PREMESSA

“Fin dall’alba dei tempi, da quando umani e divinità coesistevano nei loro due Mondi, separati dalle tante dimensioni di cui l’Universo –o i molteplici tali- è composto, furono create 22 tavolette, riportate poi in pergamene, denominate “i Tarocchi del Pantheon” raffiguranti le principali divinità della mitologia celtica che vivono nel Pantheon.

 

La teoria circa questi tarocchi era che il dio dell’Universo volle ammonire i numi celtici e metterli in guardia, affinché non cedessero a vizi e capricci come le loro controparti greche e quindi assicurarsi che mantenessero una loro integrità morale e spirituale. Una sorta dunque di possibile castigo poiché i tarocchi celano molte funzioni segreti, strettamente collegate alle essenze di ciascun dio. Si narra che possono togliere loro i poteri, intrappolarli, comandarli.

 

Per impedire che qualcuno si ribellasse, il dio dell’Universo diede l’impegno di proteggere i tarocchi ai Thuata de Danann, una tribù umana estremamente devota ai numi del Pantheon, in particolare alla dea Dana. I Thuata custodirono gelosamente per secoli nel Tempio della dea i tarocchi.

 

Essi rappresentano, in ordine:

 

- Il primo arcano, gli oggetti sacri di Taranis, padre degli déi.  Un calderone, un bastone e un’arpa. Poteva controllare le stagioni e le emozioni umane, sia col calderone che col bastone. Con l’arpa invece scatenava potentissimi fulmini e incendi;

 

- Gli occhi di Belenus, dio del potere e della bellezza;

 

- La pergamena di Brigid, dea dei poeti e dei guaritori;

 

- Il martello di Borvo, dio dei minerali;

 

- La spada di Esus, dio della guerra;

 

- Il chakram e lo scudo di Morrigan, dea della guerra e della sessualità;

 

- Le corna di Cernunnos, dio padre della natura;

 

- L’arco di Mabon, dio della caccia e della giovinezza;

 

- La mano di Dana, la dea Madre del popolo Thuata e delle acque;

 

- L’arcano dei fiori di Cerridwen, la dea madre della natura;

 

- Il sorriso di Sirona, dea delle guarigioni;

 

- L’unicorno di Epona, dea dei cavalli;

 

-  Le stelle di Guntia, dea della luna;

 

-  L’alabarda di Manan, dio del mare;

 

- La triade di Marna detta “la Matrona” colei che influenza il destino;

 

- Lo scudo di Teutates, dio della fertilità e ricchezza, protettore degli uomini in battaglia;

 

- La luce di Lugh, dio del sole;

 

- La corona di Andraste, dea delle vittorie;

 

- Il gabbiano di Cliodna, dea dell’amore e della bellezza;

 

- Lo scettro di Angus, dio dell’amore e protettore dei giovani;

 

- Il teschio di Dis Pater, detto anche Donn, il dio della morte;

 

- Ritratto di Bodbh, un corvo maledetto che si ciba delle carcasse dei caduti in battaglia. Bodbh è anche il diletto della dea Morrigan, il quale è solito accompagnarla nelle guerre;

 

 

 

Cosa accadrebbe se questi pericolosi strumenti finissero nelle mani sbagliate?”

 

 

 

 

 

 

 

Tensione e squilibrio. Un'aria minacciosa di nuove sfide mulinava nel cielo di Roma, sovrastato da una notte senza stelle e dalla luna piena che allungava il suo braccio fino alla città.

 

Una folata di vento intrisa di energia si espanse lungo il Raccordo, investendo le poche macchine che viaggiavano a quell'ora tarda. Turisti, festaioli o lavoratori che avevano staccato dopo gli straordinari. L'anello si sollevò a cupola circondando la città, fino a racchiudersi attorno a una colonna di luce evanescente all'occhio umano.

 

Un varco tra le nuvole era stato aperto, introducendo qualcosa di assolutamente inaspettato e in qualche modo, pericoloso.

 

Pericoloso proprio per lo squilibrio che causava.

 

Energie contrastanti divagarono alla cieca, senza che nessuno potesse accorgersene, tra le strade semideserte in quasi tutte le zone della città eterna.

 

Tuttavia, nelle abitazioni non tutti dormivano e, qualcuno in particolare, osservava il fenomeno con un cannocchiale, dietro la vetrata di quello che sembrava essere un ufficio ad un piano piuttosto alto di un elegante palazzo.

 

Senza distogliere lo sguardo dalla colonna di luce lunare, si fece il segno della croce in un gesto lento e sentito. «Che Dio ci abbia in gloria nella sua luce perpetua e che queste immonde creature tornino negli inferi a pagare per le loro nefaste esistenze, nel nome della giustizia Divina.»

 

Un uomo sulla cinquantina pronunciò quelle parole in un sussurro, stringendo in mano un rosario in argento. «Che le nostre suppliche vengano accolte.»

 

Il cigolio della porta alle sue spalle indicò che qualcuno stava entrando.

 

«Mi perdoni signor Presidente se la disturbo, ma ci sono delle novità» esordì un uomo basso e tarchiato con un auricolare all'orecchio che faticava a tener fermo al suo posto.

 

«Entri pure, Fratello Massimo. Avete scoperto cosa colpisce quel raggio?»

 

L'uomo tarchiato si fece avanti tentennando. «Arriva dalla zona del Pantheon. Fratello Giuliano ha visto quelli della Divisione entrarci e poi lo hanno raggiunto delle persone che non abbiamo mai visto prima» annunciò incerto, porgendo all'altro delle fotografie raffiguranti le sagome evanescenti di Arum Kingsdale, Harmony e i loro alleati.

 

L'uomo si allontanò dalla finestra per raggiungerlo e prese in mano le fotografie per esaminarle.

 

Il suo passo era fiero e il sorriso rapace, compiaciuto, di chi è abituato a vincere facile.

 

Nell'ufficio era accesa solo una piccola lampada appoggiata sopra un mobiletto e la sua fioca luce risaltava con le ombre il viso rugoso e corrucciato dell'uomo che sbuffò, «sono volti nuovi. Cercherete di scoprire chi sono e che hanno a che fare con la Divisione. Sono mesi che teniamo d'occhio quelle creature blasfeme e ancora non abbiamo scoperto che cosa stanno architettando. È una vergogna!» sbottò infine l'uomo anziano.

 

«Ha ragione signor Presidente, ma purtroppo non sempre è semplice stare al loro passo senza essere scoperti dai membri o dai giornalisti» tentò di giustificare l'altro.

 

«Me ne rendo conto, Fratello Massimo, me ne rendo conto. Ma il Vaticano ci ha tagliato i fondi finché non scopriamo qualcosa di concreto e Padre Negus, non può fare molto in questo momento» rifletté rammaricato l'uomo.

 

Si appoggiò alla scrivania e vi posò sopra le fotografie.

 

«In ogni caso proverò a chiedere a Padre Negus se conosce queste persone, di sicuro anche loro vampiri. Domattina gli manderò io stesso un fax» disse infine.

 

«Pensa che li conosca?»

 

«Può darsi. Se hanno a che fare con la Divisione, potrebbe significare che hanno avuto contatti con i vampiri di Dublino» l'uomo si concesse una pausa, quasi fosse inorridito da ciò che aveva appena pronunciato. «Sta succedendo qualcosa di grosso, me lo sento. I vampiri della Divisione sono passati all'azione, forse stavolta scopriremo di che si tratta e il Vaticano riconoscerà finalmente i nostri meriti. Noi, l'Ordine della Croce Immacolata, abbiamo il dovere di ripulire Roma, e non solo, da queste bestemmie che camminano! E il prima possibile, Fratello Massimo!» si adirò l’uomo, battendo un pugno sulla scrivania.

 

«Tuttavia, signor Presidente, dobbiamo agire con cautela e continuare a studiare la Divisione, prima di agire. Chiederò a Fratello Giuliano e agli altri se ci sono delle novità e poi sarà lui stesso a fare rapporto» lo rassicurò Massimo, primo segretario del fondatore dell’Ordine.

 

«E sia. Domani voglio un fascicolo completo con un rapporto su quei tizi e sul fenomeno avvenuto poco fa. Dio ci osserva e non possiamo deluderlo» affermò risoluto l'uomo. «Ora vada pure Fratello Massimo e che la luce del Signore la accompagni.»

 

«Buona notte dunque, Presidente. A domani.»

 

L'uomo si congedò facendo il segno della Croce sul petto con due dita e baciandole. Era il segno di saluto dell'Ordine della Croce Immacolata.

