aveva chiaramente detto, l’amica, che non doveva farsi vedere e si pentì di averle disobbedito.

«No, la colpa è mia che non ho atteso fuori, ma comunque.. se posso ormai.. di che parlavate? io una presenza in città l'ho percepita eccome, quando siamo arrivati» cercò di rimediare, ma si morse la lingua poiché l'espressione sul volto di Travis si fece ancora più truce.

«E così Arleen, ce la volevi forse nascondere? con l'aggravante che ha ascoltato la nostra conversazione» dal suo tono trapelava tutta la sua ira.

«Non ti volevo nascondere nulla, ma ti conosco Travis! ormai il danno è fatto, sediamoci tutti e parliamone con calma» propose Arleen, mentre l’uomo fece cenno ai due camerieri di ritirarsi. Presero tutti a sedere.

«Con te farò i conti più tardi» Arleen rimproverò la giovane per averle disobbedito, sebbene in fondo se l'aspettava ed il monito dunque valeva anche per sé stessa.

«Non dovreste essere qui e non vi dovremmo coinvolgere.. non diremo nulla a vostro padre, ma vi chiedo la cortesia di non intralciarci» riprese Travis.

«Ma io posso aiutarvi! Non ho sentito tutto quello che dicevate, ma ho capito che discutevate su avvenimenti insoliti ed io venendo qui ho percepito una presenza» dichiarò Harmony obbiettando. Tutti i presenti la fissarono.

«Tu cosa?! e perché non ci hai avvertiti subito?» intervenne Arleen.

«Molto interessante.. falla parlare» la interruppe il capo clan.

«Be’ era un'energia di qualcuno che non conosco, sicuramente né vampiri né demoni.. non ho detto nulla perché temevo di infastidirti» rispose lei abbassando lo sguardo.

«Quindi voi riuscite a percepire qualcosa che noi comuni vampiri non sentiamo.. preoccupante. Dovremmo tenervi con noi, ci servite» sentenziò Travis sotto lo sguardo contrariato di Arleen che obbiettò scaturendo una lite.

Non avrebbe mai permesso che la figlia di un anziano corresse dei rischi, ma Travis era fin troppo deciso e intestardito nel suo intento di coinvolgere quella che sarebbe potuta essere un'importante, se non fondamentale, alleata.

«Pazzesco, sembrate i miei genitori! perché nessuno qui chiede la mia opinione?» urlò Harmony bloccandoli.

I due la guardarono, ma non ebbero il tempo di proferire parola.

«So che vuoi proteggermi Arleen, ma voglio unirmi a voi. Non correrò rischi promesso, ma fammelo fare! Non ho un posto dove andare al momento, perché non mi sento ancora pronta a tornare da Zack. Quindi per favore, fatemi restare con voi, fatemi collaborare e poi giuro che tornerò dritta da mio fratello» a quelle parole, i due si scambiarono un'occhiata ed alla fine, Arleen dovette cedere.

«Sei in gamba e coraggiosa, la degna figlia di tuo padre. Qualsiasi cosa io dica ora, credo sarebbe inutile. D'accordo, sediamoci» ripresero i loro posti e Travis espose la situazione per metterla al loro passo circa le informazioni sugli ultimi avvenimenti.



 

Capitolo 2

Da qualche settimana, la sfavillante e movimentata capitale della California era flagellata da sospetti crimini. Tra i quali infatti, vedevano coinvolti i rapimenti di circa una trentina di ragazzi, ambosessi, tra i quali a quanto parve, anche due vampiri del clan di Travis. Venne a conoscenza inoltre, che si aggiravano tra i luoghi maggiormente frequentati dai vampiri stessi, alcuni uomini dall'aria insolita e furtiva, molto probabilmente gli stessi uomini la quale aura poteva essere percepita solo da Harmony.

«Certo ci potrebbe essere un collegamento.. la situazione è davvero strana, appaiono questi tizi e cominciano a sparire ragazzi umani e vampiri.. lei che percepisce queste presenze sconosciute.. bene, direi che dobbiamo cominciare ad indagare fin da subito» riassunse Arleen.

La faccenda infatti apparve piuttosto seria, in quanto ai vampiri capi piaceva avere tutto sotto controllo, gli imprevisti non furono mai ben accetti.

«Mi sta solleticando una certa idea» riprese Travis.

«Dovreste farvi avanti voi signorina, dato che riuscite a sentirli.. e so anche come!» il suo sguardo si fece più sicuro.

«Da qualche anno non ho alleati nella polizia e questo è uno svantaggio.. purtroppo ci sono stati vari problemi con loro, quindi preferisco gestire una giurisdizione tutta mia. Quindi voi dovreste farvi avanti, cercando il modo di avvicinarvi il più possibile al detective che indaga sul caso e scoprire cosa sanno loro di questa storia, in modo da avere per noi una pista da seguire» suonava più come un ordine che non come una proposta, ma Arleen obbiettò ugualmente.

«Abbiamo stabilito che può aiutarci, ma addirittura esporla così tanto?» la sua voce era pregna di sincera preoccupazione.

«Sì! ce la posso fare e credo che non potrei correre dei rischi.. penso proprio di esserne all'altezza» si entusiasmò la giovane, forse troppo, ma non vedeva l'ora di entrare in azione ed oltre alla sua furbizia, sapeva bene come ottenere quelle informazioni.

Il suo fascino e la sua carica erotica, sarebbero stati l'asso nella manica che avrebbe giocato fin ad inizio partita.

«Allora affare fatto, benvenuta nella squadra, signorina Kingsdale» si complimentò Travis stringendole la mano, studiando a mente un piano.

 

Il detective della omicidi Jason Radcliff, durante le prime ore di quella stessa alba, si alzava dal letto stancamente, come ogni giorno, per trascinarsi sotto la doccia, cercando di svegliarsi grazie all'acqua gelida che sferzò sul suo viso di trentacinquenne, ancora giovane e scattante, con un fisico asciutto ed i capelli di un castano chiaro che riflettevano la luce a neon come spighe di grano sotto al sole di un pomeriggio d'estate.

Jason era suo malgrado schiavo della routine, da quando la moglie Corina l'aveva lasciato un anno prima, per i continui litigi che scoppiavano a causa del suo pericoloso lavoro. Ma egli non poteva sacrificare la sua passione per nessuno, nemmeno per l'unica donna che aveva mai amato davvero. Molto probabilmente no, non aveva mai amato nessuna prima di lei.

Fare carriera nella polizia era per lui una ragione di vita ed un patto che aveva stipulato col suo defunto padre sul letto di morte, quando Jason era ancora un giovane studente.

Suo padre per lui era un esempio da seguire, l'uomo perfetto che avrebbe voluto diventare. Era il capitano del loro distretto, un uomo ben voluto da tutti per il suo carisma, la sua generosità e soprattutto la sua correttezza. Partecipava in prima persona ad eventi di beneficenza, faceva volontariato, aiutava tutti indistintamente, senza mai abusare del suo potere, anzi era fin troppo umile, fino a quando il cancro stroncò la sua movimentata vita e la sua carriera. Ma nonostante fosse il suo eroe, Jason sentiva dentro di sé qualcosa, come se per suo padre non fosse all'altezza come figlio, come se appartenessero a due mondi differenti.

Più volte cercò di aprirsi col genitore, di cercare di spiegarli quella strana sensazione che avvertiva al petto e sapere cosa c'era che non andava in lui. Ma il timore di ferirlo nell'orgoglio o di semplicemente turbarlo in qualche modo, dopo tutto il bene che aveva fatto per lui, si bloccava.

Solamente in un'occasione, gli chiese come mai non ricordava nulla dei suoi primi otto anni di vita, facendo prendere forma ai suoi timori. Il padre infatti, si scurì in volto e sbrigativamente gli rispose che aveva subito un piccolo incidente che gli aveva azzerato la memoria. Quella spiegazione non lo convinse mai del tutto, prendendo inoltre in  considerazione il comportamento ambiguo del padre in merito all'argomento.

Purtroppo però, il segreto fu sepolto con lui.

Jason si chiedeva spesso anche se suo figlio Tobias, nato dall'unione con Corina quattro anni prima, avrebbe avuto la sua stessa sensazione nei suoi confronti. La cosa lo spaventava parecchio se solo ci pensava, poiché amava moltissimo suo figlio e avrebbe fatto qualsiasi cosa per garantirne la felicità, così come fece suo padre a sua volta.

Le foto di Tobias erano sparse ovunque, tappezzavano le pareti del soggiorno ed i suoi disegni incorniciavano allegramente il frigorifero e le porte di una dispensa della cucina.

