Prologo

 

 

Di correre e scappare non ne poteva più. Stava ancora accadendo tutto in fretta. Troppo in fretta. Ma Cattleya non poteva mollare proprio in quel momento. Doveva mettere in salvo la sua sorellina.

 

«Che cosa ti prende, Cat?» chiese Maya vedendola accasciarsi a terra.

 

«Nulla, solamente un capogiro» la rassicurò Cat, esaminando lo zainetto che aveva recuperato e in cui vi aveva riposto due cellulari con le loro batterie e cavi per ricaricarle. Un computer portatile e un paio di Glock con le munizioni. E l'occorrente che serviva per sopravvivere qualche altro giorno.

 

C'era tutto. Fortunatamente nei magazzini dei sotterranei del castello, c'era ancora fornitura per un intero esercito.

 

Maya accarezzò la volpe Akai e strinse la bambola che portava in braccio. Pensierosa, si rivolse nuovamente alla sorella maggiore:

 

«Cat, sarà meglio sbrigarci e andare all'ascensore» l'avvisò, ricordandole quanto fosse pericoloso rimanere nel corridoio, illuminato da luci a led, che separava i magazzini dall'accesso ai sotterranei.

 

Pericoloso perché erano rimaste senza poteri. Gli Ausiliari, innalzarono una barriera che circondava tutta la Corte, per assorbire ogni tipo di energia e potere derivante da qualsiasi creatura, fate comprese. E ciò significava consumare la vitalità delle creature stesse. Tuttavia questa drastica decisione era inevitabile: gli Ausiliari dovevano impedire ai drow di usare i loro poteri, se non altro. Le loro armi e la tecnologia avanzata erano già abbastanza minacciose e distruttive per le fate.

 

Cat si rialzò in piedi facendosi coraggio, ma nello stesso istante, la porta scorrevole del corridoio, si spalancò e cinque drow armati fino ai denti fecero irruzione.

 

«Eccole! le abbiamo trovate!» avvertì il primo agli altri che caricarono le loro mitragliette modificate.

 

Cat non avrebbe fatto in tempo a recuperare una Glock dallo zaino. I drow avrebbero fatto fuoco per primi.

 

Dovevano arrendersi.

 

«No!» urlò Maya in lacrime, colta da una profonda paura.

 

Non si sarebbero arrese. Non dovevano, affatto.

 

Akai si piazzò davanti le due sorelle, i drow avrebbero dovuto passare sul suo cadavere se volevano arrivare a loro.

 

«Prendetele!» ordinò uno dei soldati.

 

Maya si inginocchiò e bisbigliò una formula che venne ascoltata dalla bambola.

 

La porcellana del viso della bambola si fece gelida e i suoi occhietti vitrei che da prima erano totalmente bianchi, divennero di un giallo paglierino.

 

I drow si bloccarono all'istante, percependo una forza misteriosa che il giocattolo nascondeva.

 

«Maya, chi diavolo c'è in quella bambola?» chiese stupita Cat.

 

«Un amico» rispose sussurrando la bambina, concentrando le sue ultime energie sulla bambola per evocarne il demone al suo interno.

 

I demoni erano immuni alla barriera degli Ausiliari. Colui che era rinchiuso nella bambola dunque, era la loro unica salvezza.

 

Poteva sembrare una comune bambola, o quasi, col suo vestitino viola in merletti neri e lunghi boccoli corvini.

 

il viso e il corpo erano ricoperti di crepe, dalle quali ne fuoriuscì un fumo argenteo dopo che Maya terminò di pronunciare le parole d'evocazione.

 

I drow intimoriti si consultarono fra loro sul da farsi. Nessuna arma umana poteva contrastare un demone. Specie nella sua forma astratta.

 

Il fumo si tinse di nero e prese la forma di una bestia enorme, con fattezze quasi da Windigo con lunghe corna simili a quelle di un alce. Occhietti gialli scintillanti si fissarono rabbiosi sui nemici.

 

«Ma non ci tenevi solo le anime degli umani in quelle cavolo di bambole?» chiese sorpresa Cat.

 

«Uzhas è un regalo di nostro padre» rispose tranquillamente Maya. «Ciao Uzhas!».

 

Il demone si voltò verso la bambina in segno di saluto e attese i suoi ordini.

 

Tutto accade nella frazione di pochi secondi. I drow di certo non potevano prevederlo.

 

Maya fece segno a Cat e alla volpe di indietreggiare.

 

«Beh Uzhas, per piacere fai a pezzettini questi cattivoni» cantilenò Maya prendendo per mano il demone che annuì all'ordine.

 

La manina della bambina era tanto piccola rispetto a quella del demone che doveva addirittura piegarsi in avanti, per quanto era alto. Le sue proporzioni, eccessive per lo stretto spazio dei sotterranei, e la sua aura, trasmettevano una sensazione che dire negativa sarebbe stato poco.

 

Il demone dunque lasciò la mano di Maya che raggiunse la sorella, mentre i drow decisero di battere in ritirata.

 

Troppo tardi.

 

Uzhas lanciò contro di loro uno stridio acutissimo che li paralizzò, e subito dopo, divenne un urlo dal timbro vocale basso e profondo, surreale, terrorizzante, che solidificò il suono in un raggio d'energia che travolse i drow facendoli a pezzi, proprio come Maya desiderava.

 

La potenza dell'energia plasmata dal suono, staccò gli arti e la testa dei nemici. I loro organi interni esplosero, facendo schizzare il sangue da ogni orifizio, imbrattando le pareti di liquido nerastro.

 

I loro corpi furono letteralmente ridotti in poltiglia.

 

Dopodiché, Uzhas venne risucchiato nella bambola. Il suo involucro, la sua casa di cui Maya si prendeva tanta cura.

 

Le due fate e Akai dovettero coprirsi le orecchie, tanto era acuto il suono perfino per il loro udito.

 

«Non per niente è la mia bambola preferita!» esclamò trionfante la bambina.

 

«Beh fortuna che lo è! ci ha salvato la vita!»

 

«Oh ma nel borsello tengo il carillon con Siska!»

 

«Chi?»

 

«Siska la ballerina!» a Maya parve talmente ovvio che Cat dovette rinunciarci.

 

«Lascia stare, andiamo.»

 

La ragazza non aveva idea di che cosa ci tenesse Maya nei suoi giocattoli.

 

I tre dunque superarono i resti dei nemici e aprirono la porta del corridoio, per raggiungere l'ascensore.

 

«Che cosa faremmo dopo?» chiese Maya preoccupata.

 

«Troveremo un posto per nasconderci.»

 

«Lo chiamerai per farlo venire qui?»

 

«Sì. Zack Kingsdale è la nostra unica salvezza.»

 

Cat non si rese conto di dirlo ad alta voce, ma corrispondeva alla realtà. Zack avrebbe potuto aiutarla, lo sapeva bene.

 

Ma non avrebbe salvato soltanto la Corte, ma anche lei stessa. Soprattutto lei.

 

Il cuore di una giovane donna che stenta a pulsare.

 

Capitolo 1

Mosca, quattro settimane prima.

 

 

 

Nel Domodedovo, l’aeroporto internazionale della capitale russa, la gente affollava i Terminal, in una tarda mattina col sole luminoso che filtrava dalle ampie vetrate dell’aeroporto.

 

E tra famiglie di turisti, uomini d'affari e studenti provenienti da ogni luogo, c'era Cattleya Belyy, appena arrivata col volo proveniente da Los Angeles. Lo scalo a Francoforte la disorientò ulteriormente.

 

La prima volta non ci fece gran caso, troppo occupata a fuggire e seguire l’istinto per orientarsi e comprendere il meccanismo di sistema di un aeroporto tra biglietto d’imbarco, Terminal immensi e moli altrettanto dispersivi. Questa volta era diverso. Si guardava attorno e si rese conto di quanto si sentisse smarrita in quell’ambiente che non le apparteneva e che le suggeriva che non si sarebbe abituata mai. Proprio come New York e Los Angeles, tanto diverse dalla sua piccola, al confronto, Corte Unseelie nella quale era cresciuta.

 

Si potrebbe quasi dire che era una Mosca in miniatura.

 

In quel momento, Cat aveva assolutamente bisogno di riprendersi con un caffè. Lo aveva bevuto in rare occasioni e sapeva dei suoi effetti eccitanti. Così, dopo aver recuperato il suo unico bagaglio, un anonimo trolley, si diresse di fretta verso uno dei punti ristoro dell'aeroporto.

 

Si aggirò tra negozi di cosmetica, giocattoli dove i bambini dei turisti si divertivano a correre tra gli scaffali per acciuffare il giocattolo del momento. Chioschi di souvenir erano presi d’assalto da turisti coreani che viaggiavano in gruppi numerosi. Infine vi erano boutique d’abbigliamento e accessori, fino ad arrivare all’angolo dei ristoranti e delle caffetterie.

 

Tra le luci e i colori non le sembrava vero di essere lì. Tutto ancora nuovo, tutto da scoprire. Fino a quel momento, dopo la fuga in America, di cose nuove e stimolanti ne aveva apprese parecchie.