 

Alfredo Falcetti si sedette alla scrivania nella sua poltrona in pelle. Nell'ufficio l’arredamento era piuttosto parco e conservava un qualcosa di tradizionalmente ecclesiastico. Croci alle pareti, santini in statuette riposte nei scaffali di un’alta libreria, quadri di vari dipinti raffiguranti il Cristo.

 

Dall'unico cassetto della scrivania, Falcetti prese un taccuino e lo sfogliò per cercare il numero di fax di Padre Negus.

 

Lo sguardo si spostò sulle istantanee.

 

Le esaminò una seconda volta con più attenzione. Almeno uno degli uomini immortalati, lo aveva già visto da qualche parte.

 

Arum Kingsdale era un volto noto ormai, anche tra gli umani che appartenevano ad organizzazioni occulte.

 

E Roma si stava per trasformare in uno palcoscenico di uno scenario unico nel suo genere, dove gli attori erano senza scrupoli e pronti a tutto per sostenere i loro ideali o per ottenere ciò che desideravano. Ragione e potere. Sacro e profano. Vendetta e gloria. Cosa e chi prevarrà?

 

Il portale dimensionale tra la Terra e il Pantheon degli déi celtici, ormai, era stato aperto.

 

CAPITOLO 1

Dalla notte di inizio estate a Roma, lo squarcio nel cielo lasciava filtrare la colonna di luce che si abbatté sul Pantheon, entrando dall'Oculus e picchiando il portone d’entrata, come in genere capitava solamente il 21 aprile a mezzogiorno, in cui vi sono legati miti divenuti oggetti di studio e di curiosità popolari, per un evento arcano che nascondeva del mistico. Chi mai poteva immaginare che dietro alla magia, se così si potrebbe definire, di quell’evento, si nascondevano delle concrete verità.

 

E come se il portone fosse uno specchio, rifletté la luce bianca e radiosa, misteriosamente, illuminando poi tutto il sotterraneo nascosto del Tempio nel momento in cui la colonna di luce picchiò sul pavimento.

 

L'attesa di quel che sarebbe accaduto da lì a poco si faceva sempre più estenuante. Mirko De Sanctis e altri seguaci di Arum Kingsdale, rimanevano col fiato sospeso, nell'impotenza di non poter agire in nessun modo per rendersi utili.

 

Ricevettero l'ordine preciso di attenderlo nel vasto spiazzo del Circo Massimo circa nella zona sudovest di Roma. Giunsero fin lì con uno dei jet privati di Arum e due elicotteri appartenenti al suo casato, scortato da un totale di otto Agenti della sicurezza. Neo-vampiri addetti alle operazioni di sicurezza e protezione del casato e di Arum stesso. Un ruolo ben più mirato e importante delle sue solite “guardie” di cui era composto il clan.

 

Il suo governo a Los Angeles e quindi tutto il suo sistema, Arum lo modificò adattandosi ai tempi e alle esperienze che accumulò negli ultimi anni per i pericoli che aveva corso, vissuto e sconfitto.

 

Mirko invece era il Supervisore personale di Harmony. Una sorta di guardia del corpo speciale, un allenatore e un confidente –proprio come Nathaniel lo era per Zack-, sebbene per la giovane donna non era semplice farselo sembrare simpatico. Per una qualche oscura ragione, provava dell'astio nei confronti del vampiro italo-americano.

 

Sensazione a pelle, giustificò.

 

E per fortuna di tutti, Mirko era la chiave per aggirarsi tranquillamente tra le zone di Roma, tenendo conto delle sue origini. Arum masticava la lingua italiana impacciatamente e non vi era nessun altro membro del clan che conoscesse la lingua o i luoghi della capitale.

 

Per questo motivo, a Mirko venne affibbiato il ruolo di leader in quell'operazione.

 

Tuttavia cominciava davvero a stancarsi.

 

Si avvicinò nervosamente a due dei suoi collaboratori, «notizie dal nostro Signore? o da Zell?» chiese sbuffando, sedendosi su una panchina.

 

«Negativo. Saranno sicuramente all'interno del Pantheon» rispose tenendo sott’occhio il palmare, il più giovane dei due Agenti, un ragazzotto robusto coi capelli biondo rame e due occhioni scintillanti che sembravano rubini.

 

«Vede quella colonna di luce, signor Mirko? non mi piace per niente. Sta succedendo qualcosa di veramente pericoloso» intervenne il secondo Agente, più maturo, indicando il cielo con un dito.

 

«Nemmeno a me. Se non sono qui entro venti minuti, dobbiamo assolutamente intervenire» replicò Mirko, aggiustandosi il colletto della Polo.

 

«Ma abbiamo l'ordine di attenderli qui!» obbiettò il più giovane.

 

«Lo so bene, ma ho anche delle responsabilità! Specie nei confronti della signorina Harmony!»

 

Il tono di Mirko non ammetteva obiezioni e senza aggiungere altro, si alzò dalla panchina accendendosi una sigaretta con gesti meccanici e lo sguardo assente.

 

Espirò una boccata di fumo voltandosi poi in direzione dei due, «voi resterete qui, se preferite».

 

 

 

Intanto, nei bassi fondi del Pantheon, Arum e Lustios vi erano ancora rinchiusi coi rispettivi alleati. Lì sotto era una zona sconosciuta agli esseri umani. Un sotterraneo segreto in cui per secoli, vampiri, streghe e altre creature immortali, utilizzavano come luogo di culto, di nascondiglio, di adorazione a ogni tipo di Divinità, specialmente celtica e irlandese, in contrapposizione con quella più comune dell'Antica Roma o della Grecia.

 

In realtà, ben nascosto vi era anche un antro dedicato ai numi greci, venerati da sette e streghe italiane.

 

Il segreto di quei spazi occulti nei bassifondi del Pantheon si era tramandato di generazione in generazione tra le razze di creature appartenenti al mondo underground, anche se umani, come appunto le streghe o le sacerdotesse di Avalon, o gli sciamani della zona.

 

Davanti a un piccolo altare, Lustios faceva la guardia ai tarocchi posizionati in cerchio su una stella a sei punte marchiata sulla pietra.

 

Un suono penetrante, tombale, riecheggiava tra le mura dello stanzone, riempiendo i timpani di tutti i presenti.

 

Arum e i suoi erano tenuti a distanza dagli scagnozzi di Lustios, in modo che potesse continuare il rituale senza intoppi.

 

Il marchio della stella a sei punte si illuminò di una luce scarlatta, intensa, come se fosse... magia vera e propria, di quelle che si narrano nei racconti e nelle fiabe, quel qualcosa, quell’energia inspiegabile e quasi impercettibile all’essenza umana.

 

Arum si chiese come potesse essere possibile. Che stava succedendo? era davvero, dunque, magia? Sulla base di ciò che aveva imparato nella sua lunga esistenza, aveva sempre creduto che la magia non fosse altro che la manifestazione dell'energia universale di cui ogni cosa ne è pregna.

 

Ma quel che stava accadendo andava ben oltre ogni comprensione.

 

Il suono infernale si fece più acuto e la luce nella stanza si intensificò maggiormente.

 

«Si può sapere che cos'avete scatenato?» urlò Arum cercando di sovrastare quel suono.

 

C'era davvero dell'energia nell'aria ed era potentissima, quasi insopportabile da avvertire.

 

«Non lo so!» rispose Lustios senza distogliere lo sguardo dai tarocchi, rapito e quasi drogato, da tanta manifestazione energetica.

 

Aveva richiamato una forza spaventosa.

 

Indietreggiò di qualche passo. Avvertiva il pericolo. Qualcosa di inaspettato sarebbe accaduto da lì a poco. Lo sentiva. Lo sapeva. Lo prevedeva.

 

«Avete dato inizio a questo folle rituale senza conoscerne le conseguenze? è proprio da voi!» contestò Arum schernendo il nemico, con il solo desiderio di salvare Emily, ancora prigioniera nel vaso che Lustios stringeva fra le mani.

 

Nello stesso momento, tutta la misteriosa energia si materializzò sotto forma di sagome. Uomini e donne troneggiavano, nudi, sopra l'altare, in figure evanescenti e biancastre.

 

I volti inespressivi e gli occhi senza iridi. Per quanto confusi, Arum e Lustios ebbero un'idea circa l'identità di quelle persone.

 

«Che siano proprio...» balbettò Arum, poco prima che le figure lo interrompessero spezzando il cerchio e sparpagliandosi per la stanza, provocando un terremoto che fece vacillare i presenti.

 

Né seguì un'ondata di energia che travolse tutti come una gran folata di vento e li sbatté a terra, altri contro le pareti, mentre le figure rapidamente si dissolsero, una ad una, in piccole esplosioni di luce, quasi fossero delle scintille di fuoco fatuo.