Appeso sopra il letto nella sua camera da letto invece, troneggiava un cartellone colorato con la scritta "ti voglio bene papà" realizzato in occasione dell'ultima festa dei padri. Cercava di far capire a modo suo, quanto tenesse al figlio, dal momento che non era affatto bravo con le parole e coi gesti se la cavava in maniera mediocre. Ma il piccolo Toby rimaneva la sua ragione di vita, assieme al lavoro di detective, alimentando la sua apatia nel momento in cui la sua ex moglie, decise di ridurre i giorni di affidamento. Avrebbe lottato per questo, se non altro, aveva un buon motivo in più per svegliarsi la mattina.

Restava immobile seduto ad osservare il vuoto, sorseggiando caffè e mangiucchiando la frittata preparata distrattamente.

La sua mente infatti viaggiava altrove, il suo capo lo attendeva quella mattina, nel suo ufficio assieme al collega David Marshall.

Com'è che il capitano Hatcher, convocava loro due assieme?

non lo aveva mai fatto, non li approvava come coppia, sebbene insieme erano insuperabili. Ma poi, c'era fin troppo lavoro da svolgere e poco tempo da perdere, quindi quella domanda risultava fondata.

Uscì nella grigia mattinata, smossa dai movimenti quotidiani del piccolo borgo in cui abitava. Furtivamente come sempre, osservava le finestre delle case, chiedendosi se le famiglie consumavano la colazione facendo progetti per la giornata, se i loro figli erano turbolenti e solari come lo era Toby. Il pensiero di lui era costante, schiacciante come la solitudine che gravava sulle spalle, come un macigno insostenibile da reggere, che lo tramutava poi in nervosismo e cinismo.

A bordo della sua mustang d’epoca in rovina, ma sempre funzionale, arrivò in ufficio in perfetto orario. Non ebbe il tempo di posare la sua giacca, che bussarono alla porta cigolante.

«Hei, buongiorno grizzly» scherzò Marshall entrando, un sempliciotto quarantenne con l'animo da eterno Peter Pan.

«Ciao David, pronto per il colloquio col capo?» sospirò Jason.

«Ci ho pensato tutta la notte, lo sai che insieme non ci tollera, se può evita, quindi la faccenda è seria amico» nulla di nuovo, per il nostro detective che rispose con un cenno come a dire, pazienza, staremo a vedere.

«Hai ancora quel muso lungo, problemi con la befana?» riprese Marshall riferendosi all'ex moglie.

«Lo sai come stanno andando le cose.. non vedrò Toby prima di giovedì» il volto di Jason era quasi una maschera, realizzata in perfetto sconforto.

«Dai amico, vedremo come si potrà sistemare questa faccenda, quella in torto è lei! ora andiamo, prima che il grande puffo ci faccia il culo» il collega lo trascinò letteralmente fuori dall'ufficio impolverato, per poi dirigersi in quello lustro ed austero del loro capo.

«Prego, entrate pure» fece cenno Hatcher vedendoli arrivare.

«Buongiorno capo, siamo tutti suoi questa mattina» esordì sorridente Marshall.

«Faccia poco lo spiritoso detective. Prego, sedete» i due obbedirono, sotto lo sguardo severo del capitano.

«Arriviamo subito al sodo. Alla sezione omicidi siete i miei due detective migliori e per questo ho deciso di inserirvi nella task force di ricerca di quei ragazzi scomparsi.. sapete bene a cosa mi riferisco, non si parla d'altro» la premessa non prometteva nulla di buono.

«Questo significa forse..» intervenne preoccupato Jason.

«Sono stati rinvenuti i corpi di due ragazze, sì. Qui c'è qualcosa di grosso, non si tratta più di un caso di scomparsa, ma di omicidio e dovete entrare in gioco voi per scoprire chi è stato il prima possibile, ci sono molte altre vite in gioco e solo il buon Dio sa che cazzo sta succedendo» espose il capitano giocherellando nervosamente con i suoi baffetti.

In quel momento bussò alla porta un'elegante donna dai capelli ramati e gli occhi di un blu intenso, longilinea su scarpe dal tacco vertiginoso.

«Corelli! Buongiorno! forse non lo sapevate, ma Corelli è a capo della task force, lavorerete tutti e tre insieme» spiegò il capitano.

«Gliene avevo già accennato in un momento di pausa, signore. Se qui avete finito, proporrei di spostarci nel mio ufficio per i dettagli» il suo sorriso formale, ma gentile, non poté non turbare Marshall che nascondeva un interesse profondo nei suoi confronti, pur credendo di essere ben poca cosa per i ranghi della rossa ispettrice.

«Andate pure, credo che le dovute domande sia meglio le facciano a lei. Mi raccomando voi due, tenetemi aggiornato. Conto su di voi» quell'ultima frase stava a significare che avrebbe voluto chiudere il caso davvero molto in fretta. Raggiunsero l'ufficio della collega sospirando di sollievo, il loro capo stranamente non era stato pesante.

«Allora Angela, spiegaci.. qua è un casino, se il caso ha la priorità sugli altri, secondo me ha un motivo specifico» riprese sospettoso Jason.

«Sì, in effetti sì.. uno dei due cadaveri rinvenuti, appartiene alla figlia di un giudice molto vicino al nostro capitano» a quella risposta, i due sbuffarono.

«Siamo alle solite, non gliene importa nulla a nessuno della gente comune. La triste verità è che la legge non è uguale per tutti» sbottò David.

«Ne convengo, ma purtroppo funziona così e non sta a noi discutere su cosa è giusto o meno da un piano personale, ci limitiamo ad eseguire gli ordini. Questo è il nostro lavoro» alle parole di Angela, Jason si spazientì, considerandola troppo schiava, dei loro superiori.

«Vieni al dunque per favore, spiegaci di questi omicidi» disse sbrigativo.

«Sediamoci, c'è molto di cui discutere. Finora a quanto ci è stato segnalato, sono scomparsi 32 soggetti, 14 maschi e 18 femmine in età compresa tra i 23 ed i 34 anni. Non hanno caratteristiche estetiche in comune, ovvero appaiono tutti diversi e di diverse razze, classi sociali. Due addirittura restano sconosciuti, non riusciamo a svelare la loro identità. Dobbiamo ancora trovare un filo logico che li unisca e speriamo che magari il medico legale possa fornirci qualche importante dettaglio. Prima che me lo chiediate, i risultati li troverete stasera sulle vostre scrivanie e dovrete consultarli» fece una breve pausa per permettere ai colleghi di assimilare le informazioni.

«Dove sono stati rinvenuti i corpi e quale sarebbe l'arma del delitto?» riprese Jason.

«Le due donne sono state ritrovate in un parco, avvolte da lenzuola verdi. L'arma è tutt'ora sconosciuta, starà a voi capire. Riportano entrambe segni di iniezioni alle braccia, forse le avevano drogate o chissà, mentre al collo avevano numerosi tagli, quindi l'arma che è stata usata dev'essere sicuramente un oggetto dentato a mio parere. Ma non è tutto.. i due corpi erano completamente dissanguati, eppure a parte il collo, erano pulite» fece una seconda pausa.

«Uno psicopatico, non c'è che dire» fu la sentenza di Marshall.

«Sicura che la scientifica non ha trovato nient’altro di rilevante?» rifletté a sua volta Jason.

«No, altrimenti ve lo avrei detto. Io fossi in voi aspetterei l’esito del medico legale. Intanto studiatevi pure le schede delle vittime, io ho un appuntamento» consegnò il materiale ed a passo svelto uscì dal suo ufficio.

I due tornarono al loro posto e lessero con cura i profili delle due donne.

La prima, figlia del giudice, si chiamava Stephanie Johnson di età ventisette. Una brillante studentessa di legge, com’era scontato che fosse. Svolgeva un tirocinio presso un noto avvocato. Una donna semplice ma di classe, dai capelli cioccolato e il sorriso affabile.

La seconda era Caroline De Martinos, una spogliarellista di 25 anni originaria di Cuba. Pelle di luna, corpo perfetto, ma assolutamente all’opposto della Johnson.

«Bella pupa!» commentò Marshall.

«Ti sembra il caso David?! pazzesco.. ogni volta pare impossibile, ma mi stupisco di quello che troviamo» sentenziò preoccupato Jason.

«Già.. sta di fatto che non abbiamo molto su cui lavorare, no? nessun indizio, arma del delitto sconosciuta. Nessun collegamento apparente tra le due. Voglio dire, una suora santarellina ed una sgualdrina. Una bianca e una mulatta. Poi lasciarle in un lenzuolo verde nel parco.. non c’ha senso!» rifletté Marshall, sotto l’approvazione del collega.