 

Purtroppo però era anche distratta dalla stanchezza del viaggio e dalla preoccupazione verso la sua famiglia e l'intera Corte. I pensieri l'avevano decisamente messa alla prova più di quanto avesse voluto in quel momento. La dilaniavano crampi allo stomaco e avvertiva un senso di smarrimento, quasi come se si sentisse improvvisamente disorientata, catapultata nuovamente nel suo mondo e nella sua realtà, sebbene di fatto, non ci avesse ancora rimesso piede.

 

Da qualche ora a quella parte, sarebbe tornata a Corte, e quella consapevolezza la destabilizzava. Dopotutto, poteva ancora considerarla casa?

 

Durante il volo, nelle ore a disposizione per elaborare un piano, non era riuscita a farsi venire in mente nulla di serio. Non aveva trovato affatto il modo giusto per avvisare i suoi genitori dei diabolici piani di suo zio Rod. Considerando che i suoi genitori stessi, la volevano morta, ignari del fatto che lei era la loro unica salvezza.

 

Il pericolo era imminente.

 

Sebbene Sodom fosse fuori gioco, Rodion non si sarebbe arreso nella sua conquista alla corona e di drow da combattere ce n'erano ancora parecchi. L'intero popolo dell'impero sotterraneo di Sodom.

 

I pensieri di Cat, quella notte, si rivolsero a ben altro. In primis vi erano Andron e Zack a tenerla distratta. Il passato e il futuro.

 

Sapeva bene che prima o poi quel momento sarebbe arrivato, presto o tardi. Per quanto un amore sia grande, incontrastabile, la vita ci impone di metterlo da parte quando si tratta nulla più che di un tragico trascorso. Doveva lasciare andare Andron, l'amore che provava per lui e il suo ricordo.

 

Ma lasciarlo andare per Zack? Era davvero lui quello giusto? Ne valeva la pena?

 

Ancora non lo conosceva abbastanza bene, dato che non ve ne era stata occasione. Tante cose ancora doveva scoprire Cat, e mettere a punto, su quel vampiro misterioso e dalla bellezza sfacciata. Prepotente come i pensieri della ragazza a tal riguardo, sorpresa di esserci cascata così facilmente.

 

Purtroppo però, le riflessioni sui sentimenti non riuscirono a tenere lontane le crude parole di Sodom circa la sua famiglia e la guerra che erano intenzionati a mettere in atto i drow, con l'aiuto di suo zio. Non poteva di certo permettersi da farsi rendere vulnerabile a causa dei sentimenti.

 

Il potere. Sempre il potere. Una razza che domina sull'altra. Pareva quasi di rimanere intrappolati nel solito circolo vizioso, nella stessa storia che si ripete da secoli. Tra umani e tra creature di immortali.

 

Quanto dolore tra gli innocenti e quanto odio, sprecato in toraci vuoti. In politica. In sangue che continua a scorrere per mano dell'illusione del potere. Perché, in fondo, nessuno al mondo è davvero libero e dominatore. Forse all'apparenza, ma sotto l'epidermide ogni creatura è identica, che sia umana o non.

 

O perlomeno, questa era da sempre la ferma convinzione di Cat.

 

Ma doveva farsi coraggio e affrontare la situazione, così terminato il caffè e quindi la breve sosta che si era concessa, si diresse verso l'uscita dell'aeroporto. La prima cosa che avrebbe dovuto fare, sarebbe stato recuperare l'auto di suo zio che aveva lasciato poco lontano dall'aeroporto, lasciata in un luogo appartato dell’ampio parcheggio nella zona circostante.

 

Si coprì più che poteva con tanto di cappellino e sciarpa color panna, per proteggersi dal sole e dal freddo, confondendosi ancora una volta tra la gente, per non dare troppo nell'occhio.

 

Indossava un lungo cappotto bianco e un outfit chiaro che si sposava con il suo incarnato e i capelli biondissimi. Era candida come la neve, poteva sembrare una regina di ghiaccio delle favole.

 

Mettendo da parte i pensieri e le preoccupazioni quindi, si affrettò a raggiungere il luogo del parcheggio, ma l'auto non c'era più.

 

Poté ipotizzare che l'avevano rubata, oppure che Rod l'avesse ritrovata grazie al Gps. In ogni caso, senza un mezzo, non avrebbe potuto fare ritorno a Corte, decisamente troppo distante da Mosca.

 

Decise quindi di fare marcia indietro, dirigendosi nuovamente verso l'aeroporto per chiamare un taxi, quando ad un certo punto, mentre camminava a passo svelto, percepì un'aura inquieta.

 

C'erano dei drow nei dintorni.

 

Di sicuro anche loro potevano percepirla e l'avrebbero trovata da lì a poco se non si fosse sbrigata. Dunque si guardò attorno, nascondendo il viso più che poteva con la sciarpa.

 

Proprio mentre stava per raggiungere l'ingresso, i suoi occhi si posarono su un manifesto flagellato da cartelloni pubblicitari e biglietti di annunci di ogni tipo, tra i quali una serie di cartelli con la sua foto e la scritta ricercata.

 

I suoi famigliari erano giunti a tal punto da esporsi con gli umani pur di trovarla e stanarla?

 

Cat rabbrividì. Se non fosse stato per Maya o poche altre persone, avrebbe lasciato perdere tutto e avrebbe lasciato i suoi genitori in balia degli eventi, come molto probabilmente meritavano.

 

Se davvero si erano esposti con gli umani, i quali non devono assolutamente conoscere l'esistenza delle fate e della Corte Unseelie, significava che la faccenda era gravemente seria per lei, ma significava anche che i drow li stavano lasciando in pace.

 

E a proposito degli elfi oscuri, ecco che la sensazione negativa tornò a turbare Cat.

 

Erano vicini. Sempre più vicini.

 

In preda al panico, si guardò nuovamente attorno, sperando che nessuno la riconoscesse.

 

Entrò in fretta nell'aeroporto, e due agenti della sicurezza le si piazzarono di fronte, bloccandola.

 

«Signorina, qualcosa non va?» chiese il primo con una voce profonda e corposa.

 

«Documenti, prego» ordinò il secondo, senza dare il tempo a Cat di spiegarsi.

 

Indossavano un giaccone col cappuccio che copriva loro le teste e parte del viso, ma dalla pelle eccessivamente scura, Cat capì che non erano due semplici agenti. Non umani perlomeno.

 

Erano i drow che aveva percepito!

 

Quando alzò lo sguardo, Cat sussultò e rimase pietrificata dinnanzi i due.

 

«Cerchiamo di non dare nell'occhio. Venite con noi, principessa» ringhiò a denti stretti il primo, con un tono che non ammetteva repliche.

 

«Non credo proprio!» esclamò indietreggiando la ragazza.

 

Non poteva utilizzare i suoi poteri tra gli umani, quindi combattere era tassativamente escluso. Doveva scappare.

 

«Abbiamo l'ordine di portarvi nella nostra base, con le buone o con le cattive!» aggiunse minaccioso il secondo drow in divisa.

 

Se non altro, pensò Cat, non erano stati i suoi genitori a spargere manifesti col suo ritratto. Era fin troppo strano che si esponessero in quel modo agli umani. Una sfrontatezza del genere non poteva che appartenere agli elfi oscuri.

 

Senza possibilità di scelta e senza aggiungere nient'altro, non appena uno dei due tizi in divisa si mosse verso Cat, questa sfrecciò di corsa verso l'uscita dell'aeroporto.

 

Quando fu all'esterno, la ragazza si gettò tra la folla di gente che andava e veniva su e giù, prendendo carica con l'ausilio dei suoi poteri. Le fate infatti, potevano incrementare la loro energia nella corsa, spostandosi a una velocità tale, da risultare impercettibili, come fossero libellule.

 

Riuscì così a farsi largo tra la gente, a slalom, mentre i drow coi loro movimenti pesanti e goffi, rimasero parecchio indietro.

 

Cat raggiunse il parcheggio dei taxi e si avventò sul primo disponibile, gettando il suo bagaglio sul sedile posteriore e finalmente, mettersi in salvo.

 

«La prego, parta! subito!» ordinò la ragazza col cuore in gola.

 

«Per dove?» chiese il tassista, un uomo dall'aspetto trasandato di una quarantina d'anni portati male, con un tono assonnato e impastato dal chewingum che stava ruminando.

 

Un tono che innervosì parecchio Cat.

 

«Verso il centro di Mosca!» rispose seccamente lei. In realtà, ogni zona andava bene, ma optò per il centro. Seminare i drow, sarebbe stato più semplice in mezzo al caos urbano.

 

«Si tenga forte...» si limitò a dire il tassista svogliato.

 

Sebbene all'apparenza quell'uomo sembrava un bradipo reincarnato nel corpo di uomo tarchiato e poco affidabile, il tassista sterzò l’auto e diede il via a una folle corsa verso la ramificazione di strade che dall'aeroporto si estendevano in direzione di Mosca.

 

Si piazzò così sulla tre corsie che dava alla tangenziale investendo per poco una famiglia che litigava sul numero eccessivo di bagagli a mano.

 

Cat si sentì rincuorata dal fatto che il tizio non dormisse alla guida e si chiese se per caso avesse compreso la situazione e avvertito la sua agitazione.

 

In ogni caso, la presenza degli elfi era ancora vicina. Cat si voltò per osservarli dal finestrino posteriore del taxi e li vide privare due motociclisti dai loro veicoli, per raggiungerla ad alta velocità.