 

Ne seguì una scossa di terremoto che fece vacillare le statue, vasi e altri cimeli presenti e ben conservati nello stanzone. Alcuni caddero a terra frantumandosi fragorosamente, dando l’addio a secoli di storia.

 

Le pergamene raffiguranti i tarocchi, poggiati sopra l'altare, si alzarono in aria come se qualcuno con un soffio li avesse spostati, librandosi in aria a mulinello.

 

Harmony fu la prima ad accorgersene e scattò in piedi per correre verso l'altare e afferrarle, ma Lustios e Carter, uno dei suoi tirapiedi, furono lesti nell'impedire alla ragazza di compiere il suo intento. Le si lanciarono addosso, scaraventandola a terra.

 

Nello stesso momento, la scossa di terremoto cessò e Harmony si difese con calci e ceffoni, rotolando poi a terra coi due uomini nel tentativo di liberarsi.

 

Arum accorse per aiutarla, ma con la coda dell'occhio vide il vaso contenente Emily, rotolato sul pavimento, fin sotto l'altare.

 

Avrebbe tanto voluto afferrarlo e liberare colei che un tempo gli aveva donato forza e speranza. Gli aveva donato la vita, una vera vita, che andava ben oltre un petto che danza col respiro e un cuore che pulsa tramite arterie.

 

Ma non poteva lasciare sua figlia nelle grinfie di quei potenti vampiri. Non ce l'avrebbe fatta a combattere da sola.

 

Arum allora strinse i pugni, promettendo fra sé e sé che avrebbe aiutato anche Emily e si diresse in direzione della figlia liberandola dalla presa dei due uomini che li colpì con una serie di mosse.

 

Nel frattempo, Zell si vide impegnato in uno scontro con Owen e Kryor, gli altri due alleati di Lustios.

 

Sebbene non avesse mai voluto danneggiare quel luogo sacro e importante per quelli della sua razza, Zell si vide costretto a sparare contro i nemici con una Colt 1911. Lo scontro corpo a corpo con la katana era impossibile, poiché Owen usava una balestra Compound e Kryor un'alabarda in acciaio con incastonata una gemma in grado di  lanciare sfere energetiche e fuoco, grazie a una fiala di nitroglicerina incastonata nella parte inferiore alla sfera, che scatenava la reazione chimica con l’energia.

 

Alcune statue ne subirono le conseguenze. Da lì a poco avrebbero demolito tutto.

 

Intanto Arum liberò Harmony dalla presa di Lustios, afferrandolo da dietro con le braccia e scaraventandolo a terra con una serie di calci.

 

La giovane poté in questo modo difendersi a sua volta da Carter. Con una capriola riuscì a raggiungere una teca. La ruppe con un pugno e afferrò due sciabole.

 

Ora era davvero pronta a combattere.

 

Carter tuttavia non si fece intimorire. Impugnò la sua spada che teneva in un fodero sulla schiena. Era vestito con una canotta militare, pantaloni di pelle nera e anfibi coordinati. Dai muscoli delle braccia si evidenziavano vene bluastre e i nervi tesi. I canini erano lunghi e minacciosi, visibili nel momento in cui soffiava pronto ad attaccare.

 

La lama della spada era dentata e leggermente ricurva sulla punta, come se fosse stata piegata a zigzag, segnata da una trama tribale. Di certo non era una comune spada, proprio come Carter e gli altri due non erano comuni vampiri.

 

Senza indugiare oltre si avventò sulla ragazza che di riflesso si mosse per bloccare la lama della spada del nemico, con le sciabole, incastrandola.

 

A quel punto Carter liberò l'arma e volteggiando colpì Harmony con un calcio facendola sbattere contro la parete, poi la ferì al braccio e al fianco con colpi di spada. Era stata messa alle strette, ma di certo non aveva intenzione di subire senza reagire.

 

Dall'altra parte, Arum e Lustios continuavano a lottare in uno scontro corpo a corpo che fece rivelare Lustios un avversario degno di nota. Era rimasto forte e temibile, nonché agile e scattante, sicuramente allenato e preparato come Arum se lo ricordava.

 

Quest'ultimo gli sferrò un gancio destro sulla mandibola di Lustios e lo spinse contro una colonna, bloccandolo col peso del proprio corpo.

 

«Era un portale quello, vero?» chiese Arum trattenendo a stento la sua furia. Avrebbe voluto staccare la testa di Lustios in quello stesso istante.

 

Il nemico si limitò a sorridere maliziosamente.

 

«Rispondi, maledizione!» lo intimò Arum.

 

L'altro sbuffò quasi annoiato, facendosi beffa dell'avversario.

 

«Sì. Quello era un portale» ammise infine con tono pacato e un sorrisetto maliziosamente divertito.

 

«E quelle figure...  ho riconosciuto Taranis, Brigit e altri» continuò Arum senza lasciare la presa, con il fuoco dell'ira negli occhi.

 

«Erano proprio loro» rispose divertito Lustios, dando poi una spinta ad Arum, allentando la presa. «Non sapevo esattamente cosa sarebbe accaduto aprendo il portale, ma è evidente che tutti i numi sono stati chiamati qui, sulla Terra. In questa città.»

 

Arum non poteva crederci. «Voi non vi rendete minimamente conto di quel che avete fatto. Non si dovrebbero aprire portali verso altre dimensioni con tanta leggerezza! e inoltre, lasciando il loro luogo sacro, cosa accadrà ai numi e all'equilibrio cosmico? Avete spezzato un ordine universale» affermò Arum ancora sconvolto. Non avrebbe mai immaginato che si potesse arrivare a tanto e che i tarocchi erano pericolosi a tal punto. Le loro funzioni erano ancora in parte ignote, ma una cosa era certa: furono create come minaccia contro i numi, come un castigo. Se ne poteva avere piena certezza.

 

«Lo so molto bene invece, così come so che ora che sono sulla Terra, probabilmente i numi hanno perduto i loro poteri. Forse i tarocchi servono anche a questo: assorbire i poteri degli dei. E io intendo utilizzarli per creare un equilibrio che sia modo a mio. Cambiare l'ordine delle cose, del tempo. Perfino dei sentimenti magari» dichiarò infine Lustios in tono plateale.

 

«Tutto questo lo fate solamente per la brama del potere? siete il solito idiota che tenta disperatamente di conquistare il mondo?»

 

«No. Non il mondo. Solo il governo della nostra razza. Intendo recuperare il tempo perduto. E voglio ricominciare da capo con una persona...» a quell'ultima frase, Lustios abbassò lo sguardo.

 

Per la prima volta, ad Arum parve vulnerabile. Non era certamente il solito fanatico e non somigliava nemmeno a chi voleva a tutti i costi il potere assoluto su ogni cosa, un po' come Zetesis. No, per Lustios c'era dell'altro, in fondo.

 

E chi era quella persona? Cosa stava nascondendo?

 

Arum non lo sapeva e non aveva intenzione di chiederglielo o di scoprirlo nell’immediato. Il suo unico scopo era quello di mantenere l'ordine e impedire quindi a Lustios di portare altro caos.

 

«Quali siano i vostri motivi, dovrete vedervela da solo. A me interessa solo ripristinare l'equilibrio che voi avete appena spezzato!» asserì Arum, lasciando la presa su Lustios.

 

«State ancora giocando all'eroe?» lo sfidò il nemico.

 

«Tutto questo non è un gioco. I numi devono tornare nella loro dimensione.»

 

Mentre pronunciava quelle parole, Arum realizzò che per riuscirci, avrebbe avuto bisogno dei tarocchi.

 

Si gettò quindi sull'altare, con uno scatto rapidissimo, cogliendo di sorpresa l'altro.

 

I tarocchi erano sparsi ovunque, sia sul pavimento, sia sul piano dell'altare, come se la forza che li teneva uniti all'improvviso avesse ceduto stancamente.

 

Arum si avventò sulle colorate pergamene per recuperarle, ma Lustios lo imitò rapidamente. Non poteva lasciarglielo fare. Coi tarocchi in suo possesso, avrebbe potuto controllare i numi e avere tutti i loro poteri, o quasi.

 

Sarebbe potuto diventare egli stesso, quasi un dio.

 

Avrebbe ottenuto tutto ciò che voleva. Fama e ricchezza certo, ma anche rispetto. E non solo. Anche affetto, forse. Considerazione, magari. Le attenzioni che gli mancavano da una persona in particolare. Una persona che si era schierata contro di lui tanto tempo prima e della quale sentiva la mancanza più di ogni altra cosa, perfino della gloria.

 

Accovacciato a terra, afferrò più pergamene che poteva.

 

Arum nel frattempo aveva raccolto tutti gli altri tarocchi e quando vide Lustios in ginocchio dall'altra parte dell'altare, con un balzo lo raggiunse e lo colpì al volto con un calcio.