«Effettivamente ci sono cose poche chiare, ma perché appunto abbiamo poco materiale su cui lavorare. Suggerirei di fare così: tu vedi se riesci a recuperare i rapporti della sezione ricerche, di sicuro Angela ed i suoi avranno interrogato familiari, amici, colleghi ecc. magari ci troviamo qualcosa di utile. Io invece, vado direttamente dal medico legale, voglio vederle in prima persona» propose Jason convinto.

«Ci sto amico! Mi faccio un panino e volo» il brontolio nello stomaco del detective era anche più opprimente del suo lavoro.

In quel momento vibrò il cellulare nella tasca dei pantaloni di Jason. Lo prese in mano accorgendosi che era un sms e ne verificò il contenuto,

Vediamoci al solito bar tra un’ora. Ho delle nuove caramelle da farti assaggiare”.

Il mittente era Lisa Benson, una giornalista del Sacramento Union che ogni tanto collaborava con Jason, scambiando informazioni confidenziale in via privata, per questo nel parlare usavano frasi in codice, come “nuove caramelle da farti assaggiare”, significava nuove informazioni da rivelargli.

Il medico legale avrebbe aspettato la sua visita a sorpresa, Lisa aveva la precedenza.

 

Passata l’ora, si diresse nel piccolo e confortevole bar dove erano soliti darsi appuntamento e Lisa sorseggiava una tazza di caffè sistemata al loro tavolo.

«Salve Radcliff, ho ordinato un caffè anche per te» salutò la donna con un sorriso affabile, amichevole.

«Ciao Lisa. Ti ringrazio.. come stai? Tutto bene?» ricambiò cordialmente il detective, ignorando di sua volontà il luccichio negli occhi di lei. Sospettava da tempo che la bionda giornalista con le fossette buffe, avesse un certo interesse per lui, di forma personale.

«Tutto bene, sono solo un po’ stanca ultimamente.. faccio parecchi straordinari al giornale, non ho mai un attimo per me» si fermò quando la barista si avvicinò al loro tavolo per porgere la tazza a Jason.

«Dovrò farli anche io, per la storia che sai.. motivo per il quale siamo qui, dico bene?» si scambiarono un’occhiata d’intesa e lei prese in mano dal taschino della sua giacca, il taccuino dove scriveva tutti i suoi appunti.

«Esattamente.. non ne so ancora molto, so che hanno trovato due corpi. Speravo in qualche tua succulenta rivelazione» rispose lei sporgendosi verso di lui e sorridendo, scandendo le ultime parole.

«Prima te.. avevi detto di avere nuove informazioni o sbaglio?» prima di darle in pasto ciò che voleva sapere, avrebbe preferito capire se ne valeva o meno la pena. Sebbene tra loro c’era quasi un legame d’amicizia, il loro mestiere andava in conflitto, lui non si poteva esporre più del dovuto.

«Be’ è una cosa che ritengo piuttosto importante e che ora ho pensato di rivelartela, dato che lavori al caso. Ho subito pensato infatti che lo passavano anche a te, dopo il ritrovamento dei due cadaveri al parco.. ebbene, te lo hanno detto come sono venuti a conoscenza di tutti i nomi delle persone scomparse?» era una domanda retorica, sospettava infatti che la risposta fosse negativa e così fu.

«A parte ovviamente le famiglie e gli amici, ci sono stati dei tipi che hanno parlato con un mio collega, Boris, quello magrissimo col viso scavato.. forse te lo ricorderai.. ecco, l’informazione di due ragazzi scomparsi l’ha rivelata lui ai tuoi colleghi, perché queste persone non volevano parlare direttamente alla polizia.. un po’ strano vero?» fece una pausa. Jason pensò subito alle due identità sconosciute di cui aveva fatto cenno Angela.

«Non è tutto ovviamente.. li ho seguiti, erano tre uomini e anche piuttosto bizzarri direi.. sai, quei tipi gotici, stile underground che ti fanno accapponare la pelle.. ecco, stanno nei bassi fondi di Sacramento e lì ho visto girare dei tipi vestiti in stile Matrix, ancora più inquietanti! Se ne stavano semi nascosti e gli altri sembravano evitarli, se li vedevano.. mi è sembrato tutto così strano che.. non so.. ho pensato di dirtelo» continuò la giornalista, fermandosi per dare tempo al detective di elaborare le informazioni e per finire il suo caffè.

«In effetti strano lo è.. questo Boris, non ti ha detto niente al riguardo?» rifletté Jason.

«No, a dire il vero, non gli ho chiesto niente, anche perché non ho molta confidenza con lui.. anzi, da qualche tempo direi che è diventato un mio spietato rivale. Infatti non è al corrente che io ho seguito quei tizi. Penso che solo io e te sappiamo di questa cosa, loro hanno solo riferito di essere contattati non appena avessero ritrovato i loro amici e le altre persone scomparse.. come se dessero per scontato che la scomparsa dei loro amici fosse collegata al rapimento degli altri ragazzi. Non è sospetto?» cominciò ad entusiasmarsi, avrebbe potuto scriverci un ottimo articolo. Bellissimo per i suoi canoni.

«Suvvia Lisa, magari sei solo tu che sei diventata un po’ paranoica, non credi? di certo saranno tipi molto riservati o chissà» le fece l’occhiolino, ma dentro di sé pensò che effettivamente era il caso di approfondire la faccenda. Ogni cosa poteva rivelarsi utile.

«Ma quale paranoica! Cerco solo di rendermi utile e di svolgere bene il mio lavoro.. a proposito.. sputa il rospo» insistette impaziente lei.

Rifletté un altro secondo prima di rispondere. «Una delle vittime è la figlia del giudice Johnson, lo conosci?» prima o poi lo avrebbe saputo comunque.

«Sì, ma non ci ho mai avuto a che fare personalmente.. caspita, questo si che è grave! La figlia di un giudice.. errore fatale per i criminali» quell’affermazione catturò l’attenzione del detective.

«Criminali? nessuno ha parlato di criminali ancora, ma di un rapitore.. a te cosa fa pensare che si tratti più di una persona?» la domanda la stupì, come se la risposta fosse ovvia.

«Ma come.. ti pare che una persona sola possa rapire tanta gente? Secondo me sono quei tipi alla Matrix di cui ti ho parlato prima» rispose accigliata.

«Veramente sì, se è uno psicopatico, potrebbe aver reagito da solo. Ci diranno i corpi rinvenuti se si tratta di una o più persone.. però di certo non è da escludere, prometto che indagherò più a fondo su questa cosa, ma tu per favore tieniti alla larga dai posti lugubri e da tipi misteriosi.. non vorrei ti accadesse nulla» la sua premura fece piacere alla giornalista che arrossì lievemente.

Uscirono dal bar dopo aver pagato le ordinazioni, l’aria era frizzante e solleticò il naso dei due, dispersi tra la folla del pomeriggio.

«Allora, Radcliff.. ci sentiremo presto. Se c’è qualcosa di nuovo ci teniamo in contatto, ok?» riprese lei.

«Certamente, grazie delle informazioni» sorrise cordialmente lui.

«Grazie a te.. a dire il vero, preferisco non farti il terzo grado per ora. Mi faceva piacere vederti» sembrava che si dovesse sforzare a dirlo, come se le parole erano bloccate in gola ed a fatica poteva cacciarle fuori, tanto che abbassò lo sguardo.

«Gentile come sempre.. ora scusami, ma devo proprio andare. Ciao Lisa, buona giornata» salutò Jason sbrigativamente, potendo evitare ogni tipo di imbarazzo. Non gli faceva piacere smorzare la donna, ma era necessario, non poteva permetterle di crearsi illusioni. Lui era fin troppo incasinato in quel periodo della sua vita.

Lisa rimase ferma all’entrata del bar a fissarlo di spalle, passo dopo passo vederlo allontanarsi da lei, sia fisicamente che personalmente. Teneva ancora in mano il taccuino e si accorse di non aver appuntato ciò che lui le rivelò. Aveva solo piacere della sua compagnia, la storia delle informazioni era una scusa, nient’altro che una banale scusa e per questo, quasi si sentì in colpa con se stessa.

 

Mentre camminava, il detective sentiva una fastidiosa sensazione gravare sulle sue spalle. Si sentiva osservato, il che era strano dal momento che era immerso in un sacco di gente. Si guardò attorno, ma non riuscì a scorgere nessuno di sospetto. Forse era solo paura che scoprissero la complicità tra lui e la giornalista? o forse la storia degli uomini in nero lo aveva un po’ suggestionato? di certo ci pensava parecchio, era forse rilevante? Mille domande sul caso sgorgavano dalla sua mente e i dettagli forniti da Lisa, non erano da sottovalutare.