 

«Non sarà mica una pazza criminale lei, vero dolcezza?» chiese in tono piatto il tassista, scrutandola dallo specchietto retrovisore.

 

«No! Certo che no!» si offese Cat.

 

«E allora perché quei due sbirri ci stanno alle costole?!»

 

Dannazione, pensò Cat, come spiegarglielo?

 

«Non sono veri poliziotti, ma gente che vuole farmi del male!»

 

«Non hanno l'aria da poliziotti infatti... ha almeno i soldi per pagarmi?»

 

Di tutta risposta, Cat gli mostrò una banconota da 500 rubli.

 

A quella visione, l'uomo premette sull'acceleratore a tavoletta, continuando la sua spericolata corsa in mezzo al traffico mattutino.

 

Facendo slalom tra le auto in coda, il tassista raggiunse la tangenziale piuttosto facilmente.

 

Il guaio stava nel fatto che era un lungo rettilineo, quindi seminare i drow sarebbe stato impossibile.

 

Riuscirono comunque a raggiungere in fretta l’anello che circondava la città di Mosca, pur tenendosi attaccati gli ostinati inseguitori che riuscirono a stare al passo col suo spericolato modo di guidare.

 

Più di una volta infatti, per poco non andò contromano a sbattere contro auto e camion, oppure riuscì a schivare un paio di pedoni che per non li investì per un soffio.

 

«Ma lei dove ha imparato a guidare?» chiese perplessa Cat, sentendosi lo stomaco sottosopra, come se fosse in balia di una giostra pericolosa.

 

«La guida è una mia passione signorina!» rispose fiero l'uomo.

 

«Lei è proprio fuori di testa!»

 

«Ma è con la pazzia che la sto salvando.»

 

Cat non poteva di certo dargli torto. Se non fosse per lo spirito spericolato di quell'uomo, i drow li avrebbero raggiunti già da un bel pezzo.

 

Tuttavia, nel fitto traffico della città, il tassista dovette rallentare se non voleva causare seriamente un incidente, senza contare la vera polizia che sarebbe arrivata di corsa per multarlo. Due inseguitori bastavano e avanzavano.

 

«E ora come facciamo? Ci bloccheremo! Se ci fermeremo a un semaforo, quelli ci raggiungono!» si allarmò la ragazza.

 

«Non ho altra scelta purtroppo! Qui davvero rischiamo di farci del male!» sbottò l’uomo.

 

«Il centro è ancora parecchio lontano?»

 

«Abbastanza signorina. Ora ci troviamo nel quartiere di Birjulëvo Vostočnoe e mi servirà un altro bel bigliettone, per portarla a destinazione…»

 

«Sì certo, certo, pensi a guidare» Cat capì che la stava fregando, ma doveva stare al gioco.

 

 

 

Il tassista senza poter aggiungere altro, proprio mentre dovette rallentare per le auto ferme in coda, uno dei drow iniziò a fare fuoco contro il taxi.

 

«Oh cazzo! sono pure armati! merda!» imprecò impaurito l'uomo con gli occhi sgranati. Dovette ammettere che in tutta la sua carriera, sebbene avesse accompagnato in ogni dove pure dei malfattori, non si era mai trovato coinvolto in una situazione del genere.

 

«Si calmi e faccia qualcosa lei che è esperto nella guida!» lo intimò Cat col cuore in gola per la paura, abbassandosi sul sedile. Purtroppo era disarmata e senza poter usare i suoi poteri, non aveva modo di ricambiare all’attacco.

 

«Si tenga forte allora!»

 

Un terzo sparo che colpì uno degli specchietti dell'auto, convinse il tassista a compiere un ulteriore gesto spericolato, quanto disperato.

 

Virò sul marciapiede di destra, suonando il clacson a tutto spiano per avvertire i pedoni e farsi largo, fino a raggiungere una stradina secondaria, decisamente più sgombera e premendo sull'acceleratore, si inoltrò nelle ramificazione del quartiere, dove troneggiavano altissimi palazzi residenziali.

 

Stavolta i drow, colti di sorpresa, rimasero  indietro.

 

«Visto eh signorina, sono troppo fico!» esclamò urlando tutto eccitato il tassista, voltandosi verso Cat.

 

«Sì, ma guardi avanti! Oh santo cielo!» indicò la ragazza in direzione della strada.

 

Il pericolo nella strada. Pericolo che si rivelò fatale. Tutto accadde nell'arco di una frazione di qualche secondo.

 

Un camion di traslochi fece retromarcia uscendo dal parcheggio di un palazzo e il tassista distratto, ci andò a sbattere contro.

 

L'auto trascinò con sé il camioncino e il tassista, nel tentativo di riprendere il controllo del volante, fece virare l'auto, ma un furgone che giungeva nella loro direzione, non ebbe il tempo di frenare che si schiantò contro il taxi e lo fece spaventosamente sollevare da terra.

 

Prontamente, Cat afferrando la sua valigia, si gettò fuori dal taxi e rotolò sull'asfalto ferendosi le braccia e il viso.

 

Anche il tassista riuscì a saltare fuori dall'auto, poco prima che il motore scatenasse una fragorosa esplosione.

 

L'uomo venne balzato a qualche metro e cadde a terra con un tonfo. Era forse morto?

 

La folla venne attirata dall'incidente, smossa soprattutto dalla curiosità.

 

Cat non aveva tempo di pensare. Nemmeno di pensare all'incolumità dell'uomo. Non doveva e non poteva attirare l'attenzione su di sé. Doveva assolutamente allontanarsi.

 

E come se non bastasse, i drow l'avevano raggiunta.

 

Zoppicando, riuscì a confondersi tra la folla di curiosi che erano usciti dal palazzo in cui sostava il camion di traslochi.

 

Cat si trascinò in un vicolo tra due condomini più piccoli, ma il corpo le doleva eccessivamente. Non ce la faceva più. Era esausta, spaventata e ferita.

 

Cadde a terra picchiando la testa e tutto il resto, sprofondò nell'oblio.

 

 

 

Quando si risvegliò, Cat non seppe per quanto rimase svenuta. Avvertì improvvisamente un senso di smarrimento e appetito.

 

Si tastò la testa e con i polpastrelli delle dita toccò un cerotto. Anche le braccia erano fasciate. Evidentemente, qualcuno l'aveva medicata. Chiunque fosse stato, non poteva di certo sapere che si autorigenerava.

 

Tuttavia quel riposino fu ristoratore e la stanchezza era svanita.

 

Cat si guardò attorno, realizzando che si trovava nella stanza da letto di qualcuno. Una piccola cameretta di un loft altrettanto ristretto.

 

Dalla porta chiusa della stanza, giunsero delle voci.

 

Non avvertiva il senso di pericolo, quelli erano di sicuro umani. Ma che era successo? Aveva bisogno di risposte.

 

Si alzò in piedi e cercò il giaccone e la valigia, ma nella stanza non ve ne era traccia alcuna delle sue cose.

 

Decise quindi di farsi coraggio, di smorzare almeno in quell'occasione la sua timidezza, e di scoprire chi ci fosse nel loft.

 

Aprì dunque la porta della stanza con decisione e si ritrovò davanti quattro giovani ragazzi dall'aria semplice, un pochino trasandata.

 

«Ehilà, ciao bella addormentata! Finalmente sei tornata nel mondo dei vivi» scherzò uno dei ragazzi, con dread lunghissimi e un sorriso simpatico.

 

«Per quanto ho dormito? E dove mi trovo?» chiese angosciata Cat.

 

Il loft era un posticino piuttosto austero, caotico dal disordine dei quattro coinquilini.

 

«Solamente un paio d'ore. Adesso è quasi scuro» rispose l' unica ragazza del gruppetto, andandole incontro.

 

«Io sono Radmila, ma puoi chiamarmi Mila. Piacere» si presentò la ragazza, allungando la mano verso Cat.

 

Era ricoperta di tatuaggi e piercing. Aveva l'aria di essere la classica SuicideGirl dalla bellezza particolare.

 

«Io sono… Yulia, piacere» mentì Cat, stringendole la mano. Preferì mantenere segreto il suo nome, per ovvie ragioni.

 

Radmila si voltò verso gli altri.

 

«Loro sono Aleksandr, Abram e Demid» li indicò cominciando dal ragazzo Rasta.

 

Anche gli altri due si presentavano con uno stile particolare, che ricordava molto quello dark. Il primo era esageratamente magro, col viso scavato ed evidenti occhiaie. Indossava una felpa di un gruppo thrash metal ed era tempestato di piercing. Il secondo invece era alto e grosso, coi capelli rasati e un fisico possente. Alzò lo sguardo con aria truce, restando in silenzio. Dava infatti l'impressione di un tipo di poche parole, che viveva in un mondo tutto suo.

 

«Piacere di conoscervi... grazie di avermi soccorsa» esordì Cat rilassandosi. Sebbene davano l'impressione di essere dei tipo loschi, non avvertiva della negatività in loro. O della cattiveria. D’altronde avevano ciascuno poco più di vent’anni. Cat avvertiva solamente un'inquietante tristezza.

 

«Figurati! Eri conciata proprio male sai, ti ha trovata Demid. Vuoi bere qualcosa?» chiese la ragazza raggiungendo gli altri sul divano, indicando alcune bottiglie sul tavolino. «Abbiamo dell’ottimo Polugar che Alek ha preso direttamente da Murmansk» Radmila diede una gomitata al ragazzo, «il monello ama la movida notturna che c’è lì e quindi ci va spesso» terminò con una risata nervosa.