 

Il nemico cadde rivolto a terra, ma con  una capriola si mosse per rialzarsi in piedi l'attimo dopo.

 

Si avventò successivamente su Arum, andandogli in contro e spingendolo fino a fargli perdere l'equilibrio. Lustios dunque ne approfittò per oltrepassare l'altare.

 

Quando Arum si rimise in piedi, vide l' altro che stringeva sottobraccio il vaso che conteneva Emily.

 

«Dovevate per forza mettermi i bastoni fra le ruote! giuro che ve la farò pagare» ringhiò Lustios in tono adirato.

 

«Liberatela!»

 

«Consegnatemi i tarocchi, allora».

 

«Giammai!»

 

 «E sia. Lei verrà con me e state certo che non mi fermerò davanti a nulla. Questa città sarà il nostro campo da guerra, caro Arum Kingsdale».

 

Con quelle ultime parole, Lustios concluse lo scontro battendo in ritirata. Rapidamente raggiunse una delle aperture ai lati dello stanzone, richiamando i suoi alleati con un fischio.

 

Carter lo raggiunse dopo essersi defilato dallo scontro con Harmony. Per quanto fosse agile e forte la ragazza, l’uomo si rivelò un avversario davvero tenace e potente.

 

Stessa cosa fu per Owen e Kryor che lo seguirono dopo aver messo alle strette Zell, sepolto da cumuli di macerie di statue e colonne distrutte dagli spari.

 

Lo spadaccino si liberò dalla trappola di marmo e terracotta quando ormai era troppo tardi.

 

Il nemico era riuscito a fuggire e con sé aveva Emily e alcuni tarocchi.

 

Arum avrebbe dovuto fare la stima di quelli che mancavano dal mazzo che era riuscito a recuperare poco prima.

 

Harmony lo vide con la testa china, abbattuto come non mai. Stava cercando di pensare, di riflettere su quello che era accaduto, dilaniato per la preoccupazione delle sorti della città e soprattutto di Emily. Non avrebbe mai immaginato che prima o poi avrebbe potuto rincontrare lo Spirito.

 

«Padre, state bene?» lo richiamò alla realtà Harmony, raggiungendolo.

 

Di tutta risposta, Arum si poggiò all’altare. «No figlia mia, come potrei stare bene» disse in un sospiro che portava con sé tutta la malinconia che Arum nascondeva e reprimeva nel profondo, come sempre.

 

Anche Zell lo raggiunse, avvertendo i suoi pensieri. Conosceva perfettamente la vicenda tra lui e lo Spirito. Perché lui c’era. E sapeva anche quanto fossero pericolosi i numi del Pantheon, nonché quelle pergamene per le quali avevano tanto lottato secoli or sono.

 

«Mio Signore, cosa pensate di fare ora? dobbiamo agire in qualche modo, Lustios potrebbe combinarne di ogni con quei tarocchi in mano» dichiarò Zell, visibilmente preoccupato.

 

Il comportamento dei due suscitò curiosità e sospetto in Harmony che preferì tuttavia rimanere in silenzio.

 

«Non lo so mio diletto. Anzitutto, deve essere in possesso di tutti i tarocchi per ottenere qualcosa di concreto. I poteri che ha ottenuto ora sono limitati» ne seguì una breve pausa in cui Arum mise in moto le idee per studiare un piano d’azione e di difesa. «Cercherà di sottrarceli anzitutto e userà Emily per metterci alle strette e minacciarci. Dobbiamo abbattere le sue difese, cominciando da quei tre bastardi e fare di tutto per tenerci stretti questi tarocchi» Arum li guardò quasi con disgusto e disprezzo, dopotutto erano la causa di tanti mali. «Ora come ora non possiamo fare molto, torniamo da Mirko e dagli Agenti, saranno preoccupati per noi. Dopodiché, pensiamo a un rifugio sicuro in cui sostare» sentenziò infine l’Anziano vampiro.

 

Gli altri due si limitarono ad annuire in segno di obbedienza. Non c’era da discutere con Arum quando era rinchiuso in uno status di tale nervosismo e preoccupazione. Inoltre aveva ragione, non potevano fare nulla. Si trovavano in una città che non conoscevano, in cui non sapevano nemmeno come muoversi.

 

Usciti dal Pantheon, recuperarono l’auto che avevano precedentemente rubato da un parcheggio poco fuori il Circo Massimo e avviato il navigatore Gps, ripercorsero la strada per raggiungere l’ippodromo.

 

Le luci dei lampioni nelle strade illuminavano il volto di Arum, ancora assorto nelle sue acrobazie mentali tentando di partorire qualche idea congeniale per risolvere quella stramaledetta situazione. Il passato prima o poi ritorna, sempre. Doveva aspettarselo, no? non aveva forse imparato questa lezione molto tempo prima? Dopo Zetesis, pensava di essere vaccinato a tale atrocità del destino, e invece…

 

Roma intanto continuava a dormire nell’umidità pesante di inizio estate. Pareva incredibile che in quello stesso momento, i numi del Pantheon respiravano la stessa aria, dispersi chissà dove.

 

 

 

CAPITOLO 2

Fatto ritorno al Circo Massimo, Arum spiegò brevemente la situazione ai suoi Agenti, raccontando loro dell'accaduto con Lustios e delle cose che gli riferì.

 

«Tuttavia in ciò che ha detto ci sono delle incongruenze... o meglio, ci sono cose che non mi tornano del tutto» dichiarò infine Arum, richiudendosi nei suoi tormentati pensieri a causa della situazione.

 

«A cosa vi riferite in particolar modo, mio Signore?» anche a Zell c'erano delle cose che sfuggivano e poteva perfettamente captare i pensieri dell'Anziano.

 

Il gruppetto si era riunito tra le panchine della zona, immersi nell'assoluto silenzio. Nei dintorni non c'era più nessuno ormai e dalla strada non giungeva alcun rumore di macchine, solo un fresco venticello che spirava molto probabilmente dalle colline lì attorno.

 

«Mi riferisco alla questione degli infiltrati. Se Owen, Carter e Kryor facevano da spie all'interno del clan di Zagor già da prima che Lustios venisse intrappolato, ciò significa che mandò altri uomini a infiltrarsi in altri casati e se in seguito hanno raggiunto Owen e gli altri, molto probabilmente si sono infiltrati nei clan di Edgar e Vektor. Successivamente nel nostro casato» spiegò Arum sempre più convinto di avere ragione. Tutto trovava un senso. «Forse si sono infiltrati quando mi hanno eletto Anziano» sentenziò infine, cercando di ripercorrere a mente le sue azioni in quel periodo.

 

A Zell in quel momento si accese una lampadina durante l'attenta riflessione, gli sembrava di averla sopra la testa come nei fumetti per bambini, «effettivamente potrebbe essere. Oppure hanno continuato a seguire gli altri Anziani aspettando chissà cosa e hanno agito quando voi... avete fondato l'Organizzazione di Agenti per la sicurezza.»

 

«Hai ragione Zell, ho pensato anche a questo e non me la sento affatto di escluderlo» annuì Arum sempre più preoccupato.

 

Ora che i piani di Lustios sono usciti allo scoperto, pensò Arum, avrebbero avvisato gli infiltrati e avrebbe potuto far del male ai suoi diletti o a Cassandra.

 

«Cosa contate di fare allora? Tra la minaccia di Lustios, i numi intrappolati sulla Terra e le spie al clan... non c'è altro tempo da perdere» disse infine Zell anche sapendo di metterlo alle strette, o meglio, di mettergli ansia. Ben sapeva che Arum poteva dare il meglio di sé in quelle condizioni.

 

Gli altri si scambiarono occhiate di disappunto e perplessità. Se le spie erano degli Agenti, allora potevano essere chiunque e magari ci avevano pure fatto amicizia! dannazione!

 

Arum si alzò lentamente dalla panchina e con le mani dietro la schiena cominciò a camminare avanti e indietro, «molto bene. La miglior cosa da fare ora è dividerci» disse infine guardando prima Zell e poi Harmony.

 

Successivamente si rivolse agli altri, «due di voi torneranno a Los Angeles per indagare sull'identità degli infiltrati e tornerete qui con dei rinforzi, anche ghoul se necessario» ordinò Arum risoluto in tono fermo e deciso.

 

I due Agenti con i quali parlò Mirko in precedenza, si staccarono dal resto del gruppo, pronti ad eseguire l'ordine.

 

«Tre di voi invece, resteranno qui a proteggere Harmony e Mirko, aiutandoli nel ritrovamento delle divinità» continuò Arum rivolto al restante degli Agenti.

 

Harmony a quel punto si allarmò, «cosa? date questa responsabilità a me!? e voi padre, che farete?»