Mancavano infatti due identità all’appello di Corelli e magari sarebbero state importanti.

Cosa da tenere bene in conto.

Ma se ne sarebbe occupato in un secondo momento, prima di tutto si doveva dirigere dal medico legale.

Però l’uomo era davvero seguito, si era messa sulle sue tracce Harmony. La sua missione iniziò fin da subito, lo seguiva furtivamente studiandone i movimenti. Non aveva mai seguito nessuno e purtroppo rischiava di non passare troppo inosservata, dal momento che indossava abiti neri ed era coperta. Solo il viso rimaneva esposto, mascherato da occhiali scuri. La pelle la sentiva tirare, non poteva stare a contatto col sole per più di qualche secondo, nemmeno c’era abituata a vagare nelle ore diurne.

Oltre al fastidio del sole infatti, si faceva sentire la pesantezza del sonno.

E la fame.

Tutti quei umani intorno a lei, tutti quegli odori, erano fin troppo invitanti per il suo fine olfatto. Ma doveva rimanere concentrata e seguire il più possibile il detective affinché potesse in seguito capire come e dove abbordarlo. Non avrebbe di certo voluto deludere Arleen e gli altri!

Un raggio di sole che rifletteva dalla vetrata di un salone di bellezza, le colpì in pieno il viso come un dardo di fuoco e nel voltarsi per cercare di evitarlo istintivamente, andò a sbattere contro un ragazzone, che la strattonò imprecando. Purtroppo per lei, quell’attimo di distrazione, le fece perdere di vista Jason. Le cose non erano iniziate nel migliore dei modi.

Nello studio del medico legale, il dottor Carter, sorpassare il controllo della segretaria si rivelò piuttosto scocciante.

«Come le ho detto detective, non ha l’autorizzazione, qui non è passato nulla dai suoi superiori. Mi dispiace, non ci posso fare nulla» continuò la donna mantenendo un atteggiamento di sufficienza. Per fortuna di Jason, proprio in quel momento uscì dalla sala il dottore.

«Che cosa sta succedendo qui?» chiese accigliato, guardando prima la segretaria e poi il detective, non stupendosi troppo della sua presenza.

«Radcliff.. impaziente come sempre, prego entri pure.. non si preoccupi signorina per l’autorizzazione, a quella ci penserò io stesso» ottenuto il permesso del medico, Jason gli andò incontro, lanciando un’occhiataccia alla segretaria acidula.

Si richiusero la porta alle spalle ed il medico gli indicò in direzione di un corpo coperto da un lenzuolo bianco, evidentemente aveva appena finito di esaminarlo.

«Immaginavo passassero il caso a lei ed al suo fiabesco collega. Ho appena concluso con la signorina De Martinos.. povere donne» continuò senza esitazione, con una punta di dolore nella sua voce, come se ogni volta fosse realmente dispiaciuto di trovarsi ad esaminare il cadavere di qualcuno al suo tavolo, specie se giovane.

«Effettivamente volevo vedere di persona, delle schede me ne faccio poco o nulla» rispose francamene il detective, impaziente di vedere la ragazza ed i suoi risultati.

«Acuto detective Radcliff, sempre acuto.. mi fa sorridere.. bene allora, cominciamo. Ma l’avverto, non è un bello spettacolo» lo stomaco di Jason non avrebbe avuto da obiettare dopo le parole del medico, che sfilò il lenzuolo di dosso alla povera vittima martoriata, fino alle ginocchia.

La ragazza aveva la gola ed il torace pregni di sangue secco, annerito che conferiva al suo aspetto una brutale e angosciante immagine, degna di un film horror di seconda serie.

Infatti sotto al sangue vi erano numerosi graffi, molto sottili ma profondissimi che tralasciavano a vedere le ossa, con la cartilagine che era fuoriuscita come fosse pus. Le labbra carnose violacee, il contorno degli occhi giallognolo. Sulle braccia invece, come sassolini sulla neve, si presentavano piccoli fori, segni di punture.

«In effetti è uno spettacolo piuttosto disgustoso» sentenziò con una smorfia Jason.

«Ad ogni modo non ci sono molti elementi su cui poter fare luce, il giallastro degli occhi è da definire, ma non ci sono segni di percosse, di legature o di stupro. Non capisco dalla pelle in che tipo di ambiente le hanno tenute, per esempio. Non ci dicono niente questi corpi, sono semplicemente pulite. Qualsiasi cosa le abbiano iniettato inoltre è stata assorbita e smaltita in breve tempo dall’organismo» il medico fece una pausa, scrutando il corpo dell’altra vittima, distesa in un lettino a fianco.

«In effetti una cosa in comune ce l’avrebbero. Questa ragazza aveva una blanda forma di talassemia, mentre l’altra era affetta da porfiria» osservò infine.

«Sono malattie del sangue, giusto?» chiese Jason, appuntandosi a mente quel dettaglio forse banale, ma pur sempre meglio di niente.

«Sì, anche se molto diverse fra loro.. può essere importante?» il medico ricoprì la ragazza.

«Questo è da stabilire. Ma mi dica, quanto sono rare queste malattie?» continuò il detective.

«Parecchio, soprattutto la porfiria è estremamente rara» rispose cordialmente l’altro, riaccompagnandolo all’uscita.

«Finisco gli ultimi esami e vi farò trovare il rapporto pronto per stasera» concluse con un sorriso tirato.

«Certo, la lascio alle sue cose e la ringrazio dottor Carter, alla prossima» si congedò Jason.

All’esterno si stava facendo buio, la città era immersa in un sinistro vespro che accoglieva le mille domande che il detective stava organizzando a mente. Non aveva ottenuto granché e sperò che il suo collega avesse avuto più successo di lui.

Mentre si avvicinò alla sua auto, qualcuno lo chiamò alle spalle.

«Radcliff! sei sempre il solito, lo sapevo saresti venuto» Corelli sbuffò avvicinandosi a passo svelto.

«Stai calma Angela, non ho combinato nessun danno venendo a controllare di persona» ribatté l’uomo alzando gli occhi, aspettandosi una ramanzina.

«Ah davvero.. il dottor Carter di sicuro non ne era entusiasta! ti ha detto qualcosa di utile almeno?» stranamente non si alterò come d’abitudine e rimase in attesa di una risposta portandosi le mani sui fianchi.

«No a dire il vero no.. sono messe male, questo sì. Ma sono pulite, nessuna aggressione, nessuna sostanza trovata nel sangue. L’unico elemento che mi ha fornito è che hanno entrambe una malattia ematologica» il detective ripescò quel pensiero.

«Ah sì? Be’ non vedo come potrebbe esserci d’aiuto» sospirò Corelli.

«Mi stupisci.. certo che potrebbe essere d’aiuto! ogni singolo dettaglio, dovresti saperlo. Potrebbero avere lo stesso medico, no? è da controllare» sarebbe stato il prossimo passo.

«Secondo me andrai a sbattere in un vicolo cieco Jason.. ad ogni modo, proverò a parlare con le famiglie di questa cosa, piuttosto che rigirarci i pollici.. te lo giuro, mi sta scoppiando la testa! Non so come andare avanti in questo caso e non è da me» la detective amava tenere tutto sotto controllo, un difetto che le aveva condannato lo stesso Jason. Per il resto sarebbe stata la donna, o la partner, ideale per lui.

«Nemmeno io, per questo mi appendo anche alla più piccola cosa! più tempo passa e peggio è perché non sappiamo ancora che intenzione hanno i rapitori, o il rapitore. Non vorrei arrivasse un altro cadavere a quel tavolo.. detto questo Angela, lasciami andare. Devo assolutamente parlare con Marshall» aprì lo sportello dell’auto di tutta fretta e senza neanche dare il tempo alla collega di salutare o aggiungere altro, salì.

Partì a gran velocità sotto lo sguardo stizzito della Corelli. Stimava molto il detective Radcliff, ma lo irritavano certi suoi comportamenti.

Ad assistere alla scena c’era Harmony che finalmente aveva ritrovato il suo obiettivo. Non le piaceva quella Corelli, l’avrebbe volentieri divorata. Ma no, non era quello  il giusto comportamento da seguire ed inoltre non aveva tempo da perdere, il detective si stava allontanando ad alta velocità.

Era per tutti una corsa contro il tempo.

 

 

Capitolo 3

Nell’aria c’erano tensione e stanchezza.

Jason si sentiva vecchio dentro, il corpo pesante che trascinava come un'ingombrante carcassa ogni giorno in ufficio senza concludere nulla sul nuovo caso.