 

«Non fare la gelosa» sbottò lui.

 

«No grazie, sto bene così» li interruppe Cat, «ma dove ci troviamo?» avrebbe voluto andare verso la finestra per guardare all'esterno, ma la sua timidezza glielo impediva.

 

«In una palazzina poco distante dal luogo del tuo incidente» rispose Radmila accendendosi una sigaretta.

 

«Stavi scappando dalla polizia, vero?» chiese all'improvviso quello molto magro.

 

«No, non erano veri poliziotti, loro...»

 

«Suvvia, con noi puoi stare tranquilla! Tutti qui hanno dei precedenti e abbiamo ancora problemi con gli sbirri, quindi sei tra fratelli» esclamò il Rasta interrompendola, dirigendosi verso la cucina.

 

«Ma io...»

 

«Dai non importa! C'avrai i tuoi motivi! Comunque la tua valigia è nella mia stanza, di sopra» la ragazza indicò il piano superiore del loft.

 

Cat la ringraziò, sentendosi sollevata di non aver perduto il bagaglio. Al suo interno vi erano contenuti oggetti di cui non avrebbe voluto separarsi.

 

Ad esempio una foto che la ritraeva in compagnia di Akai, in una qualsiasi giornata primaverile;  e un ciondolo, in grado di oscurare la sua aura agli elfi, per un tempo determinato. Lo avrebbe utilizzato nel tragitto del ritorno a casa.

 

Già, casa. Come ci sarebbe arrivata?

 

Non aveva nemmeno la macchina, inoltre sarebbe stato rischioso girovagare per le strade di Mosca, ben sapendo che i drow la stavano cercando. E per quanto si nascondesse, prima o poi l'avrebbero trovata.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Capitolo 2

A distoglierla dai suoi pensieri fu un profumino proveniente dalla cucina.

 

«Alek è molto bravo a cucinare, ti piace il Shchi, no?» chiese Radmila entusiasta di avere un’ospite.

 

«Moltissimo!» rispose Cat tornando alla realtà, sforzandosi di sorridere.

 

Abram si alzò dal divano e poggiò l' Ipod sul tavolo del salotto, per poi dirigersi verso il bagno per farsi una doccia.

 

Demid invece raggiunse l'amico in cucina.

 

«Ora che siamo sole, finalmente, mi vuoi dire che problemi hai? droga? alcol? hai ucciso qualcuno?» esordì Radmila scivolando accanto a Cat come un serpente incuriosito dalla sua preda.

 

Si capiva perfettamente che era una ragazza scaltra, intelligente.

 

Sfregava le mani guantate a rete, in attesa di una risposta.

 

«Perché pensi che io stia nascondendo qualcosa?»

 

«Ne hai tutta l'aria. E dei tipi loschi ti seguivano.»

 

«Se la metti in questo modo...» Cat sospirò mentre cercava di elaborare una risposta valida.

 

«Eppure non sembri una ragazza perduta» osservò l’altra.

 

«Perduta?»

 

«Sì, come noi. Te lo abbiamo detto che abbiamo tutti dei precedenti. Abram è un ex tossico, molto poco “ex”. Alek è uno spacciatore e Demid alzava troppo il gomito e finì dietro le sbarre dopo una violentissima rissa.»

 

«E tu?»

 

Radmila abbassò lo sguardo.

 

«Io… niente, ero una hacker. Ho ripulito delle banche e non solo... quando mi hanno beccata, sono scappata qui a Mosca.»

 

Cat rimase perplessa. Ma non seppe di preciso se era stupore negativo o positivo, travestito da ammirazione.

 

«Così giovane!» commentò ancora sbalordita. Quei ragazzi potevano davvero sembrare dei casi persi e disperati, eppure alla fata parevano avere un qualcosa di speciale.

 

Anzitutto, l'avevano salvata.

 

«Ehi principessa, ho solo ventidue anni! E nemmeno tu sembri tanto vecchia!»

 

«Ne ho venticinque» mentì Cat, seppure il suo aspetto umano poteva dimostrare all'incirca quell'età.

 

«Ecco appunto. Comunque senti, puoi restare qui quanto ti pare, però... lo spazio è quello che è. Cosa pensi di fare quindi?» cambiò discorso Radmila, assumendo un tono più rigido che Cat non riuscì a decifrare.

 

«Mi servirebbe un mezzo per tornare a casa e fuggire da quei tipi loschi. Non so proprio dove sbattere la testa» confessò la ragazza, rendendosi conto che era bloccata lì.

 

 Non aveva più l'auto di Rod a disposizione ed era impensabile che potesse rubare un'auto o un altro veicolo, col rischio di essere rintracciata fino alla Corte, territorio assolutamente sconosciuto dagli umani.

 

Inoltre avventurarsi di notte sarebbe stato pericoloso, in quanto i drow l'avrebbero scovata ancora più facilmente.

 

«Non lo so davvero» ripeté Cat a voce bassa, profondamente preoccupata.

 

Quella situazione bizzarra cominciava a metterla non poco a disagio.

 

Fisicamente stava bene, si era completamente ripresa, ma emotivamente era ancora troppo scossa. E come se non bastasse, per la prima volta in vita sua, si trovava in mezzo agli umani. Non era mai venuta a contatto con un gruppo di ragazzi umani, ma fortunatamente non ne percepiva la diversità. Parlarci veniva naturale, ma qualcosa la turbava.

 

«Ascolta... non conosco la tua storia Yulia, sempre se questo è il tuo vero nome, ma sembri una ragazza okay. E non per il fatto che sei conciata di tutto punto, ma per una sensazione che mi trasmetti a pelle. Intendo quindi aiutarti fino in fondo» annunciò Radmila alzandosi in piedi e battendo le mani.

 

«Sì! Sì! Sì! Mi è venuta in mente un'idea!» sembrava una bambina, dimostrava lo stesso entusiasmo. Inoltre aveva cambiato di nuovo tono di voce e questo fece sorridere Cat.

 

Aleksandr le interruppe annunciando che la cena era servita.

 

«Quale idea?» lo ignorò Cat incuriosita.

 

«Riempiamoci lo stomaco e poi te lo spiego!»

 

Radmila si fiondò in cucina, seguita da Cat che in qualche modo, tentò di accantonare i pensieri. La fame di certo, inghiotte la ragione.

 

Durante la deliziosa e gradita cena preparata da Aleksandr, i cinque ragazzi si lasciarono andare a briglia sciolta, in discorsi più o meno impegnati per conoscersi e confrontarsi.

 

Cat riuscì a spogliarsi della sua timidezza, storpiando tuttavia, la verità sul suo conto. Si raccontò omettendo molte cose di sé e del mondo dal quale proveniva, affinché potesse sembrare una ragazza tra tante, con un segreto pesante da custodire. Esattamente come i quattro interlocutori.

 

Nonostante le bugie, riuscì a sentirsi totalmente a suo agio in quella nuova esperienza che mai si sarebbe sognata di vivere. Non era diversa da quei ragazzi solo per la biologia, ma anche per la persona che rappresentava. Loro erano ragazzi di strada, problematici, con dei vissuti più o meno dolorosi, lei invece, nella Corte Unseelie era la principessa e come tale veniva trattata, a parte le vicende degli ultimi tempi, prima della fuga a New York.

 

I suoi genitori volevano a tutti i costi che generasse un erede, ma Rod glielo impedì facendole bere un intruglio con un medicinale che causò la sterilità da parte di essere fatati. Nessun Unseelie quindi, poteva metterla incinta.

 

Appresa questa consapevolezza, sua madre la regina, ordinò che venisse uccisa. Cat si ritrovò costretta a fuggire abbandonando la sua terra.

 

Rabbrividì al pensiero di quel ricordo e una parte di lei, la più malvagia probabilmente, pensava che in parte, i suoi genitori meritassero la caduta della Corte per mano di Rod.

 

Ma non poteva permettere che venissero invasi dai drow. Non poteva permettere che venisse versato il sangue di Maya e degli innocenti.

 

Soggiornando nel loft dei suoi ospiti, Cat perdeva tempo e ne era consapevole, ma nonostante ciò non poté sentirsi lieta del fatto che per la prima volta in vita sua, trascorreva del tempo con degli umani. Prima di allora, era impensabile che si sarebbe potuta anche solamente avvicinare, a uno di loro.

 

L'unico umano con cui entrò in stretto contatto, fu Adam, il giovane stregone tanto amico di Zack.

 

E Zack, sì, un altro essere sconosciuto per lei. Di vampiri, ne aveva solamente sentito parlare in miti e leggende. Non si avvicinavano nemmeno alla sua Corte e Cat, non ebbe mai avuto l'occasione di allontanarsi da casa per fare nuove conoscenze.

 

In quelle settimane, ebbe modo finalmente di vivere un sacco di esperienze e di conoscere tante persone, di diverse razze. Mai si sarebbe aspettata che la sua vita potesse stravolgersi in quel modo.

 

E in quel momento, dopo cena, non desiderava altro che concedersi una pausa da tutto, forzata perlopiù, in modo tale da ricaricarsi completamente e vivere una nuova avventura.