 

«Io andrò con Zell e i restanti tre uomini a Venezia, dal capo del clan più potente d'Italia. Forse l'unico rimasto» rispose Arum andando incontro alla figlia.

 

Per lei sarebbe stato difficile, ma sentiva che poteva farcela. Inoltre l'avrebbe distratta dalla storia di Jason e da quel che era accaduto a Sacramento.

 

«E mi lasciate qui da sola a... svolgere un compito tanto...»

 

Arum la interruppe abbracciandola e attirandola a sé. «Ho fiducia in te figlia mia, so che ce la farai» disse l'uomo con un tono affettuoso e caldo come poche volte aveva usato per rincuorare i gemelli e trasmettere loro un po' di carica, di autostima.

 

«Ma padre...»

 

«Ascolta Harmony, lo so che è un'enorme responsabilità e che la faccenda è critica, oltre che delicata, ma in questo momento sei l'unica qui sulla quale io possa contare veramente. Non posso portarti con me a Venezia e lasciar fare tutto agli Agenti, perché la più forte qui sei tu. Lo capisci questo?»

 

A quelle parole, Harmony non poté far altro che abbracciarlo. Sentiva l'amore di suo padre e percepiva la stima che riponeva in lei. Arum aveva un modo tutto suo di dimostrare affetto e fiducia, questo Harmony lo aveva imparato già da tempo.

 

Inoltre sapeva fin dall'inizio che quella missione tanto importante era per lei un modo per formarsi al meglio, per imparare, nonché per riscattarsi dopo quello che le era successo a Benson con i drow.

 

Alla fine quindi si decise. «Non vi deluderò, padre» disse con gli occhi lucidi. «Però non so nemmeno da dove iniziare.»

 

«Ti consegno anzitutto il mazzo» Arum frugò nella sua giacca in jeans nero, «Mirko ti porterà in un posto sicuro. Studiate un piano con calma e domattina riposate. Ormai è estate e il sole si fa ancora più dannoso per noi» concluse infine Arum, scambiando un'occhiata d'intesa a Zell.

 

Il devoto si schiarì la voce, «ho già consegnato agli Agenti delle creme solari molto particolari che dovrete usare. Le abbiamo fatte studiare e realizzare da una casa farmaceutica oramai in nostro possesso. Così non dovrete temere il sole» disse con orgoglio.

 

Harmony sorrise stupita. «Non a caso siete un grande leader, padre!» esclamò dando una pacca sulla spalla ad Arum, «ce la caveremo!»

 

«Ne sono sicuro» replicò Arum ricambiando il sorriso, ma per nulla sorpreso. Conosceva bene le capacità della figlia.

 

Si rivolse poi in direzione del Supervisore, «hai già in mente un nascondiglio, giusto?»

 

«Affermativo, mio Signore. Come già le dissi, ho il posto che fa per noi» rispose Mirko mettendosi sull'attenti.

 

Arum gli si avvicinò fino a una distanza di pochi centimetri dal suo volto, «mi raccomando... tieni d'occhio mia figlia, non la lasciare mai sola. Se le dovesse succedere qualcosa, qualsiasi cosa, ti riterrò il diretto responsabile e penserò io stesso a infliggerti una degna punizione» disse in tono austero l'uomo, fissando negli occhi l'altro, che si limitò ad annuire.

 

«Bene allora» riprese Arum dopo una breve pausa di silenzio, raggiungendo nuovamente Zell. «Sarà meglio per tutti noi partire. Vi lasceremo l'auto per stanotte, ma abbiate l'accortezza di noleggiarne una» si premurò infine.

 

«Penserò a tutto io» riprese Mirko.

 

«Armi e soldi ne avete?» chiese poi Zell.

 

«Domattina convertiremo i dollari in euro in qualche banca» rispose di getto Mirko.

 

«A quanto pare è tutto sotto controllo. Andiamo dunque» disse Arum, «a presto tesoro e buona fortuna. Per qualsiasi cosa, chiamami» abbracciò la figlia e le stampò un bacio sulla fronte.

 

«Fate attenzione anche voi padre, mi raccomando».

 

A quella frase, l'uomo rispose con un occhiolino, prima di recarsi in direzione del jet.

 

Gli altri Agenti presero posto negli elicotteri e nell'attimo successivo, erano già in volo nel cielo della notte afosa e piatta, povera di stelle.

 

Il Circo Massimo tornò ad essere un enorme spiazzo deserto e silenzioso inghiottito nel buio assieme a Harmony, rimasta sola con Mirko e gli altri tre Agenti.

 

«Quindi che facciamo ora?» chiese infine la ragazza al suo Supervisore.

 

Si sentì stranita e confusa. Non si aspettava di certo di ritrovarsi in quella situazione tanto complessa.

 

«Vi porto in un nascondiglio sicuro a nord-est della città» rispose Mirko agitando tra le dita le chiavi dell'auto che Zell gli aveva consegnato.

 

Erano stati fortunati a rubare un'auto ferma in sosta con la chiave nel quadrante e il motore acceso. Il proprietario si sarà allontanato di solo qualche passo, convinto che lasciare il veicolo incustodito per una manciata di secondi non era poi un'idea tanto malvagia.

 

Si sbagliava di grosso.

 

«C'è parecchia strada da fare, meglio partire subito» concluse Mirko avvicinandosi alla Nissan.

 

Presero tutti posto a sedere dopo aver caricato bagagli e armi. Partirono poi tra le strade ancora desolate.

 

Durante il tragitto, Harmony ripensò all'accaduto al Pantheon e al suo scontro con Carter. Molto probabilmente, assieme agli altri due, erano avversari da temere e non per niente da sottovalutare. Oltre a questo ostacolo, non sapeva proprio da dove cominciare.

 

Inoltre era costretta a passare il tempo da sola con Mirko e con tre Agenti che non aveva mai visto.

 

Le mancava Zack, se ci fosse stato anche lui lì con lei, sarebbe stato tutto diverso e forse anche più facile. Insieme erano indubbiamente più forti.

 

Harmony guardò il display del telefonino, ma non vi era ancora nessun messaggio da parte del gemello. Poi rivolse lo sguardo a Mirko. Quel silenzio ostinato, cominciava a innervosirla.

 

«Voi tre, dite, come vi chiamate?» chiese svogliata agli Agenti.

 

«Io sono Ruben, Milady. Ruben Miles. E loro sono Nick Stone e Daniel Jameson» rispose quello seduto al centro. Un uomo alto e ben piazzato, con i capelli cortissimi bruni e una cicatrice sotto gli occhietti cremisi. A Harmony ricordava la versione pallida del protagonista della serie ActionMan di cui da bambina aveva letto i fumetti del padre.

 

Nick invece era decisamente più gracile, con un aspetto femmineo. Lineamenti del viso delicati e capelli lunghi fino alle spalle, lucenti onde di cioccolato.

 

Infine, Daniel era un uomo dall'aspetto ordinario. Mascella squadrata, pizzetto e capelli ordinati di un biondo cenere. In realtà ad Harmony gli Agenti sembravano tutti uguali e insipidi, senza carattere.

 

Difatti non erano altro che soldati pronti a combattere per la difesa del casato e non venivano considerati altro. Era questo che li accomunava in quel momento, nell'auto, oltre alle loro divise nere di Polo a maniche corte e pantaloni in tela. Per chi non sapesse, quei tre avevano un aspetto del tutto ordinario, se non di badava inoltre alla carnagione, gli occhi iniettati di sangue e i canini perennemente allungati e vistosi.

 

«Ok» si limitò a replicare la ragazza, prima di chiudersi nuovamente nel silenzio.

 

Non vedeva l'ora di arrivare a destinazione e scrivere un sms al fratello in santa pace, senza farsi vedere da Mirko. Sicuramente avrebbe avuto da ridire, pensò Harmony e di certo non aveva nessuna voglia di ascoltare prediche.

 

La loro meta era una villetta dei primi del Novecento, sul viale Jonio in prossimità del Tufello, quartiere a nord di Roma capitale.

 

Dall'esterno la struttura appariva vistosamente malandata, con l'intonaco delle mura annerito dalla muffa e scolorito a chiazze dalle intemperie. I balconi del secondo piano erano di un legno rovinosamente marcito e scheggiato. Il tetto reggeva per miracolo e il giardino abbandonato aveva fatto crescere erbacce alte mezzo metro e fitti cespugli che aiutavano gli alberi circostanti a rendere quel luogo quasi invisibile dalla strada.

 

Il cancello d'entrata era ben chiuso con lucchetto come Mirko l'aveva lasciato anni prima, tuttavia i vandali non risparmiarono dal flagellare il muretto con vivaci graffiti.