I giornali non facevano altro che parlare del ritrovamento delle due vittime e le immagini del giudice in lacrime per la figlia, non ostentavano a lasciare i notiziari dalla mattina alla sera.

Erano tutti esausti e in fermento, ma senza venire a capo di nulla poiché mancavano indizi, prove ed elementi su cui poter ricavare qualcosa di utile.

Nel rapporto del medico legale risultava che il giallastro negli occhi non era altro che un comune, per così dire, accumulo di bilirubina nel sangue. Ma la causa ne rimase ancora sconosciuta.

Invece per il detective, continuava a roteare attorno alle sue giornate la monotonia e tutti i giorni erano uguali, perseguitati dall’improbabile angelo custode che era Harmony, la quale imparava in fretta ogni sua abitudine.

Le uniche volte in cui fuggiva dal lavoro erano il giovedì, quando vedeva il figlio ed il sabato sera, ove affogava le preoccupazioni in qualche drink di un elegante pub.

La vampira lo avrebbe adescato lì prima o poi.

Agire la sera per lei era la cosa più sensata da fare.

Ma seguire il caso rimaneva una priorità per Jason, che assieme al suo collega cercava di studiare i profili delle persone scomparse, nei quali però non risultava niente di rilevante al fine.

«Sono tutte persone comuni vecchio mio, bisognerebbe capire invece chi possano essere quei due tizi di cui ti ha parlato Lisa» osservò Marshall affondando i denti in un cheeseburger.

«Infatti a mio parere ora non ci resta che fare due cose, strappare qualche informazione a quel giornalista e parlare coi medici delle vittime.. tu quale preferisci?» continuò Jason.

«Vado io dai medici, lo sai che non vedo di buon occhio i giornalisti.. ci hai più confidenza tu» il detective si alzò dalla scrivania e si avviò verso la porta.

«A dopo amico, incrociamo le dita» salutò lasciando Jason nei suoi tormenti.

Un caso come quello non gli era mai capitato ed ebbe la sensazione di perdere colpi.

Era forse giunto il momento di mollare? di certo, conclusa la vicenda, avrebbe avuto bisogno di una vacanza.

Prese le chiave della sua auto e avvisò con un sms Lisa per avvertirla del suo arrivo.

 

La giornalista lo stava già aspettando davanti al palazzo dove ospitava la sede del giornale.

«Salve Radcliff.. a cosa devo questa sorpresa? non è che hai delle novità?» infondo la donna sperò per un attimo che fosse venuto per lei, tanto che la radiò un dolce sorriso.

«Frena Lisa, se così fosse sai bene che non sarei mai venuto fin qui. Ho bisogno che mi porti dal tuo collega, quello al quale hanno denunciato la scomparsa dei ragazzi» inevitabile fu la delusione della donna a quella rivelazione.

«Ah.. be’ Marcus non si vede già da tre giorni, praticamente è irreperibile. Ma come ti dissi, non è che ci parlo.. volevi informazioni su quei tizi? dovresti andare nella loro zona» quell'idea soddisfò il detective.

«Hai ragione, piuttosto che starmene con le mani in mano lo faccio! penso sia inutile chiederti nomi o indirizzo» la risposta che ottenne fu negativa.

«Credo avessero detto che uno dei due si chiamava Darren o Darwood o qualcosa del genere.. altro non saprei, mi dispiace.»

«Ok, fammi sapere se vedi il tuo collega» le sorrise amichevolmente, giusto per non lasciarla con indifferenza, accorgendosi del barlume nei suoi occhi.

«Contaci! buona caccia Radcliff» si girò lei verso gli scalini dell'entrata del palazzo.

«Lisa. complimenti per il tuo articolo»  a quelle parole le balzò il cuore in gola e ringraziò con un largo sorriso.

 

Poco più tardi Jason si ritrovò in Racoon Avenue, il borgo poco frequentato dalla gente comune, poiché era denominato come "la zona dei tossici", solo per il fatto che chi ci viveva erano tutti in stile gotico e vittoriano.

Lo erano anche le case e qualche palazzo.

Nessuno però poteva immaginare che in quella zona ci viveva la maggior parte della comunità del clan di Travis.

Anche Harmony raggiunse il luogo, chiedendosi se farsi avanti o meno, impedendo così al detective di finire in qualche guaio o peggio ancora, di scoprire uno di loro.

Rimase in attesa, osservandolo scendere dall'auto ed avanzare verso la stradina deserta con aria guardinga. C'era un qualcosa di lugubre nell'aria, tutto era grottescamente spettrale.

La vampira decise infine di mandare un sms al capo per avvertirlo e chiedergli istruzioni sul da farsi.

Jason continuò a guardarsi attorno, ma non vide nessuno in giro ed i negozi erano chiusi. Solamente un piccolo bar pareva essere disponibile. Vi entrò senza indugio e tutti i presenti, quei pochi perlomeno, si voltarono a puntargli gli occhi addosso, stupiti di una presenza umana nel loro territorio.

Ma il detective parve non farci caso e si avvicinò al barista che rimase immobile con aria di sufficienza.

«Cosa le porto?» chiese con voce rauca e quasi stizzita. Aveva un aspetto cadaverico, magrissimo in una camicia nera e gilet bordeaux.

«Nulla grazie, sono in servizio. Detective Radcliff, sezione omicidi» esibì il suo distintivo.

«Sto cercando informazioni su un certo Derrin o Derwood» cercò di ricordare il nome che gli disse Lisa.

«Darwen.. non lo so detective, dovrebbe dircelo lei. Risulta ancora scomparso» gli occhi del barista si ridussero a due fessure, celandosi sotto uno spesso strato di diffidenza.

«Ah.. no mi scusi, più che altro cercavo qualcuno che lo conosceva.. o meglio.. so che alcuni della zona hanno parlato con un giornalista» il barista lo interruppe.

«Se non ne hanno voluto parlare con voi sbirri, non è perché abbiano qualcosa da nascondere. Semplicemente noi qui siamo molto discreti. I ragazzi scomparsi, Darwen e Michael, non li conosco benissimo, vengono ogni tanto qui al mio locale a bersi un goccio, ma non le so dire altro, detective» spiegò mentre puliva il bancone.

Nel frattempo, Harmony ricevette l'ordine di distrare Jason, affinché potesse depistarlo e magari indurlo ad andarsene.

Scese dall'auto per avvicinarsi a quella del detective che come si aspettava, una lucina rossa sul cruscotto segnalava che l'allarme era attivo.

Nel bar, Jason consegnò al lugubre interlocutore il suo biglietto da visita, quando ad un certo punto si sentì rimbombare l'eco della sirena della sua auto.

Si precipitò all'esterno, ma accanto alla macchina non vide nessuno.

Di tutta fretta spense l'allarme e si guardò attorno. Non c'era traccia di alcuno nei dintorni, decise così di rientrare in ufficio, comunque lì non sarebbero stati disposti a parlare con lui, qualcosa gli suggeriva che avrebbe perso tempo.

Poi gli ritornò alla mente il collega di Lisa. Avrebbe voluto parlarci di persona, forse ne avrebbe ricavato qualcosa in più.

Le mandò quindi un sms per farsi dare l'indirizzo di casa, ma inaspettatamente gli arrivò un messaggio di Marshall,

"Vieni al Tucano Island, sai quel locale che fa angolo, vicino l'ospedale. Ho grosse novità, grosse quanto la mia fame. A dopo".

Jason sorrise, il suo collega era incorreggibile, pensava sempre al cibo.

Il giornalista dovette aspettare, ora la priorità era scoprire cosa avesse scoperto Marshall.

Ripartì a tutta velocità, seguito ovviamente dalla vampira, che sospirò di sollievo per la riuscita del suo intento. Inspiegabilmente si sentì felice di averlo tolto da possibili guai.

Marshall e Corelli se ne stavano seduti ad un tavolo della locanda a discutere e mangiare panini imbottiti.

«Angela pure tu! mi deludi» scherzò Jason.

«Mi ha contagiata il tuo amichetto.. debbo dire che sono buoni» sorrise la donna.

«Lo hanno aperto da poco questo posto e me ne sono già innamorato» rise Marshall abbuffandosi.

«Dove sei stato?» chiese Corelli.

«A controllare la zona di quei tizi che avevano denunciato ai giornalisti la scomparsa di due di loro.. ma non ne ho ricavato nulla e poi ho ricevuto il messaggio di David.. allora, che succede?» gli altri due si scambiarono un'occhiata d'intesa.