 

«Ti è piaciuta la cena, Yulia?» chiese Aleksandr in tono gentile.

 

«Tutto squisito! Grazie mille Alek» rispose con la stessa cordialità Cat, sentendosi lievemente a disagio per tutte le bugie che aveva raccontato, compreso il nome.

 

«Dai forza, vieni con me che ci cambiamo e usciamo!» intervenne Radmila, prendendo per mano Cat e trascinandola fuori dalla cucina. Cat infatti aveva gli abiti logorati a causa dell'incidente.

 

La ragazza disse di avere un'idea per aiutare la fata a lasciare la città.

 

Quando entrarono nella camera da letto, Radmila si spogliò della maglietta e ne indossò una più larga, con dei teschi disegnati in un tema fantasy.

 

Il suo corpo era minuto rispetto a quello di Cat. La guardava rivestirsi mentre recuperava dal suo bagaglio, un maglioncino rosa e il fatidico ciondolo protettivo.

 

Sebbene erano tanto diverse, all'apparenza erano uguali. Due semplici ragazze tra le tante. Tutto questo affascinava la fata.

 

«Qualcosa non va?» le chiese l’altra accorgendosi che la stava fissando.

 

«No, scusami, stavo solo pensando» si scrollò Cat, per poi legarsi a coda di cavallo i capelli.

 

«Non sarai mica...»

 

«No, certo che no! Non mi interessano le ragazze» Cat a quel sospetto si imbarazzò non poco. Effettivamente dovette ammettere che stava studiando quei umani come fossero qualcosa di bizzarro.

 

«Mi guardavi in modo strano» ne confermò Radmila.

 

«Sono solo preoccupata, tutto lì» sospirò Cat.

 

«Rilassati, ora Abram ci accompagna da un nostro amico in comune. Ha un locale che pochi conoscono in quella zona. Suo fratello ha un'officina di auto o una cosa simile... insomma, è nel giro. Un mezzo quindi te lo potrà pescare senza problemi» spiegò la ragazza indossando un pesante cappotto per ripararsi dal gelo spietato.

 

«Perfetto, vi ringrazio! Alek e Demid non vengono con noi?»

 

«Alek ha un lavoretto da sbrigare… sai col festival di Peterhof ad aprile, ci sarà un mucchio di gente e quindi… soldi» la ragazza fece segno delle virgolette con le dita alla parola lavoretto, assumendo un'aria vagamente malinconica. «E Demid invece, se ne resterà qui a guardarsi cartoni animati demenziali alla tv» tagliò corto, poco prima di uscire dalla stanza.

 

«Lo ami, vero?» chiese improvvisamente Cat, riconoscendo l'espressione sul volto di Radmila, di chi tiene per sé un sentimento che non azzarda a condividere.

 

Questa si bloccò sul soppalco.

 

«Io... mi limito a stargli accanto» rispose sbrigativa, prima di scendere lungo le scale senza voltarsi.

 

A Cat diede un'impressione familiare, di dolore. Tuttavia si impedì di ficcare ulteriormente il naso in quella faccenda tanto delicata.

 

 

 

Poco dopo, i tre improbabili nuovi amici, si incamminarono fino alla linea  Zamoskvoreckaja per raggiungere la metro di Mayakovskaya, camminando tra le strade buie, ma ancora illuminate, del quartiere. La ragazza insegnò a Cat come acquistare un biglietto della metro, stupendosi del fatto che non lo avesse mai fatto prima.

 

La stazione della metro era affascinante per l’architettura che colpì Cat. Il soffitto bianco illuminato a giorno e decine di ragazzi che facevano avanti e indietro animatamente.

 

«Non ne ho avuto l'occasione, solitamente giro in auto» si giustificò Cat, sotto lo sguardo interrogativo degli altri due.

 

Anche prendere la metro, così come l'aereo, fu una nuova esperienza per la fata, ma cercò di mantenere un certo autocontrollo affinché l'esaltazione del momento non facesse insospettire i suoi accompagnatori.

 

Nel mezzo c'era parecchia gente nonostante l'ora tarda. Studenti che rientravano a casa dopo una giornata nelle biblioteche o mediateche delle università o dell’istituto Pushkin, l’unico di cui Cat sentì parlare tramite i racconti di Rod e di suo padre. Oppure gente che usciva dagli uffici dopo una stressante riunione, stringendo a sé le preziose ventiquattrore.

 

Altre persone invece, facevano su e giù tra una zona e l'altra per i svariati motivi e Cat ne rimase affascinata da quel andirivieni di persone coi loro pensieri, le loro vite. Mondi che si incontrano tutti i giorni o una sola volta, così tanto diversi fra loro.

 

Si sorprese affascinata dagli umani, dalla grande città e sì, dalla metro.

 

Un paio di minuti più tardi, dopo aver fatto cambio in un’altra stazione arrivarono nella zona di destinazione. Il locale di Neon, l’amico dei ragazzi,  si trovava sotto un ostello abbandonato nel quartiere di Golyanovo, una zona non considerata molto tranquilla.

 

Presero un'entrata secondaria di fianco al palazzo e scesero una rampa di scale che li portò ad un portone di metallo color acciaio scuro.

 

Abram bussò con un ritmo costruito e un omone palestrato dall'aria brutale, aprì loro la porta.

 

«Ehilà Boris!» salutò con un cenno Abram.

 

«Ciao ragazzi! lei chi sarebbe?» chiese diffidente il buttafuori indicando Cat.

 

«Lei questa sera sta con noi» spiegò tagliando corto Radmila.

 

L'omone squadrò Cat dalla testa ai piedi con aria minacciosa. Non corrispondeva affatto allo stile dei ragazzi o a quello del locale in sé, ma Boris si fidava di loro e pertanto, senza aggiungere altro, li fece passare, per poi chiudere di fretta il portone.

 

Cat sentì che l'uomo grugnì alle sue spalle e si girò per lanciargli un'occhiataccia. Fu in quel momento che lesse l'insegna del locale appesa al portone. Si chiamava Il delirio.

 

Era un ambiente piuttosto affollato, con luci soffuse violacee, musica metal in sottofondo, non troppo alta, ma quanto bastava per entrare nel cervello e contribuire allo sballo dei giovani tra fiumi di cocktail, fumo e sostanze stupefacenti di ogni tipo.

 

Radmila e Abram accompagnarono Cat al bancone del bar, sotto lo sguardo incuriosito di tutti, che puntarono immediatamente la fata nel suo abbigliamento sobrio e inconsueto per i loro gusti.

 

Una ragazzina di bassa statura e dall'aria spigliata, con un vestitino corto da lolita, li raggiunse alle spalle con un vassoio di bicchieri vuoti in mano.

 

«Voi due! Adesso ci portate gli sfigati qui?» chiese la cameriera con aria stizzita e un'espressione quasi disgustata, puntando ovviamente a Cat.

 

«La nostra amica è solo di passaggio e ha bisogno di un aiuto da parte di Neon» rispose seccamente Radmila, mettendo a disagio Cat.

 

«E cosa vi fa credere che vi darà una mano?» chiese acida la ragazzina, con aria altezzosa e altamente irritante.

 

«Per favore Zoya, smettila di essere così antipatica! Non è del nostro stile, ma non ti da il diritto di comportarti in questo modo! vai a chiamarmi Neon!» intervenne stizzito Abram, dimostrando un minimo di spirito per la prima volta.

 

La cameriera rimase basita dalla reazione del ragazzo e senza dire nulla lasciò sul bancone del bar il vassoio, per poi sparire tra la folla.

 

Abram a quel punto si accese una sigaretta e si diresse verso un gruppetto di ragazzi che sorseggiavano bicchieroni di vodka e se la ridevano di gusto.

 

«La stronzetta ha una cotta per Abram, per questo si è zittita al suo ordine. Laggiù ci sono il fratello e il cugino, di sicuro ora le farà fare una figuraccia» scoppiò a ridere Radmila.

 

Cat invece rimase in silenzio, ancora imbarazzata e con una sensazione sgradevole addosso.

 

Fortunatamente, tornò quasi subito da loro, la cameriera dispotica, per avvisarle che Neon era pronto per riceverle e parlare con loro nel suo ufficio.

 

Le due ragazze quindi, si diressero verso uno spiazzo che sembrava un salottino in cui vi erano dei divani in pelle e poltrone coi poggioli a forma di teschi e bassi tavolini costituiti da finte ossa umane. Uomini e donne dall'aria truce scrutavano Cat e Radmila, mentre si scolavano fiumi di alcol chiacchierando animatamente.

 

Le due ragazze arrivarono ad una porta rossa, confusa col colore della parete e Radmila bussò tre volte con colpi leggeri del polso. Qualcuno aprì la porta e permise loro di entrare.

 

«Ciao Mila è da un po' che non ti vedevo da queste parti» esordì una voce maschile.

 

«Buona sera Neon! Me ne sono stata buona, in effetti.»

 

«Mi fa piacere rivederti» sorrise lui amichevolmente, facendole l'occhiolino.

 

Era un uomo alto e magro, vestito da punker. Allungò un braccio interamente tatuato, fino alle dita delle mani, per presentarsi a Cat.

 

«Piacere signorina, io sono Neon Demyanenko» esordì in tono gentile.

 

«Yulia, piacere di conoscerti» ricambiò Cat con lo stesso tono cordiale.