 

I graffiti alle pareti erano una sorta di chiaro simbolo del quartiere, spiegò Mirko a Harmony. Ogni casa e ogni muretto, aveva almeno uno scarabocchio. Non si trattava altro di disegni a casaccio in effetti, dal momento che i veri graffiti degni di nota, erano di ben altro tratto.

 

Harmony pensò che potesse essere la noia dei ragazzi a spingerli a scrivere o disegnare sui muri. Un paio d'anni prima, lei faceva la stessa cosa sulle pareti della sua stanza e per questo motivo, Arum si vedeva costretto a chiedere a qualche suo seguace di tingere la camera molto spesso.

 

Incredibile, pensò la ragazza, come le emozioni umane potevano essere simili a quelle dei vampiri.

 

Perché sì, anche i vampiri si annoiano di tanto in tanto. L'immortalità non è sempre divertente.

 

Harmony iniziava a pensarlo spesso.

 

Una volta entrati, la villetta appariva completamente diversa. La bellezza e la conservazione del mobilio, pavimenti e mura, era in uno stato tale che non era assolutamente prevedibile, considerando il degrado esterno.

 

A parte qualche ragnatela, dita di polvere e odore di chiuso, tutto sembrava congelato nel tempo nel perfetto stile dell'epoca in cui venne costruita. Perfino i lampadari con i ceri delle candele consumate appena, contribuivano a donare alla casa un temperamento elegante.

 

Quadri e statuette raffiguranti cherubini e donne in pose erotiche, riempivano le stanze arricchendo i dettagli.

 

L'abitazione apparteneva alla famiglia De Sanctis da generazioni e Mirko ne faceva uso come quartier generale di un gruppo di vampiri del clan alla quale apparteneva.

 

Dopo le misteriose sparizioni dei membri del clan e quindi il suo scioglimento, Mirko scappò in America dove visse da solo, finché non conobbe il casato dei Kingsdale e ne entrò a far parte come Supervisore ufficiale di Harmony grazie alle sue esperienze e di alto livello come vampiro.

 

Rientrare a casa dopo tanto tempo gli diede una sensazione di sicurezza e ristoro come non provava da molto.

 

Anche a Harmony diede una sensazione positiva, confortevole. Se non altro, avrebbero trascorso del tempo in un nascondiglio non angusto, come riteneva le fosse dovuto.

 

«Qui è davvero molto bello» commentò la ragazza volteggiando tra gli stanzoni, mentre gli altri accendevano delle candele per ottenere un po' di luce.

 

«Grazie Milady, siete molto gentile» replicò Mirko con una lieve nostalgia nel tono.

 

Nella sala principale della villetta, Harmony notò un piano forte di fronte un'ampia vetrata, resa opaca dal tempo e dalla polvere.

 

«Lo suonavi tu?» chiese esaminandolo da vicino.

 

Era un pianoforte di ottima fattura, proprio come ogni cosa che apparteneva a quella casa.

 

«No Milady... lo suonava mio fratello» rispose l'uomo abbassando lo sguardo.

 

Harmony si voltò a guardarlo. Intuì dalla reazione che era morto, o che comunque gli era successo qualcosa di grave, ma non osò fargli domande.

 

Il rumore della porta che si chiuse violentemente alle loro spalle li riportò alla realtà.

 

Era Ruben che entrò con gli ultimi borsoni contenenti armi e munizioni.

 

«Dovremmo avvisare i nostri colleghi di portarci un altro carico, tutto quello che abbiamo non basterà per molto tempo» avvisò Ruben indicando i borsoni. Sette in tutto.

 

Contenevano abiti di ricambio, sacche di sangue, armi e oggetti vari appartenenti a Harmony.

 

«Allora avvisali pure, Ruben» annuì di conferma la ragazza. «Ora pensiamo a studiare la situazione prima di sistemarci. Dove ci possiamo mettere?» chiese infine rivolgendosi a Mirko, mentre afferrava il mazzo di tarocchi che teneva nella tasca dei pantaloncini.

 

«Da questa parte» fece segno Mirko, portandoli a una tavolata rotonda, dall'altra parte della stanza rispetto al pianoforte.

 

Ognuno prese a posto a sedere e Harmony contò i tarocchi.

 

«Ce ne sono quindici in tutto e mio padre mi raccontò che l'intero mazzo è composto da ventidue tarocchi, quindi ne mancano solamente sette» disse infine la ragazza, esaminandoli attentamente.

 

Si infuriò nuovamente con Arum per averla lasciata sola in quella missione di cui non conosceva nessun dettaglio. Non sapeva niente delle divinità celtiche, a parte qualche spoglia nozione che il padre le riferì poco prima della loro partenza, raccontandole i suoi trascorsi con Lustios.

 

Fortunatamente, sotto ogni pergamena, vi era scritto il nome del dio corrispondente.

 

Ruben spezzò il silenzio cominciando ad esporre teorie e strategie come un vero e proprio soldato. Dopotutto, pensò Harmony, la squadra d’azione di suo padre li aveva proprio addestrati bene.

 

Da lì a poco il cellulare della ragazza iniziò a squillare. Il nome che comparve sul display era proprio quello di Arum.

 

Harmony non poteva non rispondere.

 

«Salve paparino, stavamo proprio pensando a voi!» salutò ironica la giovane.

 

Dall'altro capo del filo si udì la voce sconnessa dell'Anziano, «Davvero? Come mai?»

 

«Siamo qui tutti quanti seduti a discutere sul da farsi...»

 

«Ti ho chiamata proprio per questo, volevo sapere se eravate arrivati».

 

La premura del padre felicitò Harmony. Le faceva piacere ricevere attenzioni da lui, specie in quel momento che Zack non era con lei.

 

«Tutto apposto, padre.»

 

«Mettimi in vivavoce» ordinò subito dopo Arum.

 

La ragazza obbedì e la conversazione riprese.

 

«Ruben, vuoi illustrarmi tu il vostro piano?» chiese Arum cercando di scandire le parole in modo da sovrastare i rumori di fondo.

 

«Abbiamo appena cominciato, Signore. Proponevo a vostra figlia di dividerci. Anche gli uomini di Lustios staranno cercando le divinità, quindi usciranno allo scoperto.»

 

«Certamente. E voi siete abili nel scovare le vostre prede» confermò Arum.

 

«Grazie Signore. Vostra figlia invece, dovrà trovare le altre divinità corrispondenti ai tarocchi che possediamo. Ovviamente, qualcuno di noi le coprirà le spalle».

 

Al discorso di Ruben ne seguì qualche secondo di silenzio.

 

«Harmony, quali tarocchi hai lì?» chiese infine Arum.

 

La ragazza li sfogliò pronunciando i nomi dei numi trascritti sulle pergamene.

 

«Dunque mancano Taranis, Marna, Dana, Teutates, Andraste, Mannanan e Belenus» dichiarò poi Arum pensieroso.

 

Ritrovare quindici divinità in poco tempo era sicuramente un'impresa titanica.

 

«Ma non ho idea di come muovermi, padre!» piagnucolò  Harmony ancora stizzita.

 

 

 

 

 

CAPITOLO 3

La prima cosa che fece Alfredo Falcetti, la mattina seguente all’arcana manifestazione al Pantheon, appena entrò in ufficio, fu controllare i rapporti dei suoi uomini, lasciati sulla scrivania qualche ora prima da Fratello Massimo.

 

Sul fascicoletto vi era riportato ciò che avevano visto Fratello Giuliano e altri membri dell'Ordine della Croce Immacolata, appostati di fronte il Pantheon: Lustios e i suoi che scapparono dall'entrata del Tempio, dopo alcune scosse di terremoto e bagliori di luci accecanti che avvolsero la cupola del Tempio quando una colonna di luce cadde dal cielo per investirlo.

 

Lustios e i suoi seguaci venivano chiamati, la Divisione. Una sera, mentre li seguivano, i membri dell’Ordine della Croce Immacolata riuscirono a intercettare una loro conversazione in cui usarono quel nome per indicare la loro Organizzazione.

 

E in quanto vampiri, ovviamente, divennero fin da subito nemici dell'Ordine.

 

La sera precedente, continuava a leggere Falcetti nei rapporti, Fratello Giuliano tentò di seguire quelli della Divisione, ma nel prestare attenzione a non farsi percepire, li perse di vista.

 

Stessa cosa accade col secondo gruppetto misterioso. Due uomini e una donna non ancora identificati.

 

A Falcetti tornarono in mente le istantanee che Fratello Massimo gli consegnò.

 

Doveva assolutamente mandare il fax a Padre Negus per l'identificazione.