«Ho parlato col medico della Johnson, seguiva una terapia specifica per la porfiria, ma non conosceva la De Martinos. Però.. in cura da lui c'erano anche altre tre persone scomparse, ossia Mary Lauren, Scott Vanelli e Andrea Hidon. Tutti e tre con patologie del sangue, ossia erano affetti rispettivamente dalla malattia di Werlhof, da policitemia e da mieloma» spiegò aggiornando i fatti.

«Dunque sappiamo di per certo che cinque delle persone scomparse avevano delle malattie al sangue. Quindi il collegamento è questo» si entusiasmò Jason.

«Dobbiamo parlare con le famiglie degli altri e verificare se anche loro hanno malattie ematologiche» ordinò Corelli.

«Ragazzi pensateci voi, io vorrei prima parlare con quel giornalista- il detective divenne pensieroso.

«Come mai?» gli chiese la collega.

«Non lo so, sensazione.. vorrei scoprire chi sono quei tizi e perché tanto mistero.. inoltre non si vede da alcuni giorni, vi pare normale?» ripensava all'ambiente del bar e all'allarme scattato della sua auto.

Volevano forse distrarlo? si, ci era arrivato da solo.

«Se senti che qualcosa sotto puzza, vacci! al resto ce ne occupiamo noi» approvò l'amico.

«Ok ragazzi.. allora ci aggiorneremo, passo in ufficio e poi me ne vado a casa ormai.. buona serata e fate i bravi» ammiccò Jason.

«Ma come, già te ne vai? resta un altro po’» lo supplicò il collega.

Si stava facendo tardi e non vedeva l'ora di starsene tranquillo.

«No scusate, voglio terminare alcune cose e stasera mi vado a fare un goccio, ne ho proprio bisogno» si alzò salutando i suoi amici e si diresse verso il suo programma solitario.

Farsi un goccio, parole che non sfuggirono ad Harmony, che se ne  stava appollaiata in un angolo del locale ad osservarlo, finalmente avrebbe avuto l'occasione per abbordarlo e col senno di poi farsi dire qualcosa.

Quella sera, sebbene fosse soltanto venerdì, Jason non vide l'ora di distrarsi, poiché il lavoro lo stava facendo nuovamente sprofondare come sabbie mobili, mentre la solitudine lo spingeva verso il basso. Se fosse rimasto chiuso in casa, avrebbe finito col deprimersi, nell'agghiacciante silenzio delle sue quattro mura.

Recuperato il rapporto del medico legale, si preparò ad uscire.

Infatti eccolo lì, a sorseggiare un bicchierino di gin con ghiaccio ed un mix di succhi di frutta esotica, seduto ad un tavolino del locale al quale era abituato a recarsi in genere il sabato sera. C'erano molti ragazzi giovani, soprattutto avvenenti signorine, ma non aveva mai rimorchiato.

Luci soffuse al neon viola e rosa, conferivano all'ambiente un'aria particolarmente intima e tranquilla, con un qualcosa di seducente.

Musica da discoteca al giusto volume, accompagnava il danzare dei ragazzi tra flirt e risate.

Jason ci andava perché era vicino al suo quartiere e perché infondo si accontentava, gli bastava smorzare la solitudine e si sentiva a suo agio tra tutti quei giovani attorno.

Prese il suo bicchiere e si diresse in una poltroncina, appena liberata da due coppiette che si mescolarono ad un altro gruppo per abbandonarsi sotto la contagiosa musica techno.

Cercava di accantonare a fatica i pensieri del lavoro, godendosi la serata in pace mentre osservava la gente che continuava ad entrare e uscire, quando allo scoccare della mezzanotte, come se fosse una favola di Cenerentola al contrario, sulla soglia del locale si presentò una figura che catturò lo sguardo di Jason e lo incollò a sé.

Era Harmony, in un attillatissimo vestito dorato, in latex, che scopriva le lunghe gambe e la vertiginosa scollatura risaltava i suoi generosi seni, armi letali per lo sguardo di Jason che ammirò le curve della vampira, brillante con la sua pelle d’avorio e le labbra carnose delineate da uno sfavillante rossetto.

Non riuscì a vederlo subito, ma ne sentì l’odore e quindi si diresse al bancone ancheggiando sensualmente, facendosi strada tra gli sguardi golosi dei ragazzi e quelli invidiosi e maligni delle ragazze.

La ammiravano, molti la bramavano come fosse una Dea e questo le diede carica, la fece sentire importante.

Non era mai stata in mezzo a così tanti umani e la cosa infondo, la eccitava.

Ottima cosa, considerando che voleva puntare tutto sul suo fascino per attirare l’ignaro detective che la seguì con lo sguardo.

Harmony ordinò un BloodyMary e si girò nella sua direzione, guardando attorno, assillata da qualche coraggioso ragazzo che non poteva fare a meno di farsi avanti, ma lo sguardo e le smorfie della giovane non davano modo di dare l’impressione di cedere e stanca di quelle appiccicose presenze, si allontanò dal bancone, ondeggiando sui tacchi in direzione del centro del locale.

Quando passò davanti a Jason, non riuscì a trattenersi e di getto le parlò.

«Buona sera signorina.. già spazientita eh?!» si pentì subito di averlo detto, non seppe nemmeno come avesse potuto partorire una tale frase assurda nonché scontata.

«Buona sera a te, caro» salutò lei ammiccando.

«Effettivamente mi fanno venire il mal di testa.. ma sai, ci sono abituata» continuò avvicinandosi a lui disinvolta.

«Lo credo bene.. perché non ti siedi? Non ti assillerò tranquilla.. voglio solo fare due chiacchiere con te» l’uomo non riusciva a scrollarle lo sguardo di dosso, la luce colorava il corpo di lei di un fucsia acceso, come fosse un personaggio di un racconto fantasy dalla mistica bellezza.

«Due chiacchiere con me?! solo perché sono bella suppongo» si sedette accavallando le gambe e poggiandosi sul divanetto con le braccia incrociate, non voleva esporsi nell’immediato.

«Ti sarai accorta di come ti guardo e mi scuso di questo, non sono mai rimasto incantato a guardare una donna in questo modo. Ma non è per la tua bellezza che ti chiedo di fare due chiacchiere, ma perché non mi sembri affatto come tante ragazze che ci sono qui» pensava veramente quel che stava dicendo, lei dava l’impressione di essere raffinata a differenza delle altre che invece risultavano sempliciotte e un po’ rozze. Il loro mettere in mostra il loro corpo era molto più volgare.

«Ma davvero.. non sembri nemmeno tu come tutti gli altri ragazzi.. o meglio, non sembri neanche un ragazzo.. forse è per questo che accetto» sorrise lei facendo l'occhiolino, scoprendo quasi come un ghigno.

«Mi punzecchi così.. lo so, non faccio media d’età. Vengo qui per distrarmi, non per rimorchiare.. Vedi, un motivo in più per non assillarti» ci pensò per un attimo, non faceva delle avances a qualcuna da parecchio tempo, molto probabilmente si era addirittura dimenticato come si faceva.

«Eppure a me gli uomini più grandi non dispiacciono.. voglio dire, non sono mai scontati. Sanno come trattare una donna.. hanno una discreta esperienza» la sua voce era calda, sensuale, una melodia che sovrastava quella del locale e solleticava piacevolmente l’udito di Jason. Le parole uscivano dalle sue labbra luminose che si muovevano delicatamente accompagnate da uno sguardo magnetico e furbetto.

«Che dire.. ti apprezzo, sembri una ragazza molto intelligente. Non sei di queste parti, vero?» la voce di lui invece tremava, inspiegabilmente si sentiva stranito da quella presenza, paralizzato dalla sua sensualità.

«No, in effetti no.. diciamo che sto da un amico per un po’ di tempo» scivolò accanto a lui, avvicinando il suo viso, fino a pochi centimetri.

«Qualcosa non va? Sembri nervoso» sussurrò lei sostenendo i loro sguardi. Il ghiaccio dei suoi occhi era luminoso come diamanti, l’incantesimo del suo fascino faceva il suo effetto.

«No figurati, non sono nervoso.. ma mi potresti turbare, se mi stai così vicina» non era ciò che voleva dirle, ma non riuscì a star zitto oppure a formulare una frase diversa. Totalmente rapito dai suoi occhi, agiva di puro istinto.

«In effetti.. a giudicare dal tuo.. gonfiore» con la coda dell’occhio indicò i pantaloni dell’uomo.

«Mi hai beccato.. ed è tutta colpa tua. Ma che mi stai facendo?» cercò di scherzare, nascondendo il velato imbarazzo.

«Sei davvero tenero, lo sai? un altro al tuo posto mi avrebbe già saltato addosso.. eh sì, tu sei proprio diverso da questi famelici ragazzini» pronunciò quelle parole quasi con un tono di sfida, ma sempre mantenendo una certa sensualità erotica e composta. Infatti, solamente la sua voce aveva bastato a sconvolgerlo.