 

Neon ridacchiò. «Lo diceva che sembri una sfigata, ma sono sicuro che sei una tosta tu. Dallo sguardo» commentò l'uomo, facendosi beffa del modo in cui la cameriera l'aveva presentata.

 

Dopodiché, Neon fece cenno alle ragazze di sedersi. Il suo ufficio non era altro che una stanzetta, con un piccolo armadio, un mobiletto, cianfrusaglie e strumenti musicali sparsi ovunque e una scrivania ricolma di scartoffie dalle quali sorgeva lo schermo di un computer fisso.

 

Cat e Radmila presero posto su due sedie che ricordavano quelle da giardino, sbilenche e poco affidabili.

 

«Yulia avrebbe bisogno di un mezzo qualsiasi per lasciare la città. Ovviamente a gratis, perché in questo momento non ha grandi possibilità... anzi, penso non possa usare carte di credito o altro, dato che dei sicari la stanno cercando» spiegò Radmila dopo che l’uomo le aveva chiesto di cosa avessero bisogno.

 

La spiegazione della ragazza mise a disagio Cat, ma in fondo non aveva sbagliato.

 

«Sicari eh?!» ripeté diffidente Neon, scrutando Cat con occhi diversi.

 

Era indubbiamente un tipo sveglio, scaltro e una testa calda. Aveva fiuto per i guai e Cat di certo poteva rappresentare un possibile guaio. Se lo sentiva.

 

«Ehi, ricordati quali sono i patti!» si stizzì Radmila vedendolo titubante.

 

«Mh. Non manco mai ai miei doveri» sbuffò Neon toccato sul vivo.

 

«Allora tiraci fuori una cazzo di macchina o moto per questa ragazza!»  ringhiò Radmila, mostrando ancora una volta di avere due personalità contrastanti.

 

«Bada a te! Non mi parlare in questo modo!» la schernì l’uomo.

 

Dopo uno scambio di battute e di sguardi, proprio mentre Cat si sentì pronta a lasciar perdere, Neon afferrò un'agenda dal cassetto della scrivania.

 

«Mio fratello Yan potrà cedere qualche ferro vecchio, se glielo chiedo io e se serve a una bella bionda, sono sicuro che non rifiuterà. Venite domani mattina nella sua officina. Radmila, tu sai dove si trova, ma meglio scrivere l'indirizzo. Non si sa mai» l'uomo cercò una penna sotto la pila di scartoffie e scarabocchiò l'indirizzo del posto su una delle ultime pagine dell'agendina, che poi strappò e consegnò a Cat.

 

«Ecco fatto bellezze, siamo a posto!»

 

«Grazie mille Neon, davvero. Sei molto gentile.»

 

«Prego Yulia, ci mancherebbe. Posso offrirvi qualcosa prima che ve ne andiate?»

 

Le due ragazze si scambiarono un'occhiata.

 

«Perché no!» risposero all'unisono. La notte era ancora lunga.

 

Tornarono quindi nella zona salotto e Neon prese posto in uno dei tavoli liberi.

 

«Zoya portaci da bere a tutti» ordinò l'uomo urlando a gran voce, attirando l'attenzione su di sé di tutti i presenti, che bisbigliarono tra loro parole di pettegolezzi o ammirazioni per quel personaggio tanto amato dalla gente che frequentava quel tipo di ambienti.

 

In quel momento, la giovane cameriera stava importunando Abram con le sue chiacchiere e quest’ultimo fu ben felice di scrollarsi di dosso la petulante Zoya.

 

Quando si accorse di Neon in compagnia delle due amiche, li raggiunse a passo svelto.

 

«Ehi ciao Abram! ci sei anche tu stasera» Neon gli andò in contro per salutarlo con una pacca amichevole sulla spalla.

 

«Ciao fratello! Ho accompagnato le ragazze, avete già parlato?»

 

«Tutto sistemato amico, siediti che ora la belvetta ci porta da bere» pure Neon non apprezzava molto la stravaganza di Zoya nei confronti dell'amico.

 

Si lasciarono andare a una conversazione leggera, parlando del più e del meno. Ogni tanto Neon poneva delle domande generiche a Cat che dovette fare attenzione nel ricordare le risposte che fornì agli altri, in modo tale da non farsi scoprire nelle sue menzogne circa la sua identità. Sebbene ogni tanto Neon le lanciasse qualche occhiataccia sospettosa, Cat ebbe l'impressione di essergli simpatica.

 

La conversazione venne interrotta dalla giovane cameriera che portò loro il terzo vassoio di cocktail e la serata continuò.

 

Cattleya dovette ammettere che gli umani non erano poi tanto male come i suoi genitori li descrivevano. Esseri immondi, crudeli, spietati, egoisti e privi di sentimento, un po'come i demoni. Quasi come gli Unseelie, dopotutto. Con la differenza che alcuni Unseelie, sovrani compresi, erano decisamente ipocriti.

 

Le fate Unseelie sono di per sé creature malvagie, che gli esperti associano ai vampiri e ai demoni di basso livello, tuttavia, come in ogni razza, vi erano le dovute eccezioni. E Cat pensò che l'astio per gli umani fosse infondato. Anzi, da quando ne conobbe le abitudini, la cultura e il modo di vivere, Cat giunse alla conclusione che gli umani erano di gran lunga migliori della maggior parte degli Unseelie.

 

Dopo un paio d'ore di chiacchiere e divertimento, Cat e i due ragazzi furono costretti a lasciare il locale. Non potevano permettersi di perdersi le ultime corse della metro notturna.

 

Quando furono all'esterno del locale, Cat ripercorse a mente la serata.

 

«Ehi Radmila, com'è che è stato così facile ottenere il consenso da Neon?»

 

«Mi doveva un favore, cara.»

 

In quello stesso istante, il cellulare di Abram trillò.

 

«È un messaggio di Aleksandr, dobbiamo andare a prenderlo alla fermata della linea Rjazanskaja» spiegò il ragazzo che quasi sbiancò a quella notizia.

 

«Si trova allora a Lefortovo! Ma che ci farà lì?! speriamo non gli sia accaduto nulla!» si allarmò la ragazza. «Muoviamoci!»

 

A quelle parole, cominciarono a correre in direzione della fermata della metro dalla quale erano giunti.

 

Cattleya non capiva il motivo di tanta agitazione, sebbene fosse quasi scontato che Aleksandr era andato a spacciare droga.

 

Ma lei stessa ebbe motivo di preoccuparsi: il ciondolo che nascondeva la sua aura aveva perso calore. La durata del suo effetto dunque, stava per scadere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Capitolo 3

Durante il tragitto nella metro, Cattleya avvertì una sensazione sgradevole afferrarle le spalle. Una di quelle sensazioni di presagio che avvolgono come mantelli cupi e gelidi. Il fatto che non fosse più coperta dall'influsso del ciondolo, la preoccupava non poco.

 

E se i drow l'avessero trovata proprio ora che stava con degli umani? Continuava a chiederselo e temeva per la loro incolumità. A differenza delle fate, gli elfi non badavano granché nel farsi scoprire o meno dagli umani. In ogni caso, nessuno sarebbe vissuto tanto a lungo da diffondere la notizia della loro esistenza.

 

D'altro canto, Cat si sentiva preoccupata per Aleksandr, così come lo erano gli altri ragazzi. Dopotutto, con lei era stato molto gentile e aveva contribuito a salvarle la vita.

 

Fortunatamente, arrivarono alla fermata designata piuttosto in fretta.

 

Il trio si precipitò all'esterno salendo le scale a tutta velocità della dorata metro Aviamotornaya,  e trovarono Alek quasi subito. Era infatti accasciato a terra con un'espressione indecifrabile.

 

«Alek! Sei ferito?» chiese Radmila correndogli incontro, accorgendosi che il ragazzo si teneva con la mano il braccio sinistro.

 

«Mi hanno pugnalato, sì. Ho fermato l'emorragia con la maglietta» il ragazzo mostrò il braccio fasciato sfilandosi il pesante giaccone.

 

Ne seguì un violento colpo di tosse. Il clima rigido lo stava mettendo alla prova, specie senza maglia.

 

«Dobbiamo portarti subito a casa amico» sentenziò Abram aiutandolo a rimettersi in piedi.

 

Radmila era rimasta sconvolta, si agitava andando avanti e indietro chiedendo spiegazioni.

 

«Dovremmo chiamare un'ambulanza, non credete?» intervenne Cat condividendo la loro preoccupazione e dispiacere.

 

«Ma sei pazza?! Non hai capito che è venuto qui per spacciare, cazzo! Potrebbe finire nei guai» sbraitò l’altra adirata.

 

«Calmati Mila…»

 

«No che non mi calmo Alek! Devi dirmi cosa è successo!» insistette la ragazza, con tono quasi supplichevole. Sembrava una bambina smarrita e impaurita, la sua personalità incostante poteva confondere.

 

«Sono stati tre uomini, dall'aspetto strano. Mi sono venuti incontro, farfugliando non so cosa e quando ho fatto per andarmene allontanandomi da loro, uno di questi mi ha fermato. Mentre cercavo di difendermi, un altro mi ha colpito con un pugnale» spiegò il ragazzo, ancora scosso dall'avvenimento.

 

Lentamente, avanzando con un passo alla volta, Abram e Radmila lo aiutarono a scendere le scale.