 

Falcetti non perse dunque altro tempo e prese il numero di fax, mentre malediceva i suoi uomini per aver perso di vista quelli della Divisione e il trio misterioso. Nel rapporto non vi era riportato molto altro, ma l'Ordine era interessato più che mai a scoprire di più sull'accaduto e continuare a studiare da lontano la Divisione, tenendosi pronti ad attaccarli nel momento più opportuno. Nel frattempo, Padre Negus andava assolutamente avvisato.

 

Infatti Falcetti si sentiva minacciato dalla presenza di quel trio tutto nuovo e arrivato da chissà dove, temendo una nuova invasione da parte dei vampiri. Se ci fosse stato un altro gruppo a Roma, la situazione sarebbe stata ingestibile. Il gruppo di Lustios era già abbastanza minaccioso di per sé, senza doversi aspettare degli altri intrusi.

 

L'uomo dunque si affrettò a comporre il numero di colui che più di una volta si dimostrò essere la sua unica salvezza. Il suo unico punto d' appoggio.

 

Padre Negus era l'ultimo dei Templari di Dublino, nonché il loro supremo Comandante. La sua legione era stata massacrata nella battaglia tra Arum Kingsdale e la principessa vampira Nexis Van Dyrken, alla Chiesa di St. Michan contro il demone HeiShin e un branco di lican bramosi di vendetta.

 

I Templari si ritrovarono coinvolti tra le quattro figure in battaglia e rimasero inevitabilmente uccisi. Tutti tranne il loro capo fondatore che dopo quello scontro, rimase nell'ombra e studiò tutte le mosse di Nexis e del suo impero di vampiri, ora in convivenza pacifica con gli umani di Dublino.

 

Bestemmia, secondo Padre Negus che si alleò con l'Ordine della Croce Immacolata, l'Organizzazione ecclesiastica e assolutamente top secret, finanziata dal Vaticano contro i vampiri e ogni creatura oscura che minacciava oppure ostacolava gli umani e il clero.

 

Non passarono inosservate le gesta di Arum e dei suoi compagni, quando dovettero proteggere l'equilibrio energetico del mondo, con degli oggetti Sacri, appartenenti a Ecate, Dea delle streghe. Da quel momento, le creature underground vennero scoperte e studiate da lontano.

 

Anche Alfredo Falcetti era un Templare, appartenente a un Ordine che collaborava con quello di Padre Negus.

 

Alfredo fondò in seguito l'Ordine della Croce Immacolata dopo che suo fratello, anche lui ex Templare, venne tramutato in vampiro. Alfredo dunque promise solennemente di uccidere tutti i vampiri e ripulire così l'Italia. Lustios invece, a quanto sembrava, intendeva conquistare l'Italia e avere il suo personale impero.

 

I suoi intenti furono smascherati da Padre Negus durante un combattimento nei pressi di Dublino, dove il prete cercò di scacciarli non appena si presentarono.

 

Il motivo della sua visita alla capitale Irlandese rimase un mistero per il prete, dal momento che egli stesso era al corrente del fatto che Nexis non ammetteva estranei nel suo territorio e scese a patti con Padre Negus affinché non li combattesse, seppur con regole e limiti.

 

Ad ogni modo, Padre Negus rimaneva l'unico contatto, nonché l'unico aggancio di Falcetti dopo che il Vaticano e i suoi servizi segreti tagliarono i fondi e non misero più a sua disposizione il loro aiuto sul campo.

 

In quel momento, il prete si trovava nella sua piccola cappella nei pressi di Dublino.

 

Nel retro della cappella, vi ricavò da una piccola stanza, un ufficio.

 

Alla scrivania vi erano pile di scartoffie, un consumato dizionario irlandese-inglese, materiale da cancelleria e il fax.

 

Appese alle pareti vi erano quadri di ogni genere, perlopiù a temi religiosi; stemmi di Templari, fotografie raffiguranti Padre Negus in compagnia dei suoi compagni Templari uccisi, e le finestre erano oscurate da eleganti tende damascate in un colore dorato.

 

In quel preciso momento, il sacerdote dalla pelle nera e intensa come il caffè, si teneva impegnato a sistemarsi il colletto davanti uno specchio dalla cornice elaborata, quando il fax iniziò a trillare e il messaggio di Falcetti comparve sulla carta.

 

A quel punto Padre Negus si avvicinò all'apparecchio per esaminarne il contenuto e le sue pupille si dilatarono alla vista delle istantanee.

 

Non perse tempo a leggere il messaggio in allegato in cui Falcetti chiedeva l'identità delle persone immortalate.

 

Il sacerdote non aveva alcun dubbio: si trattava di Arum Kingsdale e Zell.

 

Li conosceva bene, poiché al primo attacco di Dublino li aveva visti e non poteva di certo dimenticare gli assassini dei suoi compagni Templari.

 

Harmony all'epoca non era ancora nata, ma l'uomo non ebbe dubbi sul fatto che stava con loro.

 

Non perse tempo Padre Negus a scrivere una risposta per Falcetti.

 

Si sentì fortemente preoccupato e oltraggiato. Prima Dublino e poi Roma, non poteva assolutamente accettarlo. Non poteva permettere che anche i membri dell'Ordine della Croce Immacolata si potessero trovare in pericolo.

 

Peccato che Padre Negus ignorava completamente che la vera minaccia era la Divisione e che ancora una volta, Arum Kingsdale era lì per rimettere le cose al loro posto. Era l'eroe che si trovava nel posto giusto al momento sbagliato a causa di questi ignoti nemici.

 

Al sacerdote venne quasi voglia di strappare quelle istantanee. Non poteva contenere la sua ira, tantomeno starsene fermo con le mani in mano in attesa di un riscontro da parte del suo collaboratore italiano.

 

Doveva agire. Doveva fare qualcosa, qualsiasi cosa pur di sfogare il rancore e la rabbia che lo rosicchiavano dall'interno, dalle viscere.

 

Di corsa afferrò dunque le chiavi della sua auto, una vecchia Land Rover che un parrocchiano gli regalò, parcheggiata dinanzi la cappella.

 

La raggiunse in fretta, senza pensare troppo. Né alle conseguenze, né a un qualche appiglio di ragione mentale alla quale aggrapparsi per rimanere lucido.

 

D'altro canto gli riusciva piuttosto difficile mantenere una certa costanza nel rimanere lucido, dopo la tragedia toccata ai suoi compagni Templari.

 

Erano diventati la sua famiglia, oltre ai fedeli parrocchiani della zona che frequentavano ogni domenica, e non solo, la sua cappella Cristiana.

 

In particolar modo, Scott e Claudius, i due Ufficiali dei Templari di quelle terre, per Padre Negus erano come fratelli minori.

 

Li rivide davanti i suoi occhi mentre guidava a tavoletta in direzione del quartiere Sandymount. Gli si passarono alla mente come un riflettore i volti di quei uomini che gli sono stati vicino per molto tempo e che hanno creduto in lui fin dall'inizio.

 

Il sacerdote era nato e cresciuto in Etiopia, fino a quando un gruppo di uomini inglesi non rase al suolo il suo villaggio, quando Padre Negus aveva solamente undici anni.

 

Cacciatori di opale di Welo e altre gemme preziose o di petrolio, chi può dirlo, all'uomo non importava il movente, ma il fatto stesso che fosse successo.

 

Fu l'unico sopravvissuto al massacro, nascosto in una fossa sotto la capanna in cui viveva con i genitori, il nonno materno e le tre sorelle maggiori. L'accaduto lo traumatizzò per diversi anni, trascorsi in un collegio inglese.

 

Quando scappò dal mirino dei delinquenti, riuscì a raggiungere una città vicina e si imbatté in un gruppetto di frati e suore di una piccola comunità cristiana della Gran Bretagna che si trovavano in Etiopia in quei giorni, per dare supporto ai più bisognosi e cure ai malati. Si trattava di un'associazione che si muoveva in tutta l'Africa per portare un po' di conforto.

 

Padre Negus, ferito e denutrito, toccò il cuore di una suora in particolare che decise di prenderlo sotto la sua ala protettrice.

 

Fatto ritorno in Gran Bretagna, Amani (suo vero nome) ricevette un'educazione severa e strettamente religiosa, fin tanto che a 20 anni prese i voti dopo gli studi e si trasferì in Irlanda per cominciare una nuova vita, attraverso una figura che da un po' di tempo lo affascinava: i Templari.

 

Quando li studiò, si immaginava di essere egli stesso un Templare che combatteva il male, come quello che distrusse il suo villaggio e sterminò la sua famiglia.

 

Una volta arrivato in Irlanda scelse anche un nome adatto a lui: Padre Negus, ovvero ”re” in lingua etiope. E quando venne a contatto con Scott e Claudius, e scoperta l'esistenza di vampiri e lican, oltre ai comuni demoni, quale miglior occasione per combattere il male e vendicare in qualche modo la sua famiglia? per Padre Negus, finché il male persisteva nel mondo, la sua famiglia non era in pace.