«Ma io non sono come tutti. Non ti tratterei mai come una bambola gonfiabile.. sei una donna stupenda» sorrise debolmente, mentre lei gli si strinse contro, coi i seni che si schiacciarono sotto il suo viso.

«Dillo ancora.. dimmelo che per te sono una vera Donna, da venerare» si morse il labbro inferiore mentre una scarica le percosse la schiena.

«Una vera donna.. ti venero.. ti voglio» la voce gli era diventata roca, inebriato dal profumo invitante della vampira.

Non resistette più e si sospinse, baciandola con trasporto. Harmony portò le mani sul viso di lui e ricambiò il bacio, mentre una mano di Jason scivolò sulla sua coscia, per tastarne il velluto della sua pelle.

«Forse non te la cavi molto bene con le conversazioni, ma baci tremendamente bene» sorrise lei, accorgendosi degli occhi spenti di Jason. Lo ribaciò giocando con la sua lingua e facendo colare la saliva nella sua bocca.

Era fatta, l’uomo era completamente suo.

«Io.. non so nemmeno che sto dicendo o facendo.. so solo che ti desidero» le accarezzò senza sosta le gambe ed i glutei. Con l’erezione che pulsava e tirava sotto di lei.

«Fermo aspetta.. andiamocene di qui, ti voglio tutto per me» si alzò e gli tese la mano per aiutarlo ad alzarsi.

«Mi stai forse proponendo di.. sicura proprio me?» rimase perplesso, ma ancora eccitato.

«O sei tu che non sei convinto di volermi?» vacillò la giovane, sebbene la riluttanza dell’uomo la fece bagnare. Era una preda facile, indifesa. Eccitante.

«Rischi che accetti senza più esitare» cercò di sorridere lui.

«Mi eccita il rischio.. ed amo le sfide» ricambiò il sorriso e gli tese la mano.

Sentiva la testa pesante, come se avesse preso una sbronza apocalittica.

Stordito la seguì fino all’esterno, dove l’aria lo prese a schiaffi ed aumentò la sensazione di smarrimento.

Lo accompagnò alla sua auto e lo fece salire, sfrecciando alla fine della strada per recarsi in una piccola casa, dove qualche ora prima aveva visto il proprietario uscire. Durante il tragitto, Harmony pensò ad un modo per storcergli qualche utile informazione, mentre lui si riprese leggermente, libero dall'influsso dello sguardo della vampira.

«Mi dispiace non essere stato più stimolante nella nostra conversazione.. ma davvero, mi sento strano stasera» le tempie gli pulsavano insistenti.

«Non capisco perché ti fai di questi problemi, sono qui con te, no? mi hai intrigata» lei capì di aver perso parte del controllo.

«Mi faresti un caffè quando arriviamo? magari riprendiamo da dove ci siamo interrotti» abbozzò un sorriso ammiccante, mentre Harmony annuì umettandosi le labbra e guardandolo con aria ancora eccitata.

Arrivati alla casa dello sconosciuto, Jason barcollò, tenendo per mano la vampira che senza troppa fatica aprì la porta dell'abitazione. Si presentò dinanzi a loro un arredo semplice e punzecchiò le loro narici un odore di frittura, che indicò ad Harmony la posizione della cucina.

Dopo un attimo di esitazione si diresse verso la stanza, ma si bloccò.

«Siediti pure sul divano, mettiti comodo» lo invitò lei con fare forse troppo sbrigativo. Non era abituata in fondo ad aver a che fare con gli umani, né tantomeno fingere di essere gentile.

Lo era mai stata in realtà? aveva passato la maggior parte della sua vita a nascondersi e le uniche persone che rispettava davvero erano i suoi famigliari.

«Ma no, per favore lasciami venire con te» non voleva più rimanere solo, non quella sera, non dopo aver finalmente trovato una così coinvolgente compagnia, che in quel momento si trovava a pochi centimetri da lui, bagnata dalla luce blu dei lampioni esterni. La sua pelle era ancora più luminosa, gli sembrava una Dea apparsa solo per lui, per salvarlo.

Per loro fortuna c'era del caffè già pronto in una brocca, bastava riscaldarlo.

«Da dove hai detto che vieni?» riprese Jason sedendosi, ma senza staccare gli occhi da lei.

Quella giovane donna così prepotentemente sexy e particolare, vederla muoversi in cucina, creava un contrasto piuttosto intrigante.

«Non ti ho infatti detto che vengo da Bufalo, New York» si morse il labbro inferiore per averlo detto, sebbene scelse un quartiere a caso.

«Una bellissima città, incantevole sia in primavera, sia durante il periodo natalizio.. cosi mi han detto» osservò lui.

«Ha sempre il suo fascino, in ogni stagione» nella sua voce stavolta c'era malinconia.

«E come mai hai voluto staccare la spina?» quella conversazione lo incuriosiva e attraeva tanto quanto le effusioni nel locale.

«Mah.. problemi famigliari, diciamo così.. che a quanto pare, non sono estranei nemmeno a te.. dico bene?» gli porse la tazza di caffè.

«Sto diventando prevedibile o cosa? avrai sicuramente colto la mia solitudine per arrivare a tale conclusione» sorseggiò la bevanda pensando per un fastidioso istante all'ex moglie.

«Sei tutt'altro che prevedibile e non ti si può nemmeno dare per scontato.. ho solo un forte intuito» si bloccarono in quell'istante a perdersi negli occhi l'uno dell'altra, ma senza che lo sguardo di lei, apparentemente lo influenzassero. Anzi, nell'aria vi galleggiava una certosina dolcezza.

«Mi sai leggere dentro con quei occhioni.. eppure solitamente, sono molto posato per mia deformazione personale» continuò turbato Jason, facendo sorridere dentro di sé la vampira.

«E di che cosa ti occupi?» colse al volo l'occasione, sedendosi sul tavolo di fronte a lui, accavallando le gambe.

«Sono un detective della omicidi.. un lavoro che penso annoierebbe qualsiasi giovane ragazza come te» abbassò lo sguardo, non seppe nemmeno il motivo per il quale fosse arrivato a quell’ipotesi, ma improvvisamente sentì una vaga malinconia far di nuovo luce nel suo cuore.

«Invece penso sia piuttosto stimolante.. voglio dire, credo si imparino molte cose da questo lavoro.. ho seguito al notiziario la vicenda di questi giorni, sei tu che lavori a questo caso?»

Jason alzò lo sguardo in direzione del viso pallido e apatico di Harmony, dopo aver terminato il suo caffè.

«Stimolante dici.. non ti rendi nemmeno conto di quel che significa.. ad ogni modo si, sono io che lavoro a quel caso.. ne vedo di ogni tutti i giorni, non hai nemmeno una vaga idea di quanti mostri ci siano là fuori.»

«Definisci mostri» non le piacque quel termine, dato che la sua razza era etichettata in quel modo, dagli stessi umani.

«Ad esempio, chi toglie la vita ad un innocente, senza motivo.. a sangue freddo.. forse è scontato, ma lo definisco decisamente un mostro.»

A quelle parole Harmony rabbrividì, quante volte aveva ucciso per cibarsi o per placare i suoi desideri?

«E tu hai mai strappato una vita?» chiese accarezzandogli il viso.

«Purtroppo sì.. troppe volte.»

«Quindi anche tu sei un mostro.»

«No mia cara, non ho mai ucciso un innocente. Non avrò un'aureola scintillante sopra la testa, ma non sono nemmeno un demone, dato che c'è differenza.»

«Secondo me invece non sai nemmeno cosa sia un vero demone.»

«Pensi? sembri così curiosa dell'argomento.. ma ti prego, non parliamo più del mio lavoro.. è la ragione principale che mi ha spinto a bere stasera» non voleva assolutamente divulgarsi eccessivamente nell'argomento, aveva bisogno di distrarsi e non di crogiolarsi.

«Non direi che è così terribile, dato che ha permesso di conoscerci» la vampira scivolò sulle gambe di lui e gli avvolse il collo con le braccia.

«Non stai bene qui con me?» continuò lei quasi come in un sussurro, cercando di recuperare il controllo della sua mente attraverso gli sguardi sensuali.

«Meravigliosamente.. ma non so nemmeno il tuo nome» le accarezzò una coscia, la pelle era morbidissima, ma gelida. Non lo aveva percepito nel locale, probabilmente per il calore dell’ambiente stesso.

«Chiamami come vuoi tu» gli rispose dopo averlo baciato delicatamente sulle labbra, provocandogli un godurioso focolare nello stomaco e basso ventre.

«Ti piace davvero giocare.. allora ti chiamo.. Sonja» ricambiò con un secondo bacio, delicato, per poi afferrarle le labbra con le sue ed infine abbandonarsi ad un bacio più trasportato.

Bruciarono l’uno nelle pupille dell’altra, che stavolta si dilatarono, brillando un poco.

Trovava Jason un uomo molto attraente, sebbene di fatto non aveva mai provato vera e proprio attrazione fisica nei confronti di qualcuno, tantomeno di un umano. Ma lui era lì, caldo e pulsante, fatto di pensieri e desideri, che l’accarezzava e la baciava come probabilmente nessuno aveva mai fatto prima.

Era sotto la sua influenza certo, ma sembrava che quasi resisteva inconsciamente.

O forse era lei che per qualche insolita ragione non riusciva a mantenere una certa autorità?

Non riusciva a rifletterci, tutto stava accadendo vorticosamente e le sensazioni che provava baciandolo erano a lei oscure, ma assolutamente gradevoli. Il suo obiettivo venne eclissato dal desiderio, che repentino salì nel suo baricentro erotico e continuò così a baciare l’uomo che ricambiava a sua volta, conducendo le sue mani lungo il corpo della vampira, estasiato dal fresco della sua carne.

Quasi per un attimo si accorse che la sua Sonja, nemmeno emetteva fiato.

Respirava, o così poteva sembrare a lui, ma non sentiva nulla su di sé e questo lo stordì, lo incuriosì, ma non era quello il momento di porsi delle domande.

Di scatto afferrò la giovane per le cosce e si alzò in piedi, per poi sbatterla al muro con impeto per baciarle il collo, il viso, le labbra carnose e vogliose. La mani di lei scivolavano febbrilmente sulla schiena di Jason, avvolta come una piovra attorno alla sua preda.

Ma era lui la vera preda?

Si spinsero fino alla camera da letto, dove selvaggiamente si spogliarono, impazienti di cibare le mani e le labbra delle loro ansimanti carni.

I vestiti scivolarono di dosso ad entrambi con nostalgica fretta, mentre Harmony capì finalmente che Jason non era sotto la sua influenza.

Non c'era riuscita questa volta, lui voleva realmente fare l'amore con lei.

Nuove sensazioni fecero capolino sulla sua pelle, mai aveva provato tanto trasporto.

La fece sdraiare sul letto torreggiando sopra di lei, sfiorandole quel manto candido come neve che era la sua pelle. Il corpo della vampira, sublime a Jason, al gusto dei suoi baci, impazienti di provocarle prepotenti brividi.

Harmony percepiva il calore dell'uomo come lava bollente che colava a cascata sui suoi morbidi seni.

Divenne la sua tela e la punta della lingua, era il pennello. Come un abile artista dipinse sul corpo di lei fino ai suoi lembi, goccioline di puro desiderio. La goduria che le procurò era ai suoi sensi un'autentica opera d'arte.

Fu definitivo, ad avere il controllo era Jason che fece cadere entrambi in un profondo abisso di frenesia.

Si lasciò trascinare strofinandosi su Harmony fino ad arrivare alle sue labbra, per baciargliele voracemente. Si bloccò un solo istante per contemplare il suo sguardo. C'era un qualcosa nel suo viso e nei suoi occhi che racchiudeva un misto di tenerezza e desiderio che raffigurava l'emblema della lussuria. Quella donna sotto di lui divenne quasi pericolosa, rappresentava il peccato assoluto e primordiale. Ma questo lo eccitò a tal punto che non resistette dal possederla.

Prepotentemente entrò in lei che si sentì perfino stordita. Che cosa le stava accadendo? Perché i suoi poteri non avevano effetto? Ma soprattutto, cos'erano quelle sensazioni tanto libidinose quanto temibili?

Si sentiva catapultata in un'altra dimensione ad ogni colpo di bacino dell'uomo.

Navigarono assieme nel piacere stringendosi le dita, baciandosi con efferatezza, esplorando i loro corpi sudati fino a quando la loro goduria morì quasi contemporaneamente.

Jason delicatamente si scostò da Harmony baciandole il viso e sdraiandole accanto, stordito.

«Mi hai sorpresa, detective» le sussurrò lei all'orecchio un attimo dopo essersi ripresa dal vortice della passione.

«Non so se esserne compiaciuto oppure offeso, non mi credevi all'altezza?» sorrise lui con tono scherzoso.

«Nessuno mi aveva mai fatto sentire così» rifletté a voce alta la giovane.

Lui l'attirò a sé, poggiandole la testa sul suo petto. Quasi d'istinto lei glielo accarezzò e senza nemmeno accorgersi, si lasciarono andare ad una mistica dolcezza.

«Mi hai davvero sconvolto, mi hai decisamente cambiato la serata» disse Jason in un sospiro.

«Sapessi in quanti modi potrei sconvolgerti» rispose lei alzando il viso per poterlo guardare negli occhi e baciarlo.

«Non ho dubbi al riguardo, sei straordinaria» le passò le dita tra i setosi capelli.

Harmony si avvicinò sempre di più al suo viso e gli accarezzò le labbra con la lingua fino a scivolare verso l'orecchio.

Con sensuale cura afferrò tra i denti il lobo e lo mordicchiò sotto i gemiti soffocati dell'uomo.

«Piccola, non vorrai di già ricominciare?» la stuzzicò lui.

«Rilassati» si limitò a rispondere lei con voce roca.

Continuando ad accarezzargli il petto, gli leccò orecchio e collo. Le piaceva moltissimo, la inebriava l'odore della sua pelle, l'acidulo del suo sudore ed il suono dei suoi spinti gemiti.

Per un istante ebbe l'impressione gratificante di aver ripreso lei il controllo e questo la eccitò nuovamente, la spronò e senza più freni, si concentrò sul collo dell'uomo.

Con la punta della lingua glielo tormentò, ascoltando il dolce scorrere del sangue nelle sue vistose vene.

Con dolcezza poggiò le sue fauci, doveva assolutamente assaggiarlo.

«No ferma! che vuoi fare?! mi resterà il segno» la bloccò lui.

«Tranquillo mio caro, so bene quel che faccio.. c'è modo e modo di mordere e non per vantarmi, ma io lo so fare.. non resteranno lividi, te lo prometto» la cosa lo incuriosiva non poco, colse una bizzarra nota nella voce di lei mentre lo diceva e così si lasciò mordere.

Sentì i denti della ragazza affondare delicatamente ma con decisione, nella sua carne. Lei mosse la mascella seghettando la pelle e succhiando golosa. I primi capillari si spezzarono lievemente ed il famigliare gusto ferroso, solleticò in maniera blanda la lingua di Harmony.

L'uomo stava godendo, incredibilmente non percepiva alcun dolore, solo piacere. La sensazione era terribilmente appagante, unica. Si sentì perfino mancare le forze.

Soddisfatta la vampira si scostò da lui.

«Sei buonissimo, lo sai?!» si lasciò sfuggire lei gemendo.

«Come scusa?! non dirmi che succhi il sangue a tutti i tuoi uomini» rise lui. Se solo avesse saputo quanto aveva ragione!

«Sono strana.. lo so.. ma di sicuro questo ti piace» ghignò lei compiaciuta.

«Mi fai impazzire.. non ho mai conosciuto una come te.. ti chiamerò vampirella» rise nuovamente, ma si bloccò un attimo dopo.

Un flashback folgorò la sua mente.

Sangue, vampiri, morsi. Gli tornò alla mente il suo caso, solleticando l'idea che poteva centrare in qualche modo l'occulto.

Una setta o un'organizzazione satanica aveva forse rapito quella gente per usare il loro sangue da dare in sacrificio? Magari erano degli infermieri o dei dottori? Se lo appuntò ai pensieri, ma quel fugace ritorno alla realtà lo fece sentire a disagio con la sua notturna compagna.

«Piccola chissà che ore sono.. io domani lavoro.. meglio che vada ora» si alzò dal letto, ma si sentì esausto.

«Te ne vai di già?» piagnucolò lei.

«Devo, ma ti lascio il mio biglietto da visita.. così se ti va ci risentiamo» raccolse i vestiti da terra e Harmony notò un sinistro luccichio verde dietro il collo di Jason, ma non vi badò.

«Mi farebbe molto piacere.. vuoi che ti riaccompagni in macchina?» lo imitò e di fretta si rivestì.

«No tranquilla, ho voglia di camminare.. un po’ d'aria mi farà bene» le baciò le labbra dolcemente.

«A presto, Sonja» fece scivolare nella mano di lei un biglietto, esitante dall'andarsene.