 

«In che senso strani?» chiese l'amico confuso.

 

«Nel comportamento. Non te lo so spiegare. Non erano di qui, ne sono sicuro. Non erano drogati né spacciatori. E poi indossavano brutte maschere con la pelle nera e le orecchie leggermente a punta.»

 

A quella descrizione, Cat ebbe un sussulto e quasi si mise a urlare, colta improvvisamente dalla paura.

 

«Yulia, che ti prende?» le chiese Radmila, sobbalzando a sua volta assieme agli altri, per lo spavento che le fece prendere la reazione di Cat.

 

Ma lei non riuscì a emettere fiato.

 

«Yulia che ti è successo?» la incalzò allora Abram.

 

E fu in quel momento che avvertì la loro presenza.

 

Mentre continuavano a scendere i gradini, delle figure fecero capolino dalle ombre del sotterraneo della metro.

 

«Eccoli! Sono loro che mi hanno attaccato!» li puntò con il dito Aleksandr.

 

«Oh no!» strillò Cat in preda al panico.

 

«Ben ritrovata, principessa» ringhiò una delle figure con un sorriso maligno che mostrava affilate zanne.

 

«Andiamocene da qui, presto!» Cat fece cenno ai tre ragazzi che la seguirono tornando all'esterno.

 

«Non sono gli stessi che ti davano la caccia, Yulia? Hanno lo stesso inquietante aspetto!» affermò Abram appena furono in cima alla rampa di scale.

 

«Sì, sono loro!»

 

Cominciarono tutti a correre, spinti dalla paura.

 

«Ma cosa vogliono ora da Alek? Perché seguono anche noi?» chiese Radmila con il cuore in gola. Nessuno si aspettava di rivederli, i drow.

 

Tantomeno Cat.

 

«Avranno scoperto che mi aiutavate e così ora ce l'avranno con voi!»

 

Continuarono a correre lungo la strada, alla cieca, inseguiti da quattro elfi oscuri.

 

«Si può sapere chi diavolo sei?» urlò a pieni polmoni Radmila con tutta l'ira che poteva scatenare, spaventando perfino gli altri due ragazzi.

 

A quella domanda, Cat non poteva proprio rispondere. E si sentì immensamente in colpa per aver coinvolto nella faccenda degli innocenti. Umani, oltretutto.

 

Le avevano salvato la vita e ora lei stava mettendo a repentaglio la loro. Si rimproverò di averli esposti proprio di sera.

 

A toglierla dall'imbarazzo di dover fornire una risposta a quella scomoda domanda, furono altre tre figure che si piazzarono davanti ai quattro ragazzi, sbarrando loro la strada.

 

«Maledizione, ce ne sono altri!» ringhiò Abram, facendo da scudo all'amico ferito.

 

«Siamo circondati!» Radmila si strinse ad Alek con le lacrime agli occhi. Tutti e tre non sapevano che fare.

 

Quei tipi loschi, dall'aria pericolosa, li mettevano in soggezione come nessuno. Non era bastata la galera o le  pessime esperienze, a prepararli a un simile confronto.

 

Uno dei drow fece un passo avanti. Erano tutti vestiti con delle tute blu e verdi, simili a quelle militari.

 

«È la vostra famiglia che ci manda a prendervi, per ordine di Rod» esordì l'omone dai lunghi capelli neri come la pelle e gli occhi.

 

«Giammai! Ve lo potete scordare che torno con voi, maledetti!» si oppose Cat stringendo i pugni e serrando la mascella, cercando di trattenersi dal non farli esplodere con i suoi poteri.

 

«Allora saremmo costretti a uccidere gli umani» a quella minaccia, i drow afferrarono dei Kalashnikov, imitati anche dai tizi alle spalle dei ragazzi.

 

«Ehi no aspettate, noi questa qui non la conosciamo nemmeno!» esclamò disperato Alek.

 

«L'avete aiutata» rispose seccamente qualcuno da dietro.

 

«Ma non sapevamo fosse una specie di pazza psicopatica! Prendetevela!» piagnucolò Radmila.

 

«Silenzio! Ci avete stancati. Avremmo voluto uccidervi prima, ma abbiamo seguito il ragazzo coi capelli lunghi, ben sapendo che ci avrebbe portati dritti a voi, principessa» rivelò l'omone che aveva parlato per primo, ghignando malignamente.

 

«State indietro!» ordinò Cat rivolgendosi ai ragazzi.

 

Doveva fare qualcosa. Sentiva di non avere altra scelta.

 

«Dovremmo avvisare Rod che l'abbiamo trovata. Pensaci tu» ordinò intanto il drow dai capelli neri a uno dei suoi compagni, che sfilò un cellulare da una tasca interna della tuta.

 

Cat non poteva permetterlo! Non poteva permettere che la sua famiglia venisse avvisata, tantomeno lo zio Rod.

 

«No!» urlò Cat in preda alla disperazione, smossa dalla paura e dalla preoccupazione per i ragazzi umani.

 

Emozioni che si rivelarono in energia, con una potente folata di vento che si scaraventò sul tizio col cellulare in mano e lo sbatté a terra, rompendo così anche l'oggetto.

 

«Oh porca puttana» strillò imprecando Radmila, sotto lo sguardo sconcertato degli altri due ragazzi.

 

Cat non seppe cosa dire per giustificarsi. Rimase in balia della situazione e delle sue forti emozioni negative.

 

«Lei è una creatura immonda che ora ce la pagherà!» abbaiò l'omone dai lunghi capelli neri. «Pensaci tu, Khin!» ordinò al tizio alle spalle di Cat che si allontanò in tutta fretta per poter avvisare la Corte, senza cadere in balia dei poteri della fata.

 

«Avvertiteli pure, ma io non verrò con voi! E non toccherete questi ragazzi!» ringhiò Cat con voce stridula e disumana, facendosi carico di tutta la sua forza che convertì in pura energia nei palmi delle mani, spaventando i tre ragazzi come non mai che si allontanarono ulteriormente da lei, nascondendosi al limitare di un vicolo tra due palazzine.

 

 «Ve la state proprio cercando, siete avvertita!» asserì il tizio dai capelli neri, con uno sguardo truce.

 

«Pure voi!»

 

A quelle parole, di tutta risposta, Cat scaraventò l'energia che teneva in mano, prima in direzione dell'omone e poi contro il suo alleato.

 

I drow alle spalle della fata, allarmati dalla situazione e dal vedere i loro compagni cadere a terra, colpiti dalle scariche di energia, fecero fuoco con le loro armi in direzione di Cat, ma una sorta di barriera invisibile la protesse e rapidamente, la ragazza si voltò in direzione dei nemici per scagliare contro loro, altra energia, sotto forma di raggi che esplosero dalle sue mani.

 

I drow vennero colpiti con la stessa intensità dei loro proiettili e vennero sbalzati in aria.

 

«Veloci, dobbiamo approfittarne per scappare verso la metro!» avvertì Cat ai tre ragazzi, che la guardavano ancora esterrefatti e timorosi.

 

«Scordatelo che verremmo con te!» balbettò Abram con il cuore in gola, seguito dagli altri due.

 

«Voglio solo riportarvi a casa! o preferite rimanere qui con loro e morire?!»

 

A quelle parole, il trio si decise a seguire Cat, che corse lungo la strada per tornare indietro.

 

Solo quando arrivarono al passaggio sotterraneo della metro, si sentirono al sicuro.

 

«Li hai uccisi?» chiese Alek a bassa voce, superando il sistema di sicurezza che porta poi al tunnel della metro.

 

«Solo storditi. Dobbiamo muoverci» sintetizzò seccamente Cat.

 

Non sapeva cosa pensare. Ormai si era fatta scoprire dagli umani e come se non bastasse, si era fatta sfuggire un drow che aveva sicuramente già avvisato Rod.

 

«Ma che cazzo sei, una specie di x-men?» abbaiò Radmila in preda a una crisi isterica. «Te sei pericolosa!»

 

«Sono loro gli esseri pericolosi!» si difese Cat con le lacrime agli occhi. Non voleva tradire la fiducia di quei ragazzi che le avevano salvato la vita.

 

«Esseri? Ma cosa sono? Chi siete? Dai, qui non siamo in un film fantasy!» fece eco Alek all’amica, ancora agitata.

 

«Non posso rispondere a queste domande» Cat per qualche ragione, si sentì morire dentro. Non aveva mai trasgredito alle regole e non si era mai mostrata in quel modo a degli umani che con la sua realtà non avevano nulla a che fare.

 

Giunse la metro e il quartetto vi salì in silenzio. Nessuno dei tre ragazzi si sentiva di aggiungere altro. In fondo, era molto meglio negare ciò che avevano visto.

 

E la fiducia in Cattleya era svanita.

 

 

 

Fatto ritorno al loft, tutti i ragazzi rimasero in silenzio, compreso Demid che rimasto sul divano davanti alla tv, li squadrò perplesso quando entrarono, percependo la tensione fra loro.

 

Abram si diresse nella sua stanza accanto alla zona salotto, mentre Alek si precipitò in bagno per medicarsi il braccio.

 

Cattleya rimase in piedi accanto alla porta, sentendosi in profondo disagio. Seguì con lo sguardo Radmila che salì rabbiosamente le scale e si diresse nella sua stanza, per uscire un secondo dopo con la valigia di Cat, che gettò dal soppalco in preda alla furia.

 

«Prendi le tue cazzo di cose e vattene!» urlò a Cat col fiatone, tanto era adirata.

 

Demid nello stesso momento spense la tv e nel loft calò un silenzio tombale.

 

«Ma come faccio? Dove vado?» chiese Cat con le lacrime che le riempirono gli occhi. Avvertì un senso di abbandono e di profonda delusione. Sensazioni familiari che l'avevano già dilaniata in passato.

 

«Non me ne frega un cazzo! Hai l'indirizzo dell'officina di Yan, prenditi una macchina e vattene lontana da noi! mostro!» continuò a urlare Radmila impetuosa, con gli occhi sgranati e un'espressione furiosa.

 

Mostro.

 

Quanto può far male anche solo una parola. Cat si sentì sprofondare. Le parole hanno un peso eccezionale di cui le persone non si rendono conto.

 

Quante volte Cattleya si era sentita un mostro, solo per appartenere a una razza di fate che sono costituite da pura oscurità. Un mostro perché non riusciva a generare un erede alla Corte. Un mostro, perché troppo diversa dagli umani che l'hanno accolta tra loro.

 

Cat dovette dare ragione a Radmila. Le avevano regalato una serata normale, ma non le apparteneva. Lei stessa non apparteneva a quella realtà, né a quella città.

 

Raccolse da terra il trolley e senza dire nulla, si diresse verso la porta del loft e uscì sul pianerottolo, sentendosi una condannata a morte che esce dalla sua cella per incontrare il suo destino.

 

Doveva ancora scappare.

 

Cosa avrebbe trovato là fuori? I drow la stavano aspettando?

 

Si immerse nell'oscurità della notte, talmente fredda da darle l'impressione che la pelle del viso si sfregiasse.

 

Lentamente, abbattuta, mosse piccoli passi lungo la strada, finché sentì una voce alle sue spalle che la chiamava.

 

«Chi è?» Cat sobbalzò, spaventata dall'improvvisata. Erano forse i nemici?

 

«Ho ascoltato la loro conversazione. Ma io ho capito tutto» Demid era dietro di lei, il suo sguardo non era spaventato o disgustato.

 

«Che cos'hai capito?» Cat si sentì confusa. Fino a quel momento, non le sembrava che quel ragazzo avesse parlato.

 

E perché proprio lui l'aveva cercata?

 

«Ho capito che non sei umana... e nemmeno chi ti segue. Io li ho visti stamattina, quando ti abbiamo trovata. Inoltre, dalle ferite ti sei ripresa troppo in fretta» quel ragazzo dimostrava di essere molto acuto, a differenza del suo aspetto.

 

«Io... non so cosa dire» Cat rimase senza parole. Non se lo sarebbe mai aspettato.

 

«Non so a quale razza tu appartenga, ma io a queste cose ci credo. Gli altri non possono capire, ma io sì.»

 

«Mi puoi aiutare allora?»

 

«Non saprei come. Ma poco più avanti troverai una fermata dell'autobus. Alcuni sono notturni, quindi puoi prenderne uno per raggiungere l'officina» il consiglio era rilevante.

 

Una volta arrivata a destinazione, Cat avrebbe potuto servirsi del ciondolo per nascondersi dai drow per qualche altra ora.

 

«Grazie Demid.»

 

«Grazie a te. Speravo tanto in una conferma» il ragazzo pronunciò quelle parole quasi con malinconia, preso da chissà quali pensieri.

 

«Conferma di cosa?»

 

«Che a questo mondo non esistiamo solo noi umani, ma anche altre...»

 

«Persone. Siamo persone anche noi, Demid.»

 

«Sì. Solo diverse.»

 

«Esatto. Come ogni essere vivente» Cat sorrise. Almeno grazie a lui non si sentiva un mostro.

 

«Sto congelando qui fuori. Addio Yulia» il ragazzone si strinse nel giaccone rabbrividendo.

 

«Cattleya...»

 

«Addio, Cattleya.»

 

«Addio, Demid» per la prima volta, dopo giorni, Cat sorrise. Anche con il cuore.

 

Quanto potere può avere uno sconosciuto sulla propria persona? E la gentilezza? Le parole hanno un loro peso, sì. E alcune persone, fortunatamente, se ne rendono conto.

 

Verso le tre di notte, Cat si ritrovò nella zona di destinazione, nel quartiere Metrogorodok, dopo esser scesa dall'autobus notturno e aver camminato un pezzo di strada protetta dal ciondolo.

 

All'interno di quella che sembrava un'officina vecchissima e malridotta, una fioca luce suggeriva che c'era qualcuno al suo interno.

 

Cat si avvicinò alla serranda semi abbassata e guardò all'interno. Riuscì a scrutare un uomo pressappoco sulla trentina, che camminava avanti e indietro armeggiando degli attrezzi da lavoro.

 

Allora Cat pensò che si poteva far aiutare fin da subito, senza aspettare la mattina.

 

Si fece dunque coraggio a bussare nella serranda, catturando l'attenzione di quel tizio.

 

«Siamo chiusi, torni domani mattina!» brontolò distratto l'uomo.

 

«La prego, mi aiuti. Mi manda qui da lei Neon» spiegò in tono supplichevole Cat.

 

«Mio fratello? ah davvero?»

 

«Sono passata stasera stessa con degli amici al suo locale.»

 

L'uomo si avvicinò a Cat e la scrutò da dietro le fessure della serranda.

 

«E lei chi sarebbe, un poliziotto?» domandò sospettoso l'uomo.

 

«No, affatto. Ho solo bisogno di...»

 

Cat venne interrotta dallo sguardo glaciale di quel tizio. Somigliava abbastanza al fratello, ma era più chiaro di carnagione e più muscoloso.

 

«Come si chiama il suo locale?»

 

«Il delirio.»

 

A quella risposta, l'uomo alzò la serranda e la fece entrare.

 

«Scusi per i miei modi burberi» disse in tono secco, ma comunque dispiaciuto.

 

«Mi scusi lei se mi presento a quest'ora, ma non sapevo dove andare e quindi...»

 

«Non si preoccupi. Stanotte sono qui per finire un lavoro che dev'essere terminato per domattina. Che cosa le serve?» l'uomo si pulì le mani dal grasso con uno strofinaccio.

 

Cat si guardò fugacemente attorno. Non era mai stata in un'autofficina. In realtà, non era mai stata in un sacco di posti che in poche ore aveva potuto visitare. Si riscoprì sempre più incuriosita dalla civiltà umana.

 

«Mi servirebbe un'auto o un qualsiasi altro veicolo per lasciare la città» dichiarò infine la ragazza.

 

L'uomo la scrutò con la coda dell'occhio mostrando nuovamente diffidenza. «Ah capisco» si limitò a dire prima di sparire dietro un bancone da lavoro.

 

Molto probabilmente, pensò Cat, l'aveva presa per una criminale o quant'altro, considerando che conosceva il fratello, Neon.

 

«Non voglio spiegazioni né problemi. C'è una vecchia Cadillac srx nel retro. Dovevo portarla a far demolire, ma lei mi risparmierà la fatica» disse l'uomo dopo aver recuperato un mazzo di chiavi. «Mi segua» con un cenno, si fece seguire da Cat nel retro, che non era altro che una sorta di cimitero delle automobili.

 

Uscirono dall'officina in un immenso spiazzo di macchine di ogni tipo e provenienti soprattutto dall'estero. Ferri vecchi per la maggiore.

 

Si avvicinarono alla Cadillac, gravemente rovinata e mancante di uno sportello.

 

«Il tizio aveva tamponato. Vetri rotti, sportello andato, carrozzeria rovinata. Ma il motore  funziona e anche il resto non è particolarmente danneggiato, ma non farà molta strada» spiegò l'uomo consegnando le chiavi a Cat.

 

«Non devo andare molto lontano.»

 

«Meglio così.»

 

Cat salì sull'auto, accorgendosi che il finestrino era abbassato a metà. Non sarebbe stato saggio provare ad alzarlo. Doveva per forza di cose subire l'aria fredda della notte.

 

«Metta in moto e vada dritta, troverà il cancello» l'avvertì l'uomo avvicinandosi al finestrino.

 

«Grazie mille! Saluti Neon da parte mia e gli rivolga ancora i miei ringraziamenti!»

 

«Sì sì, ora vada però. Buon viaggio» tagliò corto il tizio, lasciandola sola mentre si allontanava per rientrare nell'officina.

 

Finalmente Cat poteva tornare a casa.

 

Era stata una lunga giornata, ma non provava sonnolenza. Avrebbe guidato fino all'alba, per poi concedersi qualche ora di sonno, al riparo dal sole, da qualche parte.

 

L'effetto del ciondolo era nuovamente terminato. Ma poco male, lo avrebbe riattivato una volta fermatasi.

 

Sperò come ultima cosa, che i drow non avrebbero dato ancora la caccia ai ragazzi che l'avevano aiutata.

 

Chissà, magari un giorno li avrebbe rincontrati e avrebbe spiegato loro che non era cattiva, né una creatura da temere.

 

L'auto scoppiettò rumorosamente prima di partire. Cat a tutta velocità si gettò in strada e si diresse di fretta ai confini di Mosca.