 

Divenne dunque la sua missione primaria.

 

Ancor prima di entrare nella cerchia dei Templari, ebbe il sospetto dell'esistenza di vampiri a Dublino, ossia l'impero di Nexis.

 

Fu come un secondo trauma. Il terzo fu perdere i suoi compagni. Poi lo scombussolò la notizia appresa che Nexis e i suoi uomini vivevano in superficie, con gli umani. Camminavano tra loro, lavoravano al loro fianco e collaboravano amichevolmente.

 

E poi la scoperta che Arum si trovava a Roma.

 

Come poteva Padre Negus, dopo tutto questo, rimanere lucido?

 

Si era smarrito molte volte, ma almeno gli era rimasta la fede e stava diventando tutto per lui. Ma proprio tutto.

 

La sgangherata Land Rover, impolverata e disordinata come i pensieri del suo possessore, si parcheggiò alla stazione ferroviaria.

 

Di corsa Padre Negus raggiunse i binari, dove un uomo sulla quarantina in giacca e cravatta, con una ventiquattrore alla mano, stava attendendo il treno.

 

L'uomo rimase immobile, ma avvertendo Padre Negus avvicinarsi, un brivido lo percosse.

 

Se ne stava in piedi col capo chino, i capelli biondo cenere coperti da un cappello e gli occhi oscurati da occhiali da sole, sebbene quella mattina il cielo si faceva terso, macchiandosi di grigio scuro.

 

Sulle rotaie un rumore metallico preannunciava l'arrivo del treno, ma la voce del prete lo sovrastò, catturando totalmente l'attenzione dell'uomo elegante.

 

«Non la si vedeva da parecchio tempo, Padre Negus... è con immenso dispiacere che le auguro il buongiorno» esordì l'uomo senza voltarsi o muoversi.

 

«Faccia poco lo spiritoso avvocato Riven, non sono qui per una visita di cortesia!» abbaiò Padre Negus stringendo i pugni, ancora iracondo.

 

«Oh, questo lo avevo inteso. Come sempre del resto, non le pare?»

 

«Si sposti da lì!» ignorò la provocazione il prete, facendo segno di allontanarsi. Il treno era ormai giunto a destinazione e il suono che lo accompagnava costringeva Padre Negus a urlare, irritandogli la gola.

 

Una situazione che parve divertire l'altro uomo, ma non troppo.

 

«Mi fa fare tardi, ho una riunione con... Lei» dichiarò infine l'avvocato, lasciando che il flusso di pendolari lo superasse.

 

«È proprio della sua padrona che voglio parlarle! infatti sapevo di trovarla qui stamane.»

 

«Ci spia ancora, Padre?»

 

«Vi tengo d'occhio».

 

L'avvocato non sembrava sorpreso, tuttavia si chiese come mai volesse parlare proprio della sua padrona, la principessa Nexis, dopo mesi e mesi di silenzio.

 

Lo incitò infatti a venire al sodo.

 

«So che voialtri avete a che fare con la Divisione, questo è assodato. Il problema è che ora c'è di più: quel bastardo sanguinario di Arum Kingsdale si trova a Roma. Proprio come la Divisione» spiegò infine Padre Negus.

 

La notizia colse di sorpresa l'altro.

 

«Sappiate che il signor Kingsdale è ostile alla Divisione. Non comprendo quindi il motivo delle sue preoccupazioni» esclamò Riven mantenendosi composto.

 

«Voglio giustizia, voi tutti lo sapete bene! inoltre non mi fido di nessuno di voi! Non so cosa sta succedendo a Roma, ma grazie all'Odine della Croce Immacolata lo scoprirò e l'avverto, avvocato Riven, un passo falso e per tutti voi finisce male.»

 

«Ha davvero stancato con le sue minacce, specie per il fatto che l'accordo stipulato con la mia padrona, è ancora valido. Noi non abbiamo recato danno alcuno alla comunità umana e lei, Padre Negus, non ha pertanto motivo di avercela con noi. I suoi rancori personali non sono affari che ci riguardano» punzecchiò Riven scrutando il sacerdote da sopra gli occhiali.

 

In verità non poteva soffrirlo e fosse stato per lui, lo avrebbe ucciso già da tempo.

 

«Come osa essere immondo, parlarmi in questo modo! le ricordo che i miei compagni Templari sono morti anche a causa della sua padrona!» urlò Padre Negus, attirando l'attenzione delle persone nella stazione.

 

«Sta dando spettacolo, Padre. La invito a ricomporsi» replicò indifferente Riven, spostando lo sguardo sui binari vuoti.

 

Aveva perso il primo treno. E detestava fare tardi ai suoi appuntamenti, più di ogni altra cosa al mondo.

 

Nello stesso momento, il prete divenne cieco d'ira e colto da movimenti meccanici, istintivi, afferrò la croce metallica che portava al collo, azionando col pollice un meccanismo che allungò la croce quasi fosse una piccola spada.

 

Riven rimase impassibile a scrutarlo, tenendosi tuttavia pronto a contrattaccare.

 

E non era di certo solo.

 

I suoi uomini, addetti a proteggerlo, erano sparsi in tutta la stazione.

 

Chi se ne stava appoggiato a una parete ammirando la scena e masticare chewing gum, chi si teneva impegnato negli Smartphone seduto in panchina e chi camminava avanti e indietro con pistole nascoste sotto il giubbino.

 

Padre Negus era circondato e infondo, lo aveva avvertito.

 

«Cosa crede di fare? Suvvia Padre Negus, non commetta sciocchezze! non ora» avvertì Riven.

 

«Non ne posso più di voi morti-viventi. Non ne posso più di tutta questa storia» ringhiò l'uomo, quasi completamente privo della ragione.

 

«Parlerò alla mia padrona di quel che mi avete riferito, ma ora per cortesia riponete quell'arma» mentre pronunciava quelle parole, l'avvocato fece segno con la mano, ai compagni, di rimanere calmi. I suoi gesti erano di una lentezza e di una calma disarmanti.

 

«Scoprirò i vostri sporchi segreti e il vostro legame con la Divisione! dopodiché giuro che vi annienterò, a partire dai Kingsdale!» continuò Padre Negus, pronto ad attaccare.

 

Riven infatti non fece in tempo a replicare che il sacerdote gli balzò addosso scaraventandolo a terra e puntandogli la lama alla gola.

 

L'uomo rimase impassibile, mentre Padre Negus respirava affannosamente, esitante sul da farsi. Era come se qualcosa gli impediva di muoversi, di procedere nel suo intento spinto dalla vendetta.

 

Qualcosa di arcaico e di suggestivo: gli occhi di Riven.

 

Il vampiro mostrò le zanne e gli occhi scintillanti, sinistri. C'era un qualcosa di profondamente malvagio nei suoi occhi, di tetro e primitivo che Padre Negus non aveva visto in nessun altro vampiro.

 

Non era lo stesso magnetismo, la stessa cattiveria o la stessa oscurità, no. In Riven era come se tutta la sofferenza della sua esistenza si fosse cristallizzata nelle pupille e solo a guardarle spezzava il cuore, come il cuore ferito che l'avvocato maledetto portava in petto.

 

Per la verità, Padre Negus non aveva mai avuto occasione di guardare il volto di Riven senza occhiali.

 

Quest'ultimo approfittò dell'attimo di esitazione del sacerdote per liberarsi dalla sua presa e balzare in piedi come se nulla fosse, sistemandosi la giacca appena sgualcita.

 

«Torni da dove è venuto, Padre,e dimentichi tutto, al resto ci pensiamo noi» concluse Riven sforzandosi di mantenere la calma.

 

Ma di tutta risposta, il sacerdote tornò all'attacco mulinando la sua croce e fendendo l'aria, cercando di colpire Riven che si difese schivando gli attacchi con una velocità insostenibile per i riflessi di Padre Negus.

 

A quel punto, il vampiro spazientito afferrò il braccio del sacerdote, disarmandolo. Con uno scatto lo bloccò da dietro.

 

Tutta la gente si fermò a guardare la scena, vociferando su quel che stava accadendo. Un gruppo di ragazzi si teneva perfino pronto a intervenire.

 

Altre persone invece erano pronte a chiamare le autorità.

 

«La discrezione non è più il suo forte, a quanto pare» sussurrò Riven all'orecchio dell'uomo che si dimenò fino a calmarsi lentamente.

 

«Siete solo un vile!» bisbigliò infine, con le lacrime agli occhi.

 

Nello stesso istante, uno dei protettori dell'avvocato aveva appena inviato un messaggio col suo cellulare. Il testo diceva:

 

“Sappiamo dove si trova Lustios